Vorrei morire ora #27834682376

Anche ora, vorrei scomparire, non sentire questo solito dolore sordo.

Eppure in me si sta formando una idea chiarissima: faticare per esistere non mi va. Perché questo squallido pensiero dovrebbe essere una differenza da prima? Perché è poco nobile ed onorevole? Non voglio mica fare male a qualcuno. Ma ecco, il pensiero che avere – assicurata – una rendita costante mi farebbe quantomeno girare il mondo per osservarlo e trovare molti motivi per dire che ci sono molti motivi … o trovare molte cose per dire che ci sono molte cose… beh, così, in quel modo, a quelle condizioni… non vedo perché no.

Volevo anteporre questo per perdere il rispetto di chi ha un certo preconcetto.

Giorni fa parlavo con una delle mie modelle – forse una delle ultime in realtà, non lo so, per ora è una sensazione – che, bestia rara, ha detto con chiarezza che nessuno vuole lavorare. Che prendere soldi per stare a casa a fare un cazzo non farebbe schifo a nessuno. Non ho neanche aperto bocca per dire che se lo facessero tutti per il delivery dovresti aspettare parecchio. A me non interessava la parte pratica. Ma il concetto retrostante, basilare, che sembra essere sparito dai discorsi di tutti. Come il senso della vita, del vivere, dell’esistere. Lo accetti e basta. E ti lamenti, e sbuffi, e fai tutta una serie di discorsi che sono cazzate se non tieni a mente la parte fondante: come mai hai deciso di restare viv* oggi? Sentita questa risposta, seguiranno le altre. Altrimenti sanno da poco, significano poco.

Sto per gettarmi a fare il copridivano, con questo dolore sordo e il disprezzo di me. Fino a che, si spera, non arriverà quello squilibrio a riequilibrarmi, a ricorarmi che a desiderare e a non fare non succede un cazzo, che i mezzi non mi mancano, per un po’ di spazio di manovra. Manovra su qualcosa che mi interessa.

E che forse non interessa a nessuno.

Ma a me si.

Così riprende la routine, il rito: pensa come se dovessi morire, metti in ordine, cerca di fare quello che c’è da fare prima. E nel frattempo succede qualcosa, si muove qualcosa. Poi si ricomincia, nella pece del dolore, si fa un passo, appiccicosamente, plaf, si mette giù un piede e si cade nella melma nera. Si piange, si riparte forse. Non valgo niente e non sono nessuno. E in parte mi addolora, in parte non me ne frega niente.

Ho la mani grasse. Almeno dal 2002. Da più di 20 anni!

Che schifo.

Essere bestie che sentono. Che capiscono. Che crudeltà.

Faccio Schifo e sono un coglione e faccio schif

In questo periodo mi sto chiedendo (senza andare costruttivamente a verificare) se per caso tutti quei riferimenti di storie e narrazioni di “sentire le voci” non siano così simili ai pensieri di merda che ti accompagnano talvolta quando non ti metti attivamente lì a fare qualcosa, a spingere quella crosta di merda seccata come un guscio in cui fare una crepa, mettere fuori il becco e cercare, appunto, di fare qualcosa, invece di pensare a qualsiasi cosa. Non che pensare faccia schifo in sé. Ma se appena pensi “potrei fare quest…” SEI UNAMMERDA “ci sarebbe questo da sistem”FAISCHIFOCAZZOSCHIFOSCHIFOSCHIFO” ma anche questo, dai che magariSEITALMENTEUNCOGLIONE, CHE SSSSCHIFO, BLEAH.

Difficile, ma possibile, prendere la voce che le sue ragioni le ha, e chiedere solo: ma non eravamo a mediocre di merda ? Cioé: non eccello, ma so per certo di non essere il TOP della merda. Ci sono i criminali intenzionali per quello. Gente che rifiuta prove di verità e sulla propria credenza produce dolore su altri. Tipo questa gente. Oppure che so… gente che dice “K” di “accappatoio”. Io no, dai.

