Grazie, prego, di niente?

Grazie!

Di niente!

Di niente!

Di niente!

Ed è così, con non curanza, che affermiamo che ciò che abbiamo fatto … non lo abbiamo fatto, che non esiste, che “è il nulla”, che (non) è niente, non vale niente. Momento dopo momento ciò che facciamo è un nonnulla; non è, invece, un atto gratuito ma di valore? Ti ho dato – e sei in debito? No? Davvero non ti è costato fatica o quantomeno tempo? Davvero eri congelato in un armadio, qualcuno lo ha aperto, hai fatto qualcosa e poi sei tornato a prendere polvere?

O forse invece hai tolto tempo a ciò che facevi, hai distolto il tuo percorso per favorire quello di un altro? E lo hai fatto volentieri, senza fare storie, a prescindere dalla fatica, l’impegno o uso di mezzi, secondo ciò che puoi permetterti nella tua vita?

Forse è meglio dire “prego”. Che sia chiaro a TE, non agli altri, che non era “nulla”.

Dovremmo farlo più spesso, perché il “di nulla” sia davvero quando non è nulla, per poterlo differenziare.

Così come le cose sono “belle” e “bellissime”, ma devono essere eccezionali solo quando sono eccezioni, fuori dal comune.

Campagna per l’uso consapevole della parola.

BHUAHAHAHAHAHHAHHAhahahahahah 😀

Ok, ciao

cazzoditestardodimerda, o anche no

Lasciar perdere. Ho imparato a lasciar perdere. Perché se lascio perdere, la mia vita vince. Quando vince la Verità, la mia vita muore. Quando gli argomenti sopravvivono, io muoio.

Quanto è importante dunque quello che si percepisce come “avere ragione” ? Dipende. Quello che è vero è vero. Ma ne va della tua vita?

1984 ci ha riassunto, per chi capisce, tutto, nel semplice “libertà è poter dire che 2+2 = 4”. Perché se tu non puoi dire questo, che è vero, allora non sei libero. La libertà è la possibilità (potere) di dire che quello che è, è.

Ma nella tua vita, quanto ha importanza? Quanto impegno, accanimento, passione, determinazione, mordente, verve, vita, tempo ti è richiesto e chi c’è dall’altra, come si sente, cosa prova per il suo argomento, quanto condividete metodo e linguaggio e quanta percentuale di quello che ti frega, in totale, del rapporto con quella persona, è in gioco?

E dunque, perché è bello poter parlare dei massimi sistemi? Perché non lo fai con l’amore della tua vita. Sei libero. Sei libero di dire che quello che è vero è vero. Sei libero di portare il tuo argomento. Di prenderlo tutto avvolto nello sporco dell’imprecisione, dell’incomprensione, dei fraintendimenti e buttarlo nell’acido della verità, della verificabilità, della ripetibilità, del metodo condiviso, dell’oggettività e tirarlo fuori, candido, puro, divenuto finalmente un fatto assodato. Assodato per lo stato attuale dell’acido che hai tu. Domani magari esisterà qualcosa che scalfisce meglio, o che dimostra che il tuo acido ha bruciato troppo.

Ma se le mani su quel grezzo sono le mani di qualcuno che ami e non ti sente quando gli/le dici di toglierle e si brucia? E si fa male, tu gli/le fai male. Quanto era importante quella cosa dentro la pietra, quel metallo puro? Quanto era importante PER VOI ? Continue reading →

la solitudine del sapere

Amy Farraw Fowler

amy FF

Un post di moon e un commento su quel post mi hanno ricordato una condizione in cui ho visto ritrovarsi mia sorella. Mia sorella è ancora più vecchiarda di me. 12 anni più obsoleta di me. E’ vetusta al punto che la sua senescenza che mi supera di gran lunga la porta a desiderare rapporti basati sull’intelletto. Pensate un po’. Per questo credo di averla sempre considerata priva di vagina e quando è venuta di punto in bianco a dirmi “ma perché voi maschi ci volete senza i peli?” io manco mi ricordo cosa le ho detto. Era chiaro che parlava della figa. E mia sorella NON HA la figa. Non la possiede. Le sorelle non hanno la figa. Sono come i bambolotti. Eh. Come… cosa… mi spiazzi. Come quella volta che è arrivata a dirmi “ma perché ‘ste scarpe coi tacchi… sti lacci e laccetti…”.

E mi mostra una foto di una strafiga mondiale di livello ultrapowerplus top-model-porno-santocielo. Che aveva una scarpa che proseguiva sul polpaccio avvolgendolo con laccetti decorativi.

