Non tutti vogliono vivere

Ieri MD mi diceva che “almeno con me può dire liberamente che spesso vuole morire senza sentire le solite eh ma no ma dai” e cagate non correlate col problema ma con una ideologia assolutista.

Non che mi faccia piacere che lui stia male e che non veda una prospettiva di bilancio positivo tale per cui valga la pena sbattersi. Ora impostate una bella voce da spot sportivo, o di macchina fica… un Luca Ward o ancora meglio come si chiama il Merovingio*? O ancora meglio meglio meglio… potrebbe essere lo stronzo degli stronzi supremo… fantastico… Iansante! Si, lui può sfottere e disprezzare: ecco immaginate una bella frase sputazzata-sbavata fuori come un inizio di vomito machista

“le partite si giocano anche se non sai se vincerai”.

Non che Sun Tzu concordi.

Neanche un qualsiasi business plan sarebbe così: il bilancio è negativo, si chiude.

Così penso sempre più che, anche se molti film sembrano parlarne (vedi L’urlo dell’odio – The Edge) ma nessuno ne discute apertamente, esista una divisione basilare tra gli esseri umani: quelli che vogliono vivere e quelli a cui non interessa in senso assoluto, non se “ne vale la pena”, no, nessuna pena, che ho fatto da meritare una pena? E con vivere intendo sopravvivere. E che per farlo pagano ogni giorno qualsiasi prezzo.

Credo che sia un tale tabù, quello di parlare di questo argomento, da falsare moltissimi dei ragionamenti che tutti facciamo partendo da una base arbitraria, che prescinde dalle basi.

ChatGPT oggi dice : In breve, ci sono alcune evidenze a supporto dell’idea che esista una parte della popolazione umana che preferirebbe non vivere, ma è importante sottolineare che questa è una questione molto complessa e soggettiva.

*Massimo Lodolo

Non funzionante, almeno dal ’90

Era già tutto lì, tra il ’90 e il ’92. Tra i 16 e i 18, dunque. Ho sempre disegnato fumetti. O meglio… dalle elementari. Per qualche motivo i termini con cui questo veniva definito da altri era sempre spregiativo. Ricordo “disegnetti stupidi”. Un termine dialettale per dire “pupazzetti” od un altro per “scarabocchi”. Fate conto che in ogni attività c’è una ipersemplificazione spregiativa nei termini che colpisce dritta ai coglioni degli interessati… come “pianola” per chi fa il tastierista. Roba così. Ci fai il callo, ma non è che ti faccia mai piacere. Folklore a parte, la cosa divertiva sicuramente i miei compagni di classe ed alcuni amici. Sicuramente accadeva anche alle medie: i soggetti dalle medie divennero sicuramente parodie dei prof o degli argomenti.

Andando a – come dicono quelli dell’ufficio di cui sfrutto una multifunzione – “ fare scanner” in questi giorni, ho recuperato un quaderno ad anelli che “sentivo” contenesse qualcosa di fastidioso, di imbarazzante forse.

Avrei forse dovuto avere nostalgia, ed un po’ c’era. Ma era anche schifo. Ricordavo di aver fatto un bestiario dell’autostoppista e l’ho trovato. Ma non è sopravvissuto, addio. Ho anche trovato una cosa con cui partecipai a qualche concorso in stile “pubblicità progresso” relativo alla droga. Quello l’ho tenuto. Ma è una merda graficamente. Era lì anche una parodia dei Promessi Sposi, una prima pagina “inchiostrata” (parole grosse, ma inutile che mi spieghi oltre: ho distrutto anche quella merda). E poi una serie di strip sparse. Quelle erano introspettive. Non voglio assolutamente paragonare ai livelli di Maicol & Mirco, ma in alcuni casi lo spirito era quello. Avevo già schifo di me intenso. Da quanto?

Quello che ricordo è che a 17 anni P mi mollò e io vomitai fino alla bile, una cosa che credo non si sia ripetuta così intensamente mai più. E che il mio stomaco non sia mai più tornato quello di prima. Prima potevo tuffarmi nel laghetto artificiale qui vicino, anche con l’acqua gelida. Dopo non potevo più, me ne uscivo con i crampi allo stomaco. Era la prima volta che iniziò il ciclo dei 7 anni di dolore, ancora non lo sapevo, non avevo idea che prima di 7 anni il mio dolore non diminuiva a sufficienza.

