Assistente fotograf* a Milano eh!

Incontro un tipo che una volta faceva, e forse talvolta sporadicamente per conto terzi fa, il fotografo. Ora fa il rappresentante/venditore di macchine da taglio; seghe per legno, ed altri materiali, non so. Mi chiede “queste foto, si vendono?”; gli accenno della crisi mondiale. Mi dice della figlia di MDM che “lavora a milano”, “fa l’assistente” – mi dice. Si lavora molto, a Milano. Fa riferimento a lavoro attorno al settore della moda, intuisco. Collezioni continue, “non come una volta con il lavoro tutto concentrato in un momento”. Beh buono, penso, se stai li. Poi scende nel dettaglio un po’: fai il setting delle luci (e fin qui mi pare che sia una buona abilità tecnica ancora “da fotografo”, ci sta, pollice in su) e poi sostanzialmente stai a bordo-campo in tethering a ricevere il tutto con Capture One (butta lì con schifo “oggi NESSUNO USA PIU ADOBE” … vabbé, se lo dici tu) fare selezione al volissimo e. E niente non finisce. Finisco io, dai, sarà quality check al volo, osservazione del dettaglio e poi si sbatteranno il ritocco del selezionato.
Dice che in pratica gli assistenti sanno usare il computer e i titolari no. Beh ma per quanto? Ed è “fare il fotografo” questo? – mi chiedo io. Per me non tanto. L’assistente fornisce assistenza, oppure siete una squadra, al massimo. Ma così: tu sei un venditore e un figurante. Non c’è giudizio morale in questo, sia chiaro, constato solo “chi fa cosa”. A me fare il fotografo non dispiace mica. Trasportare oggetti necessari non mi piace, lo può fare chiunque sia in grado di trasportare un peso, che si tratti di attrezzatura fotografica oppure per la depilazione di pecore, di stesura fibre ottiche, di asfaltatura alla crema pasticcera agliata. Fa lo stesso. La parte di QC / selezione / ritocco è certamente importante, tecnica, specialistica, perfettamente attinente alla professione fotografica di questo momento. Ma non tieni in mano la fotocamera. Non ti approcci al soggetto, non stai facendo la foto, non mi pare di notarne tantissimo nemmeno l’art-direction.

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“La teoria la so tutta”

Parlavo con B, quei 10 minuti al giorno in cui guarda altra roba e in qualche modo con un orecchio mi ascolta, con l’altro ascolta tablet e cellulare, ma ha la grande abilitàò di ripetere le ultime 10 parole correttamente per cui sembra che mi ascolti, ma poi a volte ascolta davvero, specie se ha iniziato lei. Mi diceva che P è incredibile perché ha studiato psicologia eppure si comporta in quel modo. Mi ha ricordato la donna lunare, che spero ora il più felice possibile con qualcuno accanto che non sono io, che diceva sempre “la teoria la so tutta”, a ricordare che aveva sentito e letto molte cose che riguardavano i suoi mali.

Spesso abbiamo la mappa, le foto del luogo, persino cartoline con la foto di chi ha raggiunto la meta, ma niente dentro di noi per percorrere serenamente il tragitto.

La spero sempre felice.

Una delle luci che ha acceso in me è stata quella del “se non mi amassi ti farei cagare”. Proprio scrivendo qui (nella versione del blog in cui ci conoscemmo) ne avevo parlato e lei ironicamente mi scrisse “fattene una ragione, vieni apprezzato per le tue qualità umane”. Come dire “buttale via… perché ti fa schifo?”.

Ma perché per me è come essere educati. Cioè, il problema è NON esserlo, la normalità è esserlo, la virtù è qualcosa di eccellente, che so… restare educati e pacati in situazioni difficili. Ma è come respirare. Io respiro e Usain Bolt respira, se usain bolt è amabile o meno, questo non lo rende meno forte. La sua forza è misurabile, il record lo stabilisce anche se è antipatico.