Credo di aver dovuto ricorrere (con gli ausiliari siamo a posto?) a Leon Battista Alberti o alle linee della prospettiva nell’architettura per tentare di farle capire che è possibile coprirsi o anche vestirsi, come diceva il mio zio. Che poi però aggiungeva: ma tanto alla fine è come sei sotto che conta. Grazie zio, anche per questo. Mi manchi tanto. Continue reading →

gigi, la cremeria, il pollo e l’obsolescenza programmata

“Una volta che hai accalappiato il pollo” è un concetto che ho sentito da 30 anni. Questa frase stessa, non dovreste sottovalutarla. Quale? Quella “che ho sentito da 30 anni”.

Ne ho 44.

Figuratevi un ragazzino di 14 anni, anzi facciamo pure di 12, che sente dire a qualcosa che assomigliava a tua mamma, una donna, che “una volta che hai accalappiato il pollo”.

Che quando hai incastrato un uomo, un maschio, un ragazzo, allora… allora varie cose. Cose che cambiavano, finzioni che cadevano, altarini che si potevano smettere di controllare, armadi che potevano tranquillamente essere scrollati dai loro scheletri, perché tanto ormai chissenefrega. Corpi che potevano smettere di essere curati perché non era per essere né per sentirsi che questi corpi erano belli, piacevoli, gradevoli, affascinanti… ma certamente attraenti. Era solo per questa ultima: attrarre. Ma se non ti serve più attrarre, pensavano queste gentildonne, queste dame, queste signore degne del massimo rispetto di qualsiasi uomo (o donna) d’affari, non serve più investire in questa inutile, faticosa e spiacevole attività di curare sé stessi. Ad esempio. Ma questa era una cosa. Altre cose potevano essere solo quelle di essere gentili. Di essere accomodanti quando invece volevi sputargli in un occhio. Di scopare, persino. Fare sesso, pur di non contrariare l’acquirente.

Ricordo che Gigi mi disse che quando stava con S. era scoglionato perché questo no, e quest’altro no, e troppo questo e che fatica. E quindi lui si è trovato un’amante. Anzi, diverse amanti. Anzi, io direi scopate, non amanti. Non c’era amore. Erano proprio quattro salti in padella da come me li racconta. Gigi non è raffinato. Gli piace avere a che fare con la raffinatezza e i soldi, tanto che ci ha messo su un business, ma siccome non è raffinato, tra un po’ chiuderà. Quindi io credo in questa sensazione: erano scopate, non amava nessun’altra. Questo se lo dimentica, si dimentica di essere andato a chiavare in giro. Io posso comprendere la necessità del suo corpo, ma nel cervello. Perché lui ha tradito. Ma se lo scorda sempre quando dice che S. lo ha tradito, che andava con altri. Chissà che non mancasse qualcosa anche a S. che lui non le dava. Che di certo non erano chilometri di cazzo. Ma non so, non li conosco: quando l’ho vista allegra come una scolaretta per “dei bei manzi” però due domande sul loro rapporto me le sono fatte. Non sembrava solo apprezzamento. Sembrava desiderio. Ma quando ci sono messi assieme, mi diceva Gigi, facevano i salti mortali, i numeri, si rivoltavano come calzini, si divertivano molto. L’intesa sessuale c’era. E lei era curata, come lui. Non che lui fosse un adone, intendiamoci, ma com’era così è rimasto.  Continue reading →

il chiacchieratore

La totale inutilità (forse solo economica? può essere) del mio essere un chiacchierone ha, naturalmente, un risvolto piacevole. Altrimenti non vi indulgerei così tanto, è ovvio. Non è spendibile. Non guadagno nulla. Non mi pagano come consigliere o consulente. O meglio: si, in un caso, ma l’ho proprio venduta, ‘sta cosa e per fortuna c’è soddisfazione del(la) cliente. A parte questo caso, quindi.

il mio amore era su questo stile, ma meglio

La mia epifania della nascita come artista (sto ridendo mentre lo dico, mi fa ridere) ha portato con sé attenzione verso lei, dal cui disagio è scaturito tutto. Ma immediatamente dopo il mio ragionare su questa crisi e far fare “click” alla mia testolina l’attenzione è volata subito ad altre due “mie” modelle, due ragazzine. Continue reading →

mi-dispiace

Lei aveva un uso molto disinvolto del vocabolario. Una delle cose che avresti dovuto sempre dire, preso atto di questo, era l’odioso “in che senso”. Oppure, meglio, cosa intendi dire con … ?