Quello che però quei fumetti dicono a me era che mi sentivo quella volta come mi sento oggi. Non è cambiato moltissimo. Come sempre devo ricercare “il nucleo”. Ed il nucleo è quello. Ho strappato e sminuzzato quasi tutto. Ma ho trovato le opere che produceva uno dei miei vicini di banco al liceo, che io consideravo alla stregua del lavoro certosino che si fa coi bonsai: erano infatti degli alberi tracciati con la penna a china (“il rapido” come dicevano quelli dell’ITI o i geometri, derivato dal marchio “Rapidograph” della Rotring) i cui i rametti avevano lo spessore della punta, piano piano, linea per linea prendevano forma queste silhouettes di alberi. Mi sembrava impossibile che si perdessero. Infatti le ho tenute. E quelle le tengo ancora. Potrei ridarle a lui. Ne si potrebbe fare anche un quadretto, almeno di una più piccola.

Tagliare a metà con un bisturi quella vita in quel momento avrebbe risparmiato molto dolore a me e molto fastidio, perdita di tempo e di soldi in tantissima altra gente. In quel periodo avevo sicuramente interesse ed avevo iniziato ad esplorare i modi del suicidio. Naturalmente con troppo poca informazione. Tutto è sempre difficile da raggiungere, costoso, doloroso, sbagliato, poco adeguato tra metodo e scopo: il non-soffrire.

La vita si è srotolata male, comunque, da lì. Il bilancio era una merda e lo è ancora, anche se elenco le meraviglie incontrate nel percorso. Sono gemme preziose in una vasca di diarrea grande come un condominio, in cui ravanare. Pur nel mio privilegio. Ma grazie al mio privilegio io vedo, posso alzare la testa e guardare. Ma come un cacasotto e un viziato, nel mio privilegio non si ha la forza di tagliarsi la gola o di fare seppuku, non si ha la pelle dura e la capacità di comprare e puntarsi al palato una 44. Si vuole, nel nostro vizio, schioccare le dita e smettere di esistere.

Ascoltavo oggi, con ritardo, il podcast “Indagini” in cui si parlava del “Caso Carretta” (di cui non avevo mai sentito parlare) e di come si sentisse l’assassino al tempo, di cosa fosse successo dentro di sé, per quanto poco spiegabile, ma si era spiegato.

Siamo rotti, non funzioniamo. Non deve pagarla qualcun altro, ovviamente. Quello che sento è che sono non-funzionante, proprio come direbbe uno psicologo. Così non si irritano se diciamo che siamo pazzi o se usiamo una specifica patologia per mirare bene a cosa siamo, cosa facciamo. Quello però va bene? E sia, allora sta bene anche a me: non funziono, sono rotto, non funzionante. Out of order. Da moltissimo tempo.

No, non stiamo chiedendo aiuto, abbiamo deciso ormai di morire.

Ecco un articolo che riporta dei buoni dati per non parlare a vanvera di suicidio. Si tratta di QUESTO (con dati 2015-2017) e oltre al finale, che mi sembra alquanto pragmatico e piuttosto ovvio (noi verremmo trattati come “mammolette del cazzo” contemporaneamente sia dalle donne che dagli uomini, nella società) il dato che maggiormente mi interessa è la stronzata che “è un grido d’allarme”, cioè un lamento, una richiesta d’aiuto.

NO. NON LO E’.

Può esserlo, e i numeri ci dicono che sono le donne le più propense a manifestare questa richiesta d’aiuto, perché a parità di metodo di tentativo di suicidio sono gli uomini a portare decisamente a termine l’atto. E non credo che si tratti di abilità. Le donne sanno fare tutto meglio 😉

Si tratta di aver preso una decisione. Magari durante tutta la tua vita, lungo il suo corso in gioventù, nella crescita, nel momento clue (20-30) hai manifestato e hai ricevuto risposta alla tua manifestazione.

Cosa hai ricevuto in risposta? Cosa, la maggior parte della popolazione con cui hai avuto a che fare direttamente o indirettamente, culturalmente o per dialogo, ti ha ributtato indietro?

Poi ad un certo punto puoi essere razionale anche coi sentimenti. Li guardi, dici cosa provi, cosa vorresti provare, cosa non ti è concesso, cosa conta per te, se lo hai o no, qualità prezzo, NO DEAL, non ne vale la pena, la pena è troppa per le bricioline.