Amore, infatuazione. “Mi stai sul cazzo e spari cazzate ma ti amo”. Per me questa cosa non esiste. Esiste invece “talvolta spari cazzate, talvolta fai cose che non sopporto e non sono queste quelle per cui ti stimo e che mi attraggono, ma di solito ragioni, di solito fai cose che mi piacciono, in generale ed in particolare nei miei confronti”. Questo è sensato. Ma quando ti piace questo perché piace a me, fai questo perché piace a me… qualcosa non va, qualcosa è pronto a spezzarsi, il tuo pensiero è pronto a diventare “e io che ho fatto tutto questo per te! TI HO DATO i migliori anni… ” eccetera, “solo perché ti amavo!”.

Ma se stavi male che cazzo?!?!!!! Se NON VOLEVI FARE non dovevi fare. Se non ti piaceva fare, non dovevi fare. Se non amavi parlare o ascoltare, non dovevi farlo. E questo proprio mentre amavi la persona. Perché proprio mentre la amavi le stavi mentendo. Ti succhio il cazzo perché piace a te.

Ma che schifo! Te la lecco solo perché piace a te? Ma che schifo!

Ti ascolto mentre sproloqui e affermi assurdità insensate perché ti amo e non ti dico niente perché ti amo.

Magari anche se non mi ami puoi dire solo “non sono d’accordo ma soprattutto sono argomenti che mi interessano poco e non ho voglia di investirci tempo ed emozione, mentre invece lo farei su questo questo e questo”. Ma se non lo faresti nemmeno in altro, ecco, mi chiedo: ma perché esiste questa relazione? Amicale, di frequentazione, perché?

photographer in his studio

Se invece la spostiamo sul “fare qualcosa”, diventa una aberrazione ancora più grande: vengo da te a farmi i capelli perché sei simpatico. E se ti monco un orecchio? Se ti faccio un taglio sbagliato? Anni 30?

Vengo da te, fotografo, perchè sei mio amico. Conosco te. Si ma ti fa schifo il mio stile o comunque non te ne frega un cazzo perché vuoi quello che vuoi tu, che è il contrario di quello che faccio io.

Vengo da te perché mi stai simpatico. Mi fa uscire pazzo. Chiaramente io sono felicissimo di starti simpatico, su questo non ci sono dubbi. Non mi piace starti antipatico, amo relazioni allegre, magari gentili. Ma quello che faccio è importante: se per te non conta mi sento una troia. Perché tu compri il mio aspetto umano e non la mia prestazione lavorativa. Che sia un problema mio può darsi, che sia anche un problema della mancanza di rapporti umani? Cioè finisci per pagare una cosa che dovrebbe eserci sempre?

Certo non ti prendo a calci in culo “vattene, non ami la mia arte, ami me!”. Ma qualcosa si rompe. Cerco sempre di pensarci “ma questa persona ci capisce qualcosa? vede la differenza?” e di dare comunque il meglio che posso, contanto che il risultato lo vedrà qualcuno che non sta vivendo l’esperienza.

Fatto sta che in una auto-meritocrazia mi sembra un imbroglio, un inganno, un agitare le mani per distrarti da una macchia sulla mia camicia, sulle mura imbrattate, sulla mancanza di qualcosa per cui eri invece entrato da me. Come se la mia gentilezza fosse un gioco delle tre carte e tu te ne uscissi con qualcosa di cui io non sono soddisfatto e tu non sarai orgoglioso, magari chiedendoti perché costi così tanto… che non era mica poi così tanto simpatico quello la eh.

Quello che ti offre un bar, un locale, è differente da quello che ti offre il fornitore di un servizio, anche alla persona, anche artistico. Da ritrattista sono il primo a dire che la relazione è fondamentale. Ma se è un matrimonio, un reportage… le foto le dovrai guardare, no?

Depressione, orario, cibo?

