L’inutilità di quel che sei

Nausea, nel mio cerchiobottismo di sopravvivenza, cerco di seguire l’iter del tergiverso del mio universo in un ditale di voltastomaco, mi giro a destra e sinistra, cerco di fare appello alla morte pur di avere calma, alla storia pur di avere pace. Batticuore, ansia. Ogni granello di spostamento, di avanzamento, di “progresso” di questa “giornata” è difficile. Come sempre solo disfare e rifare lavastoviglie con un ascolto che – appunto – provenga dal passato remotissimo della storia o di una storia inventata, è la cosa più calma ed accettabile.

Provo ad andare in cantina ufficio, ma niente, ogni cosa mi fa tremare un pochino, mi fa un pochino venire da vomitare, mentre mi faccio schifo. Cerco di dire che no, che non “faccio” schifo in assoluto, è falso e lo so. Ho preso con regolarità la mia medicina? Ma si, si, davvero si, regolarissimo, domani-oggi è martedì, il cellulare dice martedì, la scatola portapillole dice martedì-fatto, quindi niente, la parte della chimica gestibile l’abbiamo fatta. Niente, sarà ottobre, sarà il tempo, sarà che so delle mie magagne e delle minacce economiche e non le sto tenendo in un armadio blindato della mente abbastanza chiuse.

Non so, comunque per mandare avanti un po’ di lavoro, faccio piccoli passetti. E lo so fare questo lavoro. Ma non interessa a nessuno, non più, non c’è abbastanza bisogno o comunque non lo so fare in una certa misura. Sbaglio contenuto, alla fine sto solo meccanicamente caricando vecchio materiale super standard di cui ci sono milioni di miliardi di copie che forse vengono acquistate in un-pezzo (cosa insensata nello stock) per fare machine learning che mi fotterà definitivamente.

All’improvviso questa sensazione di quel vecchio ricordo di intenso imbarazzo, inadeguatezza. Quanti anni avrò avuto? Eppure alla fine mi sento così nell’intero esistere. Condiscendenza è una parola che non conoscevo, ma sentivo bene cosa stava succedendo, e lo sentivo probabilmente per la prima volta. Cinque? Sette? Quanti? Dieci?

Le figlie del padrone di casa e forse una vicina… gioco da loro, al piano di sopra, a qualcosa “da femmine”, qualcosa come ballo o danza, non so. Nel gioco forse era previsto un ruolo “insegnante alunni”? Ricevo sicuramente un rimprovero per la mia incapacità di eseguire qualcosa. Sicuramente piango e per le altre bimbe c’è preoccupazione: ci daranno la colpa, “lo abbiamo fatto piangere” e quindi BAM, ricordo la sensazione di “giochiamo a quello a cui sai giocare tu, tipo le macchinine? dai giochiamo a quello” e la forte sensazione di essere un coglione che muove una macchinina mentre qualcuno mi osserva fingendo approvazione e pronunciando parole tra il conforto e il complimento con il solo scopo di farmi smettere di piangere.

Questa merda non è mai sparita da me. La sensazione. Patetica commiserazione, contenimento della lamentela per evitare giudizio delle autorità – che probabilmente avrebbero del tutto ignorato la cosa – ma distanza, distacco, esclusione anche in presenza: non sei come noi, non sai fare quello che facciamo noi, quello che a noi piace fare e la cosa è risibile.

Beh la sensazione è la stessa a cinquant’anni. Quello che sai fare? Chissenefrega. Wow, sai fare questo? Come miliardi di altri. E comunque non serve. Non ci serve. A nessuno interessa se tu ti vai bene, non se il frutto della propria fatica è moneta di scambio. La mia fatica non vale la tua, ne faccio a meno, sceglierò qualcosa d’altro. Amati pure, Fattici le seghe con il tuo te stesso.

Quanto potere hanno gli altri su di noi, anche quando non c’è alcuna minaccia per loro, per cui sarebbe giusto avere del potere, per respingerla?