E allora decidi e fai. Non è un inno alla morte, sia chiaro, ma un chiaro DINIEGO che tante affermazioni siano false, siano frutto del pensiero di ALTRE persone, non di quelle che davvero si sentono in un modo, fanno il bilancio, agiscono di conseguenza. Quelle hanno il pensiero che non volete considerare per rivedere la vita e la società. Che il bilancio totale della vita di ognuno lo decide ognuno, soggettivamente, in base al valore che ogni singolo soggetto dà a pro e contro. Si sente come si sente, e decide, non si tratta di soluzioni definitive a problemi temporanei, ma a prospettive, al fatto che di solito se la risposta è “accettalo”, ma anche no, ma accettalo tu se ti piace. Se l’unica alternativa a mangiare la merda è farselo piacere, io decido di no.

Eh ma sei sempre qui.

Ragazzi io non odio la vita. Io VEDO che la vita potrebbe essere qualcosa. Per cui faccio ogni giorno i miei conti sulle due colonnine come già detto: colonnina “morire” e colonnina “vivere” e faccio le cose per ognuna delle due. Quando non mi raggomitolo a frignare.

Vorrei includere delle fichissime immagini di Nico Madonia che trovate su Instagram, ma temo che non sarebbe felicissimo. Ora vedo se qualcuno le ha messe da qualche altra parte… si, eccolo:

Costo/Beneficio dell’esistenza

Tutto è contro la sopravvivenza. La sopravvivenza sfida tutto. La spinta ed il desiderio di esistere remano contro la corrente. La sopravvivenza strappa pezzi dal mondo per mangiarseli ed esistere. Sforzo, lavoro, fatica, impegno, movimento, contrasto, resistenza. La vita è una puttana che non ti concede di essere goduta: devi pagarla e pagarla cara, non sei mai in pari. Il bilancio è sempre molto più sforzo e molta più roba brutta di quanto e quando ci sia da godersi. Salvo rari casi, il tempo passato a goderla, la vita, piuttosto che a subirla, pagarla, mantenerla… è drasticamente ed impietosamente inferiore.

Il dovere di esistere: il “senso” è la nuova religione laica

La ricerca di senso (o come suggerisce RDF – “di talento”) viene indicata ormai con le stesse modalità con cui si trattava la ricerca di dio, oppure la vocazione. Dio mi ha parlato: ho la vocazione. Ho il talento: devo farlo. Se non faccio questo sto male: il pallino per questa cosa, il mio motivo di vita. Ma se non lo hai, biasimo a te. Se lo hai poco. Se la fatica è infinitamente più del risultato. Non importa, Dio ha voluto così, non importa, lo scopo della vita te lo richiede, la realizzazione piena te lo richiede, la messa in pratica del tuo talento, che tu hai riconosciuto e scelto ma che in fin dei conti non risulta in un bel cazzo di niente, te lo richiede.

È sempre patologico, mai razionale. Solo perché non è una pulsione ma una sua mancanza, come non avere il gag reflex. Ma non diciamo sempre che la pigrizia ed il risparmio energetico sono una delle più potenti “pulsioni” (come la molla che tira indietro, più di quella compressa) del nostro corpo fisico? Più il non-fare del fare. Quanto innaturale è? E poi che ce ne frega del naturale? Ci paragoniamo agli altri animali solo se vogliamo e come vogliamo mh?. Noi pensiamo, del resto. Pianifichiamo, astraiamo, sogniamo, facciamo bilanci, decidiamo in base a dati, quindi possiamo anche pensare che quella cosa che dovresti fare se vuoi vivere, beh, non la farai, perché non vuoi sopravvivere.

Sentirsi sega perché si è sega, sentirsi considerati sega in quanto si decide di non esistere in quanto sega… è un biasimo relativo al biasimo. Resta qui, soffri con noi. Massimamente “sii uomo” : gli uomini vivono e soffrono. Beh ma che bello.

Un pugno stretto attorno al cuore per ogni progetto, per ogni considerazione di valore e giudizio sul reale, la constatazione che stando così le cose le cose ti fanno schifo e che le cose stanno così perché il tempo è passato e non si torna indietro, colpa tua? Ma si, certo è pure colpa tua, quindi? Devo pagare pegno restando qui? Forse un buon impegno è studiare il tanto necessario per morire senza dolore.