Mi alzo normale, vado sul gruppo FB di nota associazione fotografica profesionale mentre sono sul cesso, leggo la testimonianza di un tipo: riporta quella di una ragazza che è stata in stage da un altro fotografo e hanno fatto matrimoni col cellulare. Chiede opinioni.

Naturalmente si finisce sempre per citare frasi e aforismi di famosi fotografi del pre-digitale. Credo che il mezzo fotografico di espressione non sia sufficientemente vissuto dalla popolazione tutta per poter essere guardato come la scrittura o la musica. Qualcosa che, in un modo o nell’altro, diventa alla portata di tutti. Eccomi qui, io scrivo. Ma non vivo di scrittura. Una appassionata scrittrice, di quelle che fanno la scuola di scrittura, sicuramente più preparata, competente, colta di me, mi fece tanti complimenti che porto con me. Certo, era innamorata, quindi: posso crederle? Non lo saprò mai. Ma non scrivo per mestiere, nessuno paga per avere il privilegio di leggere ciò che produco, per averne una copia, per riconoscermi il valore monetario della mia fatica e proprietà intellettuale. Evidentemente non ce n’è motivo, mica è taccagneria. Se puoi cucinarti “du’ ova” da solo, lo fai, mica aspetti Cracco: anche se dopo aver visto come le prepara, su youtube, mi levo il cappello e respect to you. Non mi pagano per scrivere testi per qualcuno. Non ho intrattenuto né cambiato la vita a qualcuno con i miei testi. Eppure in qualche modo, come tanti di voi, so scrivere. Ecco, questo fa di me uno scrivente ma non uno scrittore. E così, citando Smargiassi, il fotografare rende molti “fotografanti” ma pochi “fotografi”. Al di là di chi ha passione per questo genere di approfondimento però, esiste il mestiere.

Chi fa questo mestiere è stato prima appassionato e poi lavoratore. Magari ha mantenuto la pasione ed accresciuto la cultura.

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3 piacevoli sorprese

Giornata strana questa. Il finale quantomeno.

Affianco al mio lavoro di fotografo anche quello del Social Media Marketing, ma solo per selezionati clienti, ovverosia gente che non devo stare a convincere che gli serve: lo sanno già. Non ho intenzione né voglia di vendergli una cosa che serve a loro. Se vieni da me sai che ti serve e che non te lo fai da solo: o non sai come fare, o non sei in grado, oppure hai altro da fare, tipo il tuo lavoro.

Mensilmente questo mi dà una mano. Compreso nel prezzo c’è il recarsi fisicamente presso la sede del cliente DUE volte al mese, al massimo.

Vado, arrivo e c’è una dipendente che era incaricata di fare video meno personali e più informativi. Mi accoglie con “mio dio che ansia!”. Facciamo.

In previsione c’era che arrivasse la persona (moglie titolare) principale della faccenda e una cliente che le avrebbe dato una mano in qualità di personaggio “cliente” in modo anche da fare promo della attività di quest’ultima (scambio favori).

Facciamo, finiamo.

Arriva il titolare, mi dice privatamente che di quello che fa sua moglie non gli frega, non apprezza il contenuto ma il risultato, che a lei mente e le dice che guarda tutto, ma non è vero, si annoia, non gli piacciono i video. A me, da comunicargli, interessa solo che a mio avviso il segnale che lui si rompe è un indicatore che il target “maschi” non lo raggiungiamo bene. E che a parte la figa, che è bella ma lui vende altro, come argomento servirebbe qualcosa che attira gente come lui, anche.

Comunque sorpresa sorpresa, esce un attimo, rientra e mi smolla dei soldi. Non sono tanti, ma è un quarto del pagamento mensile. Penso sia un anticipo: no, è la “tredicesima”. Uh? Dice che ha dato a dipendenti e collaboratori un riconoscimento in una cena che avevano fatto. Ma io avevo troppo sonno e non c’ero andato. Allora me li ha dati così.

