che morte non la separi, la casa.

Che sia il Coronavirus o che io finalmente proceda con il mio suicidio, ho sempre pensato di essere a posto con B, in quanto non la lascerei con un debito mio da pagare. Lei avrebbe il suo, ma il mio verrebbe estinto dall’assicurazione nei confronti della Banca.

Certo ma questo non risolverebbe il problema della proprietà e quindi anche dell’eredità. Cioè la mia metà della casa non verrebbe ereditata da lei, visto che siamo semplicemente coinquilini e comproprietari di un bene. La mia metà, in caso di morte, andrebbe automaticamente ai miei eredi … familiari. Quindi ai miei genitori ed ai miei fratelli. Una bella merda per questa povera donna.

Non voglio che accada.

Voglio che lei sia tranquilla. Continue reading →

I cortili di lockdown county

Da queste parti la gente si dà da fare. In questo periodo si vede anche quanto questo sia dannoso. Devono fare. Aspettare mai. Pensare, discutere e poi – solo dopo – fare: quello non dico mai ma raro, rarissimo.

Ad ogni modo oggi la voglio vedere positiva. Ci sono molti cortili splendidi, quasi tutti con entrata ad arco, spesso piccolini rispetto all’arco che li precede. Alcune volte di cementaccio, altre volte di sasso e malta, altre ancora di mattoni arancioni e malta. Ma quasi sempre ci vedi il bello che potrebbero avere. Solo che sono lì fermi da sempre. Non li ho mai visti muoversi di un solo millimetro verso la miglioria, cosa che invece in una provincia adiacente fanno sempre: restauri conservativi splendidi. Di solito si muovono verso il basso, cadendo a pezzi, perché pieni di legno senza manutenzione, che marcisce e si sfalda. Continue reading →

Panchina

Rieccoci dunque. La sensazione familiare, sgradevole ostile, che ti ricorda questo viaggio in solitudine non voluta. Era davvero troppo tempo che mi sembrava di essere tornato in quell’istupidito intorpidimento della normalità del sopravvivente. Non-amato, non-desiderato, non-attraente. Buono, se va bene, per sé.

Di tanto in tanto anche B, la mia calma, gentile, amabile e paziente convivente è semplicemente umana, stanca, infastidita… non in grado di nascondere che starebbe meglio se io non ci fossi, molte volte.

Siamo sempre stati due individui, ben separati, persino quando ci mettemmo assieme. Ma c’era altro e c’era tenerezza, quantomeno, quando l’attrazione forte fu – da parte mia – persa.

Quando vedo lo status da sposati, non da conviventi nemmeno amici o studenti, allora questo mi mette tristezza. Mi sento sopportato, ho voglia di cambiare stanza. Per fortuna ce l’ho. Per fortuna ne ho almeno un paio. Non è il coronavirus, non è assolutamente questo. Lei lavora, io non ho cambiato modalità lavorative o ritmi strampalati negli ultimi 7 anni. Questo è.

Ogni tanto però mi sento un bambino capriccioso in ADHD malsopportato da un genitore, non una persona con un legittimo desiderio di comunicare con altri. Non è il momento, per gli altri. Hanno altro da fare gli altri. E certo, quello che la mia mente o il mio cuore hanno partorito ormai è partorito. Ho forse bisogno di farmi fare dei complimenti o di esporre ad un pubblico plaudente quello che ormai è stato pensato?

Ma nel dialogo ci sono le opinioni altrui. Sono già uno che si deve giocare la sua partita mentale muovendo sia i bianchi che i neri in questo. Ma a me va di averlo, il dialogo, il riscontro, la seconda mente pensante.

Il ragionare di cose, come si diceva cento anni fa.

Persino manifestare lasciare che sia percepibile il mio malessere, in questa situazione, non mi va. Per fortuna ho una stanza in cui non mi si vede. Sono sceso li, mi sono messo sul provvidenziale divano, ho spento tutto, mi sono coperto, ho dormito un paio di ore. Da quanti anni lo faccio questo? Da 30 anni. Lo facevo quando tornavo da casa e certo, non volevo sentirmi chiedere cose dai miei, né avere scontri. Tornavo dal viaggio di ritorno da scuola e mi buttavo sul letto, braccia sotto, mani unite fra le cosce, occhi chiusi, un po’ di legno, finché non mi ammorbidivo, saliva un po’ di caldo, arrivava il dormiveglia. Ho fatto passare molto del mio tempo a non-esistere, in totale solitudine, non visto. A dimenticare senza bere, ma con lo stesso meccanismo.

Oggi un’amica mi ha mandato una possibile partecipazione a “nude magazine”, che sicuramente non paga un cazzo. Ma del resto non ho mai pubblicato da nessuna parte, e a questo punto mi sono anche chiesto… ma chi cazzo ti credi di essere? Quello che fai ti piace, e sicuramente la figa piace a tutti, ma per essere considerato un prodotto artistico deve ricevere consenso e riscontro, cosa che tu non hai mai cercato… e anzi, a questo punto… ti troveresti proprio in quel paragone che non sai mai sopportare, la classifica di chi è meglio e peggio, chi merita di sopravvivere e chi no, di chi viene chiamato nella squadra per giocare.

