(la cit del titolo è ovviamente Daniele Silvestri)
Poche persone chiedono “come va” pensando davvero a ciò che hanno davvero chiesto. Lo vedi da come reagiscono, da come pensano di doverti ammannire le proprie saggezze su come ci si debba condurre nella vita. Come se avessero detto “potresti dire due parole che non ascolterò per poi ascoltare il mio sermone?”.
Perché quando ci viene chiesto come va ci si dimentica di sé. Come se le vite di tutti fossero un fiore, tutte meraviglie, esempi di una scelta azzeccata dietro l’altra, colpi di fortuna e grandissime capacità di discernimento. E se non è così, se per caso qualcosa non va, beh… ecco che posso sentirmi meglio e darti la mia ricetta. Anche se ti ho chiesto come va a te. E quello che si fa se si chiede come va è ascoltare.
Quasi sicuramente non va bene. Certo, qualcosa va bene. Ma ci chiediamo “Raccontami qualcosa che va bene della tua vita” o “come va” ? Sono due cose differenti.
Quella semplice domanda è decidere di aprire gli scuri di una casa per guardare cosa ci sia dentro, perché lo abbiamo chiesto e perché ci viene concesso. Non ci viene aperta la finestra perché ci buttiamo dentro i nostri avanzi.
Quasi chiunque ha grandi rimostranze, lamentele, problemi che attribuisce ad altri e, raramente, responsabilità o corresponsabilità che accetta, ma di cui comunque potrebbe parlare per ore. Questo è il “come va” che ci accompagna.
Chiedere davvero di saperlo è un azzardo se si fa senza la vera intenzione ed interesse sincero di sapere e comprendere, di abbracciare il sentire altrui, a prescindere dal fatto che ne condividiamo le motivazioni: il sentire altrui è sempre vero ed è questo che chiediamo di conoscere, quando chiediamo “come va”.
Se non siamo pronti ad ascoltarlo perché davvero ci interessa dell’altra persona, ma non vediamo invece l’ora di dare giudizi soggettivi ai quali senza problemi attribuiamo il grado di oggettività ed universalità, non dovremmo fare quella domanda. Si vede subito: si vuole sentire che va tutto bene, oppure ordinarie faccende della vita, il tempo, qualcosa di cui non interessarsi davvero.
A volte sentire quanto a qualcun altro vada male senza fare altro richiede di accettare che siamo impotenti, ci fa sentire piccoli, scordandoci che abbiamo appena prestato ascolto, che era l’unica cosa davvero giusta e davvero in nostro potere. Se per l’altra persona ha valore o se anche l’altra persona non è davvero interessata a condividere il proprio stato, sapendo di essere ascoltata, non è un problema che si deve porre chi offre il proprio sincero interesse.
A volte le persone vogliono solo dire quanto stanno male ed essere ascoltate. Forse vogliono essere capite. Sentirsi meno sole. Non è una cosa facile come sembra.
Potrebbe scattare la gara non tanto al consiglio, quanto al male: senti qua quanto male sto io, invece.
Di solito senza alcun ascolto reciproco.
Tutte ovvietà, lo so.
Doveva essere una lettera ad una anziana signora che ritengo non ascoltata con l’intento di ascoltarla.
Ma ora che la rileggo, penso che non le sia di alcun aiuto. La lascio qui, mi assumo la responsabilità di non aver offerto la mia inutile visione direttamente nella buca delle lettere di qualcuno.
A proposito: pare che le toglieranno.