Bello. Vado. Felice per i soldi ma triste per tutta una serie di atteggiamenti che lui ha con la moglie, con cui io lavoro sempre. Penso che i soldi li fa lui, non io. Si spacca la schiena, sa fare i conti, è di poche parole e detesta chi invece ne usa molte.

Mentre torno a casa mi arriva una richiesta di contatto su FB: è la cliente-cliente. Mi chiede info sulle mie foto, le spiego dei nudi e del lavoro commerciale. Mi dice che adesso non ha soldi ma le piace come lavoro e che ci sentiremo.

Sorpresa #2! Chiedo maggiori dettagli: si, non avevo capito male, le piace come lavoro nell’ambito SMM (mi ha visto ed ha partecipato alla preparazione di un video il cui livello di contenuto era quello delle scuole medie, e per il resto… un cellulare stabilizzato e una regia “pastorale”, cioè fare il cane pastore “tu! Qui, fai questo! TU! Torna, no!!!! Non andare! Resta qui e fai questo! Ora dì questo, sorridi, fai quella faccia lì!”).

Basisco. In pratica è una potenziale cliente. E mi sembra una decisa.

Arrivo a casa, rifletto su un video di un tizio che ci ricorda che la cultura non deve essere gratis, che fornire lavoro culturale è sempre valore e nel frattempo …

Sopresa #3, mi arriva un messaggio della dipendente-ansia con “mi sono divertita! Grazie!”.

Sono stranito.

Cioè… mi sento strano proprio. Io non sono pagato per intrattenere le persone. Ed il lavoro è stato fatto ma… questa gente mi dice “grazie mi sono divertito/a”. E anche quando faccio il mio lavoro fotografico capita.

Ne parlo con B. … e cavolo… ma quando mai nel vecchio lavoro ci capitava di dire “hey, caro collega, grazie, mi sono divertito oggi, ci vediamo domani al lavoro!”; lo avresti guardato pensando “è andato del tutto”.

E quindi anche se volevo morire come sempre, beh non importa, sono grato, grato a tutte queste persone di avermi dato il feedback che con loro non sono stato la merda che so essere. Qualcosa di buono, se tocco solo superficialmente le persone, lo posso dare.

quanto sono belle

Quanto sono belle le mie modelle? Ogni volta che sto sistemando, come direbbe qualcuno “sviluppando”, le foto che ho scattato, in vista di consegnarle nei tempi stabiliti a loro, le modelle, mi ritrovo incantato dalla loro bellezza totale. Libera, nuda, prepotentemente disarmante, innocentemente travolgente. Sono giovanissime e di sicuro stanno andando verso la definizione della loro vita. Quello che fanno con me non è il loro lavoro. Quello che penso è che mi affidino un’anima di un momento, come se si chinassero un momento dal treno del tempo, giusto il tempo di consegnarmi un fascio di fiori della loro totale nudità, bella, sfrontata a volte, difficile quasi sempre per il posto in cui viviamo, e che poi come il portellone di un vagone merci questo si richiuda, andando avanti. Dove saranno, cosa faranno queste splendide ragazze della loro vita? Come si serviranno di questi splendidi corpi? Saranno felici? Conserveranno questa sicurezza orgogliosa?

Non è scontato che l’anima di quel momento possa essere conservata. Non lo è per la maggior parte di noi. Ricordi di giovani corpi vivi e vibranti, meravigliosi e pieni di potenzialità.

Una di loro ha un tatuaggio che ricorda non tanto la caducità (non era l’intenzione di madre e figlia che se lo tatuarono assieme), quanto lo scorrere del tempo. Quando lei sarà una vecchia io sarò morto. Ma lei stessa giovane, in qualche immagine, la guarderà orgogliosa di una pelle bianca liscia ovunque, di delicatissime colline tra le cosce e il ventre piatto, occhi di cristallo e capelli lisci lunghissimi. Forse la moda farà scomparire tutto. Forse lo farà la guerra. Forse tutto questo scomparirà per gli umani (surriscaldamento globale?).