Quindi, almeno, stabiliamo la scala dello sch…

… ed ecco che un po’ diminuisce. Un po’. Ma ci devi un attimo ragionare. Comunque il piùmmigliorissimo è stato il TED di Mark the Hammer. Un vero faro nella notte. Di tanto in tanto… prendi, e fai schifo, segui quella strada… e migliora. Ma intanto fai pure schifo.

L’inutilità di quel che sei

Nausea, nel mio cerchiobottismo di sopravvivenza, cerco di seguire l’iter del tergiverso del mio universo in un ditale di voltastomaco, mi giro a destra e sinistra, cerco di fare appello alla morte pur di avere calma, alla storia pur di avere pace. Batticuore, ansia. Ogni granello di spostamento, di avanzamento, di “progresso” di questa “giornata” è difficile. Come sempre solo disfare e rifare lavastoviglie con un ascolto che – appunto – provenga dal passato remotissimo della storia o di una storia inventata, è la cosa più calma ed accettabile.

Provo ad andare in cantina ufficio, ma niente, ogni cosa mi fa tremare un pochino, mi fa un pochino venire da vomitare, mentre mi faccio schifo. Cerco di dire che no, che non “faccio” schifo in assoluto, è falso e lo so. Ho preso con regolarità la mia medicina? Ma si, si, davvero si, regolarissimo, domani-oggi è martedì, il cellulare dice martedì, la scatola portapillole dice martedì-fatto, quindi niente, la parte della chimica gestibile l’abbiamo fatta. Niente, sarà ottobre, sarà il tempo, sarà che so delle mie magagne e delle minacce economiche e non le sto tenendo in un armadio blindato della mente abbastanza chiuse.

Non so, comunque per mandare avanti un po’ di lavoro, faccio piccoli passetti. E lo so fare questo lavoro. Ma non interessa a nessuno, non più, non c’è abbastanza bisogno o comunque non lo so fare in una certa misura. Sbaglio contenuto, alla fine sto solo meccanicamente caricando vecchio materiale super standard di cui ci sono milioni di miliardi di copie che forse vengono acquistate in un-pezzo (cosa insensata nello stock) per fare machine learning che mi fotterà definitivamente.

All’improvviso questa sensazione di quel vecchio ricordo di intenso imbarazzo, inadeguatezza. Quanti anni avrò avuto? Eppure alla fine mi sento così nell’intero esistere. Condiscendenza è una parola che non conoscevo, ma sentivo bene cosa stava succedendo, e lo sentivo probabilmente per la prima volta. Cinque? Sette? Quanti? Dieci?

Le figlie del padrone di casa e forse una vicina… gioco da loro, al piano di sopra, a qualcosa “da femmine”, qualcosa come ballo o danza, non so. Nel gioco forse era previsto un ruolo “insegnante alunni”? Ricevo sicuramente un rimprovero per la mia incapacità di eseguire qualcosa. Sicuramente piango e per le altre bimbe c’è preoccupazione: ci daranno la colpa, “lo abbiamo fatto piangere” e quindi BAM, ricordo la sensazione di “giochiamo a quello a cui sai giocare tu, tipo le macchinine? dai giochiamo a quello” e la forte sensazione di essere un coglione che muove una macchinina mentre qualcuno mi osserva fingendo approvazione e pronunciando parole tra il conforto e il complimento con il solo scopo di farmi smettere di piangere.

Questa merda non è mai sparita da me. La sensazione. Patetica commiserazione, contenimento della lamentela per evitare giudizio delle autorità – che probabilmente avrebbero del tutto ignorato la cosa – ma distanza, distacco, esclusione anche in presenza: non sei come noi, non sai fare quello che facciamo noi, quello che a noi piace fare e la cosa è risibile.

Beh la sensazione è la stessa a cinquant’anni. Quello che sai fare? Chissenefrega. Wow, sai fare questo? Come miliardi di altri. E comunque non serve. Non ci serve. A nessuno interessa se tu ti vai bene, non se il frutto della propria fatica è moneta di scambio. La mia fatica non vale la tua, ne faccio a meno, sceglierò qualcosa d’altro. Amati pure, Fattici le seghe con il tuo te stesso.