Mi accadde, una volta, di capire che il suo “mi dispiace” non era : sento tristezza per quanto ti accade. No. Il significato era “ciò-è-spiacevole-per-me”. Dispiace-a-me, non-mi-piace.

E sembrava che la formula “mi dispiace che tu pensi che” fosse stata imparata da sua madre in una sorta di politically correct per dire che provi risentimento, offesa, tristezza per il pensiero dell’altro.

Un bel casino quando siamo abituati a dire che ti dispiace per tizio, ovvero che ti rattrista la SUA condizione. Non che lui provoca in te del disappunto.

In effetti sembra di spaccare il capello in quattro, perché se tu tieni ad una persona e provi sofferenza per lui, comunque la provi tu. Ma il punto non è poi così sofistico.

In una relazione, qualsiasi, la comunicazione è fondamentale. E il fatto che si condivida un vocabolario comune per me è basilare. Sempre. Mi cruccio riguardo a questo problema da 20 anni, quando l’ho visto diventare una realtà in disastri lavorativi. Due ebeti si parlavano dall’Italia alla Cina, tutti ebbri del sacro furore dell’etica lavorativa, del darsi da fare, ma parlando come babbuini con bonobo: uno diceva una cosa, sbagliata (rispetto a quello che sapevo che intendeva) e l’altro ne capiva un’altra, ancora più sbagliata di quella sbagliata originale. E poi proseguivano incazzandosi. Il risultato di queste conversazioni era lavoro di merda per tutti.

In una relazione amorosa … beh, lo sapete. O volete la parte 2?

Comunque io avevo deciso e ho chiesto “vuoi che ti rompa le palle su roba tipo i congiuntivi o cacate di questo tipo?” – lei “no, ti prego”. Poi però ho dovuto dirle solo che con il significato delle parole non potevo sorvolare. Perché diceva cose offensive ad altri pensando che fossero altre parole.

Comunque mi manca, io lavoravo su questo. Pensavo “ok, tu capisci, capisci anche che forse intendeva… e ti interessa quello che ha da comunicarti questa ragazza, la ami!” … ma era difficile. E si finiva per litigare.

Mi manca.

ottima e-mail crittografata: PROTON

Per tutti i quasinerd che avrebbero voluto usare PGP/GPG ma che alla finecheppalle, ma che si rendono conto.

Per tutti quelli che ritengono di voler intrattenere un rapporto epistolare PROTETTO, crittografato seriamente, posso consigliare:

https://protonmail.com/

Vedete voi stessi il perché.

“problematica” ha rotto i coglioni: BASTAAA!

Gente, “problematica” non è sinonimo di “problema”.

eh, c’ho delle problematiche a scuola…

il nostro territorio, già interessato da altre problematiche … 

MA CHE CAZZO DITE??!!! come cazzo parlate???!!!!

“Problematica” è aggettivo femminile , ad esempio riferito a persona. Oppure – ma non va comunque confuso! – si riferisce ad un INSIEME di problemi. E ora sicuramente mi potrete stare a cavillare che “io intendevo infatti proprio l’insieme!” si… e allora avevi difficoltà non con UN insieme di problemi ma con VARI insiemi di problemi?! “delle problematiche” ???

su per favore: la verità è che ti faceva figo usare “problematica” al posto di “problema” , magari credendo che fosse una parola con le cromature, più lucida e fica, senza sapere che non è sinonimo della parola corretta.

Dal Treccani: “L’insieme dei problemi fra loro connessi relativi a un dato argomentola pdella disoccupazione giovaniletutta la psulla questione si riduce a pochi dati; con sign. più specifico, la particolare impostazione e classificazione dei problemi propria di un autore, di un movimento culturale, di un periodo storico, ecc.: la pcrocianala pstrutturalista.”

E sicuramente il ragazzo di 21 anni che scrive la petizione AL MINISTRO (Cristosanto, ok la democrazia, ma prima di scrivere ad un ministro, almeno imparare la lingua …) dovrebbe sapere che cosa dice, quando lo dice. E invece usa parole a cazzo.  A 21 anni puoi sapere, se hai fatto una scuola di un certo tipo e con dei prof di un certo tipo (io la critica strutturalista l’avevo fatta, ad esempio) sai chi sia il Croce. Ma ho come il non-troppo-vago sospetto che chi usa “problematica” a sproposito non comprenda quell’uso indicato nel dizionario, relativa alla classificazione dei problemi propria di un autore.

Quindi smettetela: dite PROBLEMA quando intendete quello. Lasciate la problematica a chi la tratta davvero. Ben pochi.