Chiudere baracca quando i conti sono in rosso non è irragionevole. La baracca sono io. E aprirne un’altra è ragionevole. Ma infatti, a questo serve la quantità di esseri umani che nascono ogni giorno: sono nuove baracche che vengono aperte. Auguro maggior successo a loro.

ho goduto della musica, però

46 – Ricordo come il prof del biennio mi scrisse “apprezzata la sincerità”, su un tema in cui parlavo della musica. Poi mi disse, forse ricordando questo, relativamente ad un altro a tema libero “sai che puoi anche inventare vero?”. Restai scioccato. Tema libero ok… ma così tanto libero? Wow! Ero più dell’idea di poter scrivere liberamente ciò che pensavo… non inventare una storia. Ad ogni modo il tema in cui questo accadde riguardava la musica. Era l’unica cosa che mi faceva da rifugio, consolazione e conforto, che mi accompagnava sempre. Già quella volta. Ed eccoci ancora. Mentre ero li, sulla tazza del cesso, a pensare a morire o ad alcune brutte cose della vita però – e persino in questo preciso istante in cui mi risuona “Echoes” dei Pink Floyd, nelle cuffie – nel bilancio però c’era bello chiaro, inciso indelebile, “però la musica me la sono goduta, era bella, mi è davvero piaciuta”.

E se devo fare il bilancio dei soldi, credo che quella che davvero mi ha fatto più compagnia io l’abbia comprata proprio tutta. E ora quell’oggetto non vale che una microscopica frazione.

Proprio come con il mio lavoro?

dead man walking #201907293847

Il bilancio della mia intera esistenza è deplorevole.
Ma ecco il programmino aggiornato. Ora come ora ho una rinnovata voglia di morire. Cioè, una grande tristezza del vivere, più che altro. Sconforto, sensazione di inadeguatezza, ecc, ecc, ecc. Bilancio negativo.
Quindi: devo altri 2000 euro a B. Devo guadagnarli. Devo 10000 euro a T, che ce li prestò per iniziare con la casa. Mai restituiti, santo santo santissimo. So che non ne ha bisogno, ora, ma santissimo, è giusto restituirglieli.
E poi se non voglio mettere nei casini qualcuno devo guadagnare i soldi del mio funerale, come ogni vecchio che si rispetti. Non che io sia “uno che si rispetti”, ma cercherò di fare del mio meglio, anzi, un po’ meglio eh? Per fare in modo che nessuno si debba accollare le spese di smaltimento del mio cadavere.
E questo è appunto il programmino “main”; tutte le altre cosine che posso fare nel frattempo magari ribaltano la cosa, ma intanto ho questo progetto principale. Sono un sacco di soldi.
L’altro giorno ho versato tutto quello che avevo messo via a B, 3000 euro. Ma ho calcolato che nel periodo in cui sono stato una merda schifosa, senza ricordare di esserlo stato, senza capacitarmi di poter essere stato uno che pensa davvero così, potrei averle sottratto (lei ha speso volentieri, lo so, ma questo non cambia il mio lato dell’atteggiamento) l’equivalente odierno di 5000 euro.
Così anche se pensavo di prendere un paio di fari e il Ronin per fare le riprese, ho azzerato tutto. Non ho più niente come “capitale”. Ma lei cosa aveva quando io ero così una merda con lei? Ha potuto attingere da qualche parte? No. E lo so. Non “credo”. So.
Fare schifo mi è sempre riuscito bene. Sono un professionista dello schifo. Ma sempre mediocre.
Vermi, mi dovrete attendere un po’. Ma ho debiti da saldare prima di schiattare.
Oggi, nonostante il programmino, non ero assolutamente in grado di fare un cazzo. Depressione-full, di quelle che ti distendi e basta.
Avevo portato il PC a vedere, perché è troppo potente e scalda: volevo vedere se era raffreddabile: mi hanno detto di mettere un condizionatore, proprio come per me stesso. Mi piacerebbe. Ma non credo proprio.
‘sta sera lei mi ha chiamato, era tornata dalle vacanze col suo tipo, aveva la tristezza post-ferie, così voleva un po’ di compagnia. Raccontarmi cose. Non dico che non me ne freghi niente. Ma ero in un momento così, mi sembra di essere un fantasma che parla con i vivi, con qualcuno che ha prospettive di vita. Ero uno che era vivo, che l’aveva conosciuta. Non capisce che vederla nell’acqua del mare con il salvagente, così carina, mi distrugge. Non glielo dico. Ma dovrebbe vedermi piuttosto noioso, poco partecipe. Non era una posa, solo faccio già fatica a non piangere. Mi fa sentire bella musica che ha sentito giù al sud. Carina davvero, in effetti.
Aspetto che esca quello dei TOOL ad agosto, sperando che sia all’altezza.
Comunque oggi credo di aver decretato che Lateralus è il mio preferito. A fatica però.

vivere-morire

Ho una lista che non leggevo da un mesetto, credo, forse due.