Quanto potere hanno gli altri su di noi, anche quando non c’è alcuna minaccia per loro, per cui sarebbe giusto avere del potere, per respingerla?

So delle cose, ma le sanno altri. Ed alti svalutano talmente tanto ciò che fanno da rendere quella contropartita irrilevante, non vale niente per loro e la fanno diventare di scarso valore in generale: varrà poco per tutti.

Ma la sensazione è quella: ti può piacere quello che fai, quello che sei. Ma questo non lo renderà attraente, interessante, piacevole, desiderabile fuori dai confini del tuo stesso essere.

Però mi ha fatto bene scriverlo, sento un leggero svuotamento, meno pressione alle viscere. Si, è il futuro, il rischio di miseria e rovina. Non è la morte il mio problema, ma la sofferenza, lo sapete. E la rovina non è solo la miserabilità economica, ma del sopravvivere per questa e basta “a qualsiasi costo”.

ZerinoFebb! NON col moment

ZerinoFebb! NON col moment (ibuprofene) almeno a distanza di 6 ore, nel caso e INVECE della Tachipirina se nella vostra influenza il naso c’entra poco. Può essere preso con Fluimucil (o equivalente, acetilcazzolosalaminchia). Serve a “trattare l’influenza” senza ma checcazzo ne so io? Ma davvero ascoltate me? Ma lo sapete che se chiedete a chatGPT, che pure non può essere considerato in caso di consigli medici, comunque servendosi di fonti a svalangate e non essendo un umano che si scazza a rispondere o ti giudica e ti guarda come una merda se spari cazzate, ma semplicemente ti risponde, sempre, avrete informazioni più utili che non cagando me?

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Broken people

MD, ragazzo che ho osservato crescere e diventare da studente universitario, ricercatore di punta, è stato bruciato dall’impegno e dalla mancata corresponsione di contropartita. Forse ingenuamente convinto che l’impegno dovesse essere giustamente essere scambiato con qualcosa di valore, un vantaggio reciproco, ha scoperto sfruttamento e menefreghismo. Tra l’altro l’ha scoperto laddove mi aveva raccontato di cose molto belle, di speranze per l’umanità, pensavo. Comunque ha dato molto e si è sentito semplicemente abbandonato, alla fine.

Per un secondo mi viene da pensare al fatto che il senso di abbandono, il non saper stare soli con sé è la differenza, che i problemi li hanno tutti, e gravi, che l’ingiustizia è la base, ma la differenza la fanno tutti quei soggetti che sanno combattere da soli, trovando certamente, di tanto in tanto, conforto in qualche alleanza, in un attimo di riposo mentre appoggiano armi e scudi, ma che poi rifanno un profondo respiro, caricano il peso del vivere solo su di sé, senza aspettarsi alcunché: loro, solo loro sono gli adatti, non noi.

Ma in fondo non è di questo che parlavo: di gente spezzata ce n’è tanta. Rotta dentro, con una crepa, una ferita che non li farà mai più tornare come prima. Azzoppati quando prima volevano – e potevano – correre. Troppo sensibili forse, troppo bisognosi di affetto senza abituarsi che no, non ce n’è sempre?

Non lo so. Penso di trovarli tutti in un club, un centro sociale. Reduci dai campi di concentramento del dolore intimo: persone che semplicemente capiscono, oppure “ora capiscono”. Sanno di cosa parli, sanno che in fondo si potrebbe fare, che in fondo sarebbe facile, ma che ora non lo è più, che ora non ne hanno più la forza, che vogliono solo che quel dolore abbia fine. Qualsiasi sia la causa di quel trauma, sono e sanno qualcosa che altri potrebbero non capire mai, né per esperienza né per ragionamento. Persone che potrebbero avvicinarsi, bersi una cosa, chiacchierare, farsi forza a vicenda… tanto quanto tirarsi giù a vicenda, invece. Come una grande mensa aziendale o scolastica, immagino donne e uomini, ragazze e ragazzi, cercare di buttar giù qualcosa, anche preoccupati di qualcosa sul cibo, sul corpo, sulla poca voglia, ma fondamentalmente seduti assieme, consapevoli gli uni degli altri e almeno miseramente confortati dal fatto di non essere esemplari unici di qualcosa che vorrebbero non fosse mai esistita.