Già una di loro non mi rivolge più la parola, ha capito che voleva soldi e l’ho capito anche io. La sua bellezza totale, però, è catturata per sempre da tre anni. Nessun altro l’ha fotografata così, che io sappia. Lei stessa lo ha impedito … naturalmente senza tener presente che il tempo passa e non sarà mai più così bella. Magari di più? Ma di certo non così.

Ogni due o tre foto io faccio tanto d’occhi. Esclamo, sospiro. Ah no, no, niente seghe, se mi credete così sbagliate. Si potrebbe, non lo nego: si prestano, sono potenti. Ma c’è così tanta bellezza … la componente sessuale viene anche in questo caso travolta, per me. Certo, quella ragazza così bella potrebbe essere scopata, vissuta, in quel momento di totale bellezza. Ma come sempre dico, sempre, la bellezza non te la puoi scopare. Lei resta li, non si esaurisce, non viene toccata, splende e tu non ne hai presa neanche un po’. Puoi scoparti lei, l’essere umano che la porta.

Lo farà il suo amore, il suo ragazzo. Lo avrà magari fatto quel giorno stesso. Ma in quel momento lei era bellezza pura. Scatto dopo scatto.

Che cosa bellissima posso fare.

Chissà per quanto.

posso festeggiare la festa della donna, padrone?

Narro questa cosa perché raccontata di persona ad una donna, sembrava stupita della mia eccesiva sfrontatezza, immagino. Non sono un eroe né un pazzo: le condizioni lo consentivano.

Risultati immagini per schiava

Come sapete , da fotografo, cerco modelle e modelli tra la gente: per strada, nei locali. Ero in una steakhouse, individuo la tizia, guardo bene, ok vado. Vado al tavolo, le faccio il mio discorsetto rapido introduttivo. Lei non proferisce verbo e si gira verso il maschio (c’era anche un’altra tizia) e lo guarda in faccia, aspettando.

Per fortuna lui fa un mezzo sorriso sorpreso del tipo “beh? perché guardi me?” e a quel punto io dico “beh sempre ammesso che lui non sia il tuo padrone: in caso per favore ditemelo che contratterò con lui sul prezzo, ho una buona quantità di cammelli. E’ il tuo padrone?”.

Ha risposto lui ridendo, per fortuna, dicendo “ma no no, non siamo neanche assieme – si gira – e poi oh, decidi tu quello che vuoi fare, no?”.

Per fortuna.

Ma capita tanto, anche in un altro modo, che mi rattrista maggiormente: stessa scena ma con ragazzine tra i 16 e i 18 che guardano la mamma invece (non “prima”) di rispondere, con la chiara espresione “rispondi tu per me”. E spesso non sbagliano: la mamma è ben felice di vedere che il loro cagnolino è ben addestrato. Non sono in posizione di vigilare. Sono in posizione di imporre la sostituzione della volontà. E le ragazzine sembrano ben felici di essere esonerate da questa responsabilità, liberate dal peso di parlare, di decidere, di pensare, di rispondere.

Certo, certo, siamo stati tutti giovani eccetera. Ma eravamo incoraggiati a non essere timidi. E non ci lasciavano soli. Eravamo accompagnati ma incitati ad essere autonomi nelle risposte, perlomeno di base. Poi quando iniziavi a pensare sul serio allora iniziavano i “perché si” ma questa era già evoluzione!

non ti do il copyright! (minchiata)

Questa cosa la spiego ad ogni nuova persona che arriva in studio per posare. Credo che tutti debbano saperlo.

Prendete una macchina fotografica in mano. Fatto? Ora siete fotografi. Fate una foto. Fatta? Siete autori! Sulla foto che avete fatto voi AVETE IL DIRITTO D’AUTORE, ovverosia il cosiddetto “copyright”. Il CopyRight è vostro. Se avete fotografato vostra zia, il copyright è vostro, non di vostra zia.