So delle cose, ma le sanno altri. Ed alti svalutano talmente tanto ciò che fanno da rendere quella contropartita irrilevante, non vale niente per loro e la fanno diventare di scarso valore in generale: varrà poco per tutti.

Ma la sensazione è quella: ti può piacere quello che fai, quello che sei. Ma questo non lo renderà attraente, interessante, piacevole, desiderabile fuori dai confini del tuo stesso essere.

Però mi ha fatto bene scriverlo, sento un leggero svuotamento, meno pressione alle viscere. Si, è il futuro, il rischio di miseria e rovina. Non è la morte il mio problema, ma la sofferenza, lo sapete. E la rovina non è solo la miserabilità economica, ma del sopravvivere per questa e basta “a qualsiasi costo”.

il demone custode

Sempre con me.

cammina, fa le scale, sale in macchina, guarda una vetrina, apre una porta, attende in coda, di persona o in macchina, faccia benzina, sistemi le stoviglie, si accinga a relazionarsi ad altri esseri umani, svolga un’azione che non richieda di formulare frasi nella mente.

Faccio schifo

voglio morire

Faccio schifo

voglio morire

Faccio schifo

voglio morire

Faccio schifo

voglio morire

Faccio schifo

voglio morire

Faccio schifo

voglio morire

Faccio schifo

voglio morire

Faccio schifo

voglio morire

Faccio schifo

voglio morire

ad libitum

Mentre mi muovo, mi sposto, mi giro nel letto o sul divano, mentre sono in una stanza e qualcuno nell’altra. Mentre faccio o non faccio. Quel me dentro di me che sente che poteva doveva ed era giusto alzare la testa poi dice no, perché? chi sei? sei nulla, sbagli sempre, non sai un cazzo, non SEI un cazzo e comunque come mediocre alla fine è solo spreco, sarà il migliore, non il mediocre, a poter parlare, ad avere ragione e ad avere ragione di farlo.

E siccome non è gratis, costa fatica (che sia mia o meno), e la resa è questa.

E così via. L’inferno è in terra, per tante persone. Anche per i piagnistei come me.

Microstock 2022 average: SHIT.

Il microstock è un mercato globale, quindi risente delle crisi globali, tipo una pandemia. Per questo la mia decisione attorno al 2013, dopo la debacle dell’azienda per cui lavoravo ed il mio contemporaneo “esaurimento nervoso” (si usa ancora?), , fu – in piena crisi 2008-2012 – presa ascoltando sfilze di professionisti che si lamentavano, della gente che non pagava, dei clienti che non capivano, che chiedevano l’impossibile e l’impagabile, eccetera. Era anche importante per dire : se c’è crisi attorno a me, questo non significa che ci sia crisi lontano da me e che io non possa vendere a quelle persone via internet con queste piattaforme.

Ma le piattaforme alla fine si inculano tutto e bisogna tenerne conto: le piattaforme non condividono equamente, mettono la competizione che prima era affrontabile, ad un livello aziendale, ma scaricando l’onere del costo del lavoro sui “contributor” (che per guadagnare davvero devono pompare come dipendenti, ma guadagnando sempre una frazione), non pagandotelo, rendendo il mero costo di quello che alla fine viene venduto, al prezzo che LORO stabiliscono con ribassi ogni anno più forti, l’unico elemento per il cliente, perché la qualità semplicemente DEVE esserci.

Esistono certamente piattaforme che tentano di fare la stessa cosa con il mercato locale, ma io gli ergo il dito medio visto che conosco già questo, di mercato; magari si può fare se devi dare qualità miocuggino, ma se vuoi fare un buon lavoro e metterci la faccia ed il nome, non puoi essere pagato e trattato ammerda. Ovviamente loro ci mettono anche l’editing e l’onere di gestione burocratica del cliente. Ma mi fa comunque un po’ cacare.

Questo a maggio 2022. Esistono persone che hanno iniziato nel 2005 circa e poco dopo e soprattutto hanno tenuto un livello molto molto alto anche dopo, che hanno ranking e quindi vendite stellari, davvero eccellenti. Ma sono uno sparuto numero: anche loro devono lavorare il doppio per mantenere semplicemente un livello precedente. Certo, quel livello ne vale la pena.