Non essendo qualcosa con cui fare soldi resta certamente un’idea di fantasia. Non so poi se avrebbe una utilità o se sarebbe solo benzina sul fuoco del dolore, autoindulgenza quando è necessaria forza d’animo e disciplina, non stupido wishful thinking badate bene, ma solo alzarsi quando vorresti stare seduto, perché è necessario e perché potrebbe portarti qualcosa di buono, non per un senso di fascistissima volitività o di disprezzo verso il debole e una intima convinzione di inferiorità di quello stato, con colpa e magari dolo … semplicemente non so se troppo lenimento alla fine scioglie e diluisce quel po’ di entusiasmo che sappiamo tutti che potremmo avere prima che qualcosa o qualcuno lo polverizzi con qualche merdata.

Possibile che io faccia così tanto schifo?

È possibile si, i segnali ci sono tutti. Oggi B mi aveva chiesto di accompagnarla a portare l’auto dal meccanico, una cosa che facciamo sempre, da quando eravamo assieme a quando non lo siamo più stati, sempre, ogni anno, ad ogni cosa qualsiasi da fare dal meccanico. Una delle cose più normali ed invariate che ci siano: la stabilità più assoluta. Andiamo la sera/notte prima e lasciamo le chiavi nella buchetta del meccanico, lui il giorno dopo ha fatto tutto e quando si può si arriva in orario per pagare. Comunque il giorno dopo ci si riaccompagna a prendere l’auto. Quando lei non aveva l’auto aziendale, poi, la accompagnavo io al lavoro tanto quanto lei avrebbe fatto con me a parti invertite. Tutto normale. Tutto identico. Dal 1998 ad oggi.

B ha l’abitudine, finito al lavoro, da quando sua madre è morta, di andare a bere il caffè con suo padre. Oggi c’era l’auto da portare, quindi l’ho portata sia dal meccanico, sia da suo padre.

Ma mentre ci si apprestava ad arrivare a casa di suo padre mi ha chiesto se l’avrei lasciata lì o se sarei salito a prendere un caffè per riportarla poi a casa.

Questo mi ha distrutto. Che razza di persona di merda sono diventato se le viene anche solo l’idea che possa lasciarla lì?

Vorrei dire che tutto in me urla che non è giusto, che non è così che io faccio, che sono disponibile e che chiunque potrebbe…

Ma se lei, proprio lei, non agisce come se fosse ormai scontato che non sono una merda simile… non posso che dedurne che lo sono. Dice solo che “non ci fa affidamento”. Evidentemente ne ha motivo. E quindi si, mi dico che certo, faccio schifo, persino sul piano umano, anzi soprattutto, faccio schifo ANCHE per cose così semplici, basilari. Sono una merda.

Così mi rispondo anche al dubbio: ho spesso l’impressione che mi si tratti con fastidio, ma se accade così spesso… la costante sono io: sono io che ricevo in RISPOSTA al mio comportamento, di cui evidentemente non mi accorgo, un atteggiamento infastidito. Rompo i coglioni di base, così senza rendermene conto? Sono solo degli uffici pubblici o pubblici esercizi di gente che ne ha piene le balle di tutto e io lo penso su di me? Facili autoindulgenze: sono il maestro in questo. I segnali mi dicono che rompo il cazzo al mondo. Giuro che non è mia intenzione: mi addolora sapere che vi sto rompendo i coglioni. Dai quali intendo togliermi.

Tutto in me urla: ma sono due fazioni opposte: una dice “non vedi che fai schifo?” e l’altra “no! non lo vedo! non mi pare di comportarmi così!”.

E non vedono ciò che vede l’altra fazione. Comunque il contesto non se la vive bene questa contrapposizione interna.