Costruire-distruggere.

La lista è un promemoria: se vivi fai queste cose, se vuoi morire prepara queste altre. In ogni momento comunque qualcosa da fare l’avresti.

Mi sono accorto che per ora sto facendo una delle cose della lista del vivere=costruire.

Non è né buono, né cattivo, il segno. Quando ci penso (è la palestra) mi viene in mente uno che muore con tutto in ordine. La morte lo falcia, poi si ferma e lo guarda: “guarda che bravi che sono con me; sanno benissimo che stao arrivando e non serve… eppure sono in ordine, puliti, rasati, persino in salute… alcuni anche si sono rimessi in forma… ahahah che stupidi… tra poco torneranno tra i vermi … questo aveva anche imparato un sacco di cose e viste un casino di altre… bah. Speriamo che abbia almeno passato il testimone a qualcuno, o che si sia goduto il viaggio”.

Alla vigilia di Natale però ero a casa del supremo e ho provato a fare un sollevamento. O forse si chiama trazione. Non so, quell’azione di agganciarti ad una sbarra e tirarti su. E con mio sommo stupore sono andato su. Allora mi sono detto hey, fermi, stai barando, hai fatto il saltino. Prova da terra. Sono andato su. Ora, sono VENTICINQUE anni che non faccio cose simili. Quindi il mio corpo mi manda segnali da vecchio, del tipo “hey ma non è che adesso qua si spacca tutto?”. Però la cosa buffa è che ora che lei non è più che una specie di nipote, un aspetto che lei avrebbe gradito (massa muscolare) e di cui a me non frega niente, potrebbe avere il sopravvento su quello per cui andavo in palestra: dimagrire. Questa fottuta minchiazza di panza non vuole andarsene senza combattere, la bastarda. Boh, magari farò meno fatica a fare la spesa. Ma io non mollo, stronza panza di merda. Ti odio.

Comunque con quello che ho mangiato per le feste non c’è palestra che tenga. Compresa la mia fantastica mousse di burro al burro fatta con del burro e aggiunta di burro burrato fritto nel burro cotto. E del tonno.

Si vede che non ho sonno? quanti post inutili sono in grado di produrre? ok, vado.

If you love somebody, set them free (26ma puntata)

Soffriva sempre. Per lei ero uno stronzo, ma non poteva fare a meno di me, di vedermi di nuovo, di tornare da me, straziata.

L’amore col dramma lo conosco, può piacere, si tira più lungo, si sente tanto. Ma si soffre anche. Io ho votato la mia vita alla pace: il mio cambiamento non è solo di parole, cerco la pace, la serenità, l’armonia (non fate ohmm stronzi) con tutto me stesso. Perché sono andato fuori di testa, se seguite questo blog lo sapete. Ho sofferto e ora io voglio rapporti ottimi. Non voglio che i rapporti con la gente mi facciano soffrire.

Ma dal canto mio di certo non voglio essere fonte volontaria, consapevole, di sofferenza per qualcuno.

Per cui realizzato che per lei ero un amore tossico, una droga, una malattia le ho proposto lontano dagli occhi, lontano dal cuore: non ce la fai a dirmi addio, ok. Io non ho motivi miei per dirtelo: io ti voglio, per me sei un regalo del cielo. Ma io per te sono una maledizione: se li vuoi mettere sui piatti della bilancia i motivi per stare con me non li trovi neanche se li cerchi per tutta la giornata, mentre i motivi per sentirti offesa, insultata, in disaccordo rabbioso, gelosa con ragione, sminuita nel tuo dolore e quanto altro di brutto possa fare un uomo senza essere attivamente violento fisicamente o psicologicamente … queste cose in me le trovi. Dunque… perché? So che quando ami uno non sai perché. Mi stava bene, benissimo, che stessi con me perché io sono io. Non perché ti servisse qualcosa. Ma se cerchiamo cosa ti faccio di male lo troviamo, mentre cosa ti faccio di bene no. Continue reading →