Io non sono in panchina. Io sono la panchina.

Un po’ di questo scoglionamento me lo ha anche passato il buon R.T., coordinatore dell’ass.naz.fotografi che in un video, con ragione, cercava di riportare alla ratio della legge che ha lasciato fuori dal lockdown i codici ateco relativi alla fotografia tutta, quando probabilmente intendeva i fotoreporter , utili a fornire informazione alla nazione. Tutto il resto non è utile. Ma certo chi farà il reportage eroico se ne fotterà. Più sarà esteso, ben fatto, spettacolare e meglio sarà. Si ricorderà qualcuno del contesto in cui altri si sono attenuti alle regole? Chissenefrega. Quello che mi è restato ha il sapore solito del “ma vai a fare un lavoro vero che questo non è utile”. Naturalmente si tratta solo di essere permalosi. Chiunque sia in una fabbrica fa un lavoro “vero”, ma è utile? Supponiamo stiate producendo diamantini finti che finiscono nella bigiotteria. Non potete dirmi che sia utile alla nazione. E così via. Quanti lavori sono utili, oggi?

Io lavoro per la pubblicità. E quando faccio ciò che mi piace, per la produzione di un materiale che celebra la bellezza (un certo tipo) in sé. Utile?

Certo, in questo momento è inutile fare il capriccetto perché non ti riconoscono esistente. In tempo di guerra, di carestia, di mancanze … si va verso altri gradini della piramide dei bisogni. Io però non sono fatto per un mondo che sopravvive, ma per quello che vive.

Nel mondo che non vuol più spendere per ciò per cui desidera vivere di solito è lo stupore a vendere, il mirabolante, il virtuoso, il “di difficile esecuzione”.

Di nuovo: la mia ancora di salvezza è la morte. Devo fottutamente ricordarmi di riuscire a procurare la bombola di monossido. Con quella a portata mi sentirò libero di autoliberarmi, come dice quello.

Io vivo sempre così ( cronache da un Corona World )

Mettetevi un disco ambient di Brian Eno qualsiasi. Non quelli con la voce. Non le collaborazioni. Brian Eno vero. Se non fa per voi non importa, tenetelo e guardate fuori la notte, fermi alla finestra o in terrazzo, se ce l’avete. State li un po’.

Dissolvenza su nero, passate ad un largo schermo di computer.

Io vivo sempre come ora voi state vivendo in questo momento. Io #restoacasa quasi sempre. Tutto sommato è, per il 75% del tempo, il mio posto di lavoro. Quindi quando voi andate al lavoro e io vado “al lavoro in ufficio”, stiamo facendo la stessa cosa. Ma io lo faccio a casa mia. Quando scatto, momento bellissimo, origine della “materia prima”, sto solo facendo una piccola parte del lavoro.

Ora, proprio adesso che siamo in “isolamento fiduciario”, in quarantena come continuano a chiamarla tutti, io non noto grandi differenze.

In questo momento vorrei che – senza che muoia nessuno – restasse tutto così, fermo, mentre io con lentezza procedo, egoisticamente, a cercare di fare due soldi, a cercare di imparare cose. Ma con lentezza, calma. Senza correre. Perché spesso noi corriamo solo perché dobbiamo, non perché vogliamo. Molti hanno una indole più sbrigativa. Io talvolta, ma solo se lo sento io. Ora invece mi fa sorridere vedere gente che non sa che cazzo fare della propria vita se sta in casa. L’eternità in questa modalità non mi sta stretta, non mi è insopportabile. Sarà il periodo. Continue reading →

tempus fugit #293847

Vado da T per fare i consueti video per Facebook, ora più che mai con la “situazione epidemia” serve un po’ di promemoria e di simpatia nei confronti di chi – davvero – resta a casa. Lo facciamo. Trovo lì una vecchia signora, che si rammarica per il più grande errore della sua vita: essersi sposata. Credo sia il suo copione, quello che dice sempre a tutti. E credo sia anche “frequentare persone interessanti”, cosa che devo essere improvvisamente diventato agli occhi di questa pensionata in cerca della libertà perduta, che non tornerà mai cara la mia Signora: essere una bella tedesca scarrozzata per 30 anni in mezza Italia sembra non averti dato fastidio per un bel po’. In cerca di orgoglio, di rivalsa, di riconoscimento di valore, desiderava immagino un’invito ad una chiacchierata da qualche parte. Ma io già ero li per comprovati motivi lavorativi, anche unpo’ tirati. Però sarebbe stato interessante. Non mi dispiace mai parlare con vecchie signore. Parlare e basta, ascoltare e parlare. Chiacchierare. Sono così rare poi, quelle con cui puoi davvero avere un dialogo. Pensare che poco prima nello stesso posto c’era una relativamentegiovane signora vuota, stupida, che rideva molto di quelle che credeva fossero ottime battute. L’altra signora era tutta un io faccio, io ho fatto, riempio la mia vita, sto bene da sola, non voglio situazioni definitive (casa) … interessante davvero. Peccato anche non aver saputo l’età, che credo si portasse molto molto bene.

Peccato anche aver avuto da fare. La signora me la sarei portata volentieri al bar. O mi ci sarei fatto portare: credo lei avrebbe preferito vederla così.