Panchina

Rieccoci dunque. La sensazione familiare, sgradevole ostile, che ti ricorda questo viaggio in solitudine non voluta. Era davvero troppo tempo che mi sembrava di essere tornato in quell’istupidito intorpidimento della normalità del sopravvivente. Non-amato, non-desiderato, non-attraente. Buono, se va bene, per sé.

Di tanto in tanto anche B, la mia calma, gentile, amabile e paziente convivente è semplicemente umana, stanca, infastidita… non in grado di nascondere che starebbe meglio se io non ci fossi, molte volte.

Siamo sempre stati due individui, ben separati, persino quando ci mettemmo assieme. Ma c’era altro e c’era tenerezza, quantomeno, quando l’attrazione forte fu – da parte mia – persa.

Quando vedo lo status da sposati, non da conviventi nemmeno amici o studenti, allora questo mi mette tristezza. Mi sento sopportato, ho voglia di cambiare stanza. Per fortuna ce l’ho. Per fortuna ne ho almeno un paio. Non è il coronavirus, non è assolutamente questo. Lei lavora, io non ho cambiato modalità lavorative o ritmi strampalati negli ultimi 7 anni. Questo è.

Ogni tanto però mi sento un bambino capriccioso in ADHD malsopportato da un genitore, non una persona con un legittimo desiderio di comunicare con altri. Non è il momento, per gli altri. Hanno altro da fare gli altri. E certo, quello che la mia mente o il mio cuore hanno partorito ormai è partorito. Ho forse bisogno di farmi fare dei complimenti o di esporre ad un pubblico plaudente quello che ormai è stato pensato?

Ma nel dialogo ci sono le opinioni altrui. Sono già uno che si deve giocare la sua partita mentale muovendo sia i bianchi che i neri in questo. Ma a me va di averlo, il dialogo, il riscontro, la seconda mente pensante.

Il ragionare di cose, come si diceva cento anni fa.

Persino manifestare lasciare che sia percepibile il mio malessere, in questa situazione, non mi va. Per fortuna ho una stanza in cui non mi si vede. Sono sceso li, mi sono messo sul provvidenziale divano, ho spento tutto, mi sono coperto, ho dormito un paio di ore. Da quanti anni lo faccio questo? Da 30 anni. Lo facevo quando tornavo da casa e certo, non volevo sentirmi chiedere cose dai miei, né avere scontri. Tornavo dal viaggio di ritorno da scuola e mi buttavo sul letto, braccia sotto, mani unite fra le cosce, occhi chiusi, un po’ di legno, finché non mi ammorbidivo, saliva un po’ di caldo, arrivava il dormiveglia. Ho fatto passare molto del mio tempo a non-esistere, in totale solitudine, non visto. A dimenticare senza bere, ma con lo stesso meccanismo.

Oggi un’amica mi ha mandato una possibile partecipazione a “nude magazine”, che sicuramente non paga un cazzo. Ma del resto non ho mai pubblicato da nessuna parte, e a questo punto mi sono anche chiesto… ma chi cazzo ti credi di essere? Quello che fai ti piace, e sicuramente la figa piace a tutti, ma per essere considerato un prodotto artistico deve ricevere consenso e riscontro, cosa che tu non hai mai cercato… e anzi, a questo punto… ti troveresti proprio in quel paragone che non sai mai sopportare, la classifica di chi è meglio e peggio, chi merita di sopravvivere e chi no, di chi viene chiamato nella squadra per giocare.

Io non sono in panchina. Io sono la panchina.

Un po’ di questo scoglionamento me lo ha anche passato il buon R.T., coordinatore dell’ass.naz.fotografi che in un video, con ragione, cercava di riportare alla ratio della legge che ha lasciato fuori dal lockdown i codici ateco relativi alla fotografia tutta, quando probabilmente intendeva i fotoreporter , utili a fornire informazione alla nazione. Tutto il resto non è utile. Ma certo chi farà il reportage eroico se ne fotterà. Più sarà esteso, ben fatto, spettacolare e meglio sarà. Si ricorderà qualcuno del contesto in cui altri si sono attenuti alle regole? Chissenefrega. Quello che mi è restato ha il sapore solito del “ma vai a fare un lavoro vero che questo non è utile”. Naturalmente si tratta solo di essere permalosi. Chiunque sia in una fabbrica fa un lavoro “vero”, ma è utile? Supponiamo stiate producendo diamantini finti che finiscono nella bigiotteria. Non potete dirmi che sia utile alla nazione. E così via. Quanti lavori sono utili, oggi?