Quindi se vostra zia dicesse “hey! non ti do il diritto d’autore per questa immagine!!!” oppure “guarda che non ti do il copyright!” starebbe dicendo una o l’altra minchiata.

Il diritto d’autore ce l’ha l’autore. L’autore sta dalla parte dell’obiettivo che non cattura immagini. Sta dall’altra.
Il diritto d’autore inizia ad esistere nell’istante in cui avviene lo scatto, è automatico, è intrinseco, non serve chiedere o dichiarare niente a nessuno. Se l’opera fotografata è una “mera riproduzione della realtà” o “di carattere creativo” si discute.
Il diritto d’autore comunque non ce l’ha la persona ritratta, poiché, tranne in caso di autoritratto, non è l’autore.

La persona ritratta ha il diritto all’anonimato, o diritto alla privacy. Questo significa che in luogo PUBBLICO non può opporsi (a parte schermendosi) allo scatto della foto o alla sua registrazione (pellicola, scheda di memoria). Ma è l’unica che ha il diritto di autorizzarne la pubblicazione. Rinuncia a questo diritto in due modi: 1) con il proprio comportamento, ad esempio facendo lo youtuber, andando in TV, diventando una persona di spettacolo o comportandosi in modo tale da risultare nota, anche attraverso la politica od una carica pubblica dello stato 2) attraverso la manifestazione del consenso, che normalmente avviene in forma scritta: questo documento si chiama “liberatoria” o “model release” in inglese.

Non è necessario che il consenso sia manifestato in questo modo: potrebbe essere un piccolo video, potrebbe essere un documento elettronico di provata efficacia (esistono delle app). Ma la forma scritta è la più comune, facile, abbastanza sicura.

Il diritto all’immagine è un po’ diverso. Il diritto allo sfruttamento (vari tipi) dell’immagine è ancora diverso.

Queste sono informazioni “base” senza complicazioni grandi, eccezioni, postille ecc.

Speriamo sia di pubblica utilità.

 

bariste ovunque!

E’ venerdì. Ormai sono schiavo del frittino ambulante. Il furgoncino-baracchino di un tipo che viene da una grande città vicina, nella quale hanno un ristorante coi controcosi, di quelli che “teniamo aperta la cucina parecchio perché sai , arriva gente bene anche alle 15 … sono abituati che quando arrivano arrivano… e quindi…”.

Quindi la parte “gastronomia” sotto vuoto che hanno li … ecco, arriva da un ristorante di questi. Ma io vado li per il frittino. My god. La mia dieta ora mi consente variazioni interessanti. Ma il fritto è sempre fritto. Certo, quello è più leggero, e c’è la tempura, e tutto quello che vuoi. Comunque è ultra stra mega fanta deppiùBBuono.

E io me lo pappo.

Poi vado a pijiarmi il mio caffettino nel mio barettino fighetto (al mio livello, non frequentato da fighetti) preferito, ancora cantando le lodi del baracchino e proponendo a Matteo di inventare un progetto, una collaborazione un salcazzo cosa ma bisogna.

La giornata della raccolta-modellaggine non era male.  Continue reading →

#nondirloalfotografo – cosavuoichesia

Hola a tutti! Per il nostro consueto appuntamento #nondirloalfotografo oggi abbiamo la consunta versione fotografica di “cosa vuoi che sia, per te son cinque minuti”, presente in ogni fottuto mestiere che non sia il vostro. Ecco a voi:

dai tanto sono giusto due scatti #nondirloalfotografo

Ci sono vari modi ti cagare in faccia il vostro disprezzo intrinseco per la competenza del lavoro di qualcun altro. Uno di questi modi è farne una valutazione riduttiva, o meglio minimizzare e soprattutto sminuire aprioristicamente sforzi, dispendi di energie od economici, di tempo, di impegno o di qualsiasi altra cosa sia necessaria all’ottenimento di un risultato : ma non da parte vostra. Continue reading →