Io lavoro per la pubblicità. E quando faccio ciò che mi piace, per la produzione di un materiale che celebra la bellezza (un certo tipo) in sé. Utile?

Certo, in questo momento è inutile fare il capriccetto perché non ti riconoscono esistente. In tempo di guerra, di carestia, di mancanze … si va verso altri gradini della piramide dei bisogni. Io però non sono fatto per un mondo che sopravvive, ma per quello che vive.

Nel mondo che non vuol più spendere per ciò per cui desidera vivere di solito è lo stupore a vendere, il mirabolante, il virtuoso, il “di difficile esecuzione”.

Di nuovo: la mia ancora di salvezza è la morte. Devo fottutamente ricordarmi di riuscire a procurare la bombola di monossido. Con quella a portata mi sentirò libero di autoliberarmi, come dice quello.

la luce nera in fondo al tunnel (cosa c’è per me?)

Il mio barlume di speranza è la morte. Ironica visione, no? Non una speranza in qualcosa che funziona, ma speranza in qualcosa che ponga fine alla sofferenza. Viziati oltre ogni dire, rispetto a chi mangia una ciotola di riso al giorno e si dice che la vita è sofferenza e che prima lo impari e meglio è. Ma no, io mi guardo intorno e mi dico che non c’è più niente per me. Continue reading →

A chi serve un fotografo?

A risposta di questo articolo, tra le varie altre, trovo “Tutti sono capaci di cucinare, ma gli chef esistono ancora”

E io sono quel fotografo?

non lo so davvero.
Quello che mi chiedo è : a chi serve un fotografo? Avete tutti un cellulare. Pressoché ogni cellulare ha una fotocamera più che decente, di sicuro permette di ottenere risultati migliori di qualsiasi compatta del pre-digitale.
Quasi tutte ormai hanno una messa a fuoco dignitosa. Colori, veri o meno, accettabili, così l’esposizione media.
Ma questo discorso dovrebbe essere valido per chi si occupa(va) di sviluppo e stampa da negativo. La stampa non si usa più, è un vezzo. Uno splendido vezzo, il desiderio di tangibilità. Ma resta marginale rispetto al mostruoso numero di immagini che ogni giorno ognuno di noi cattura: la fotografia, dunque, come tutti dicono con un minimo di obiettività, è più viva che mai. Non si tratta della pittura. E’ strumento quotidiano. Grandi foto di gente in pantaloncini davanti a qualcosa si facevano tra gli anni 80 e i 90 e si continuano a fare anche oggi. Oggi magari sono riapparse le foto di festa, tante foto di gente che si sta divertendo. Ogni bevuta, ogni momento di incontro felice, di coppia di amici e amiche, di fidanzati, di infiniti animali da compagnia. Non è morta.
Ma un fotografo è un’altra cosa. Un … cosa? Fissato di un’estetica? Di una qualità di un certo dettaglio? Dello scatto immediato? Di una vecchia tecnologia piena di grossi cristalli pesanti? Della consapevolezza che quei due scatti sono diversi anche se non se ne accorge praticamente nessuno?
O come sempre la foto si fa senza fotocamera, prima, e poi si fa CON. E quello è il fotografo? Il fotografo è qualcosa di diverso, che ha a che fare con un pochina meno nonchalance con ciò che fotografa. Gli interessa di più, assapora di più e quindi poi lo fa assaporare di più anche a te?
Io col cellulare non ho abbastanza controllo. Le mie foto col cellulare fanno cagare. Mi fanno cagare. Penso che le mie foto con una compatta (digitale) siano un’altra cosa. Forse perché anche in quel caso cerco uno strumento che faccia quello che dico io. Ecco, forse. La foto col cellulare la fa molto più il soggetto del fotografo, a prescindere dal tipo di foto.
La tristezza nel pensare che fai una cosa senza senso se non che per te, come mestiere, ti rende ridicolo, fuori tempo, assurdo. Cosa devo fare, l’artista?
Questo tipo di pensiero mi viene in mente solo ogni tanto, quando vedo qualcuno che ha lasciato del tutto per motivi economici. “non te le paga nessuno” “il reporter non esiste più” “si può fare col cellulare” “a chi interessa?” sono tutte cose sensate. Vere. Forse però proprio la possibilità, l’onore, la fortuna di poterlo fare oggi, momento in cui tutti possono creare immagini in qualsiasi momento senza alcuna fatica, competenza o dispendio economico specifico (vogliono il cellulare, poi ok, c’è dentro anche una discreta fotocamera) , dovrebbe farmi respirare di nuovo.
Come sempre bisogna essere anche realistici, guardare i guadagni.
Ma l’impegno? Quanto impegno?
Però il mio programma mi tira su, quando mi sento sprofondare. Non è il programma di una vita felice a farmi andare avanti: non ho vere speranze in quello. Non posso più dirlo in giro. Fa male a tutto, persino come calcolo, non è opportuno. Me lo tengo per me: devo pagare dei debiti, uno grosso, uno meno, e suicidarmi.
Nel frattempo, mentre vivo, ci sono cose che mi fanno anche piacere e cerco di farle. Ora devo aggiungere “cercando di non ascoltare la gente che mi chiede perché, se sia sensato, se sia lavoro”.
Assolto il compito di sopravvivere ogni giorno, la fotografia di nudo la farei comunque. Con soldi da buttare nel cesso a prescindere dall’interesse del mondo, farei anche mostre ovunque, con stampe, gigantografie: riempire di bellezza il mondo, che la si consideri arte o meno. Non sai che fare, entri in una mostra in cui ci sono foto decenti di splendidi esseri umani nel fiore della vita. Ti ho migliorato la vita anche di poco?
Certo, una stampa decente costa parecchio.
Ora sono troppo giù. Per fortuna Fear Inoculum sembra fatto apposta per stare in cuffia a ripetizione all’infinito, lungo, lento, atmosfera, suono ottimo, di tanto in tanto uno schizzo di violenza sonora.
Dopo il secondo ascolto credo che comprerò il CD, appena sarà disponibile in formato standard. Le follie intermedie non aggiungono qualcosa di davvero imperdibile. E visto che mi ci hanno costretto, me lo sono già procurato, per cui lo dico a ragion veduta.
Secondo qualcuno a loro* di noi non frega un cazzo, anzi, forse li infastidiamo un po’. Ma a me migliorano la vita. E diosolosa quanto io abbia bisogno di poterla chiamare vita.
*i Tool

farsi schifo #20192382934876

puf. Ecco che mi faccio schifo. Ecco che so che tu mi leggi e non so più da quale parte guardare per vomitare fuori il mio schifo. Il mio vicolo scuro e umido, con l’acqua che cola alle pareti e il fumo illuminato che opportunamente filtra dalla via principale e stranamente tutto quanto è un po’ umido per terra, bagnato. Che poi quando vai in città mica è così, come mai?

Perché la luce si riflette sull’acqua e crea un effetto drammatico. Perché l’asfalto diventa più scuro se è bagnato. E il fumo? Effetto drammatico. La luce colpisce qualcosa invece di niente, crea qualcosa dove non ci sarebbe nulla. Lasciamoci distrarre da questo nozionismo del cazzo inutile che probabilmente si può imparare ravanando (ruffolando! 🙂 ) un po’ su internet con un po’ di attenzione. Ma divaghiamo, dilaghiamo ancora un po’: alcune foto scattate negli stadi 30 anni fa ed oggi in condizioni identiche risultano differenti. Era il fumo. Il fumo cambiava completamente il modo in cui la luce si diffondeva e la sua mancanza in cui oggi si diffonde. Continue reading →