“Ed ecco qua” (cit).

Shutterstock MOLTO male. Vedo molto meglio Getty/iStock ed Adobe Stock (ex Fotolia), roba che Shutter sta diventando quasi come Dreamstime. Deposit esiste, ma vabbé. Incredibilmente, anche se Bigstock ha un bug GIGANTE da anni (se fai una modifica collettiva lui copia TUTTE le caratteristiche su tutti i files: tipo attacchi una liberatoria e cambia il titolo a tutti i files identico) per qualche assurdo motivo vende qualcosa. Ma qualcosa eh, roba da hobby, bruscolettinetti.

“non to tempo”

Tra il 1995 e il 1998 suonavo mediamente in due gruppi il basso elettrico o la tastiera. Faccio fatica oggi a dare credito ai ragazzi/e che dicono di non avere tempo ed essere troppo impegnati. Io posso essere stato un pessimo studente, ma M, F e C non lo erano affatto. Due sono laureati e con dottorati, ingegneri informatici, C che non si è laureato è semplicemente incastrato in un loop mentale da quando i suoi sono morti e ha deciso di non laurearsi a un millimetro dalla laurea. Ma non era perché non aveva tempo. Facevamo le prove, componevamo a casa, provavamo perché nessuno ha fatto il conservatorio: serve tempo, prove ed errori, collaborazione, provare e riprovare. Io lavoravo, loro studiavano all’università. Si usciva nei fine settimana e anche dopo le prove. Chi aveva e chi non aveva la morosa a seconda del periodo. Ma le cose le volevamo fare, quindi trovavamo il tempo per farle. Con un gruppo abbiamo fatto un disco in studio. Come mai non ci suonai più non ha praticamente niente a che fare con il tempo: certo, ci ho messo del ragionamento anche con il tempo, ma tutto mediato dalla insoddisfazione: con quelli del CD odiavo la musica ma amavo loro, mi stavano simpatici e semplicemente mi rendevo conto che non volevo farmi il sangue amaro, con gente che mi stava simpatica, per motivi musicali. Volevo sempre andare a bere e mangiare qualcosa con loro DOPO le prove. Quindi visto che stavo iniziando a convivere, la soddisfazione di quel gruppo non valeva il tempo tolto allo stare con lei. Ma se lo avesse valso, avrei fatto cose, come le faceva lei: era il motivo principale per cui se n’era andata ad abitare da sola.
Con l’altro gruppo i gusti musicali e le divergenze erano forza e motivo di rottura: per tutti eravamo troppo diversi e la cosa non durò, ma io sono convinto fosse la nostra forza, anche se ci si poteva innervosire. È talmente vero che a distanza di vent’anni se faccio sentire i pezzi, la gente che amò gli anni 90 dice sempre “hey!” come a dire “ma questa non è merda!” anche se il suono è da demo. E infatti voglio che la cosa mi sopravviva, è un obiettivo preciso.
Il terzo gruppo mi buttò fuori: eravamo troppo diversi: io amavo loro ma loro non amavano me… sostanzialmente ero troppo poco integrato, per loro potevo fare bene per i cazzi mia. Al di là delle mie brutte storie, come è chiaro se leggi, non si tratta affatto di non avere tempo: tutti trovavamo il tempo, correvamo a destra e manca, con macchine usate, pochi soldi, i primi mutui e con mezzo piede in case di genitori che sono molti diversi da quelli che oggi ti lasciano scopare a casa come se fosse normale. Avevo tre gruppi, non uno. Andavo a corsi di illustrazione. Tutto MENTRE lavoravo e avevo la morosa, anzi, due le ho trovate lì e una andando proprio a suonare, così, in stazione.
G ha la mia stessa età e va ad ogni mostra possibile, scopa in giro, si organizza le scopate in hotel, ed è sul pezzo lavorativamente, tantissimo: è una che scala e viene riconosciuta in un mondo di uomini per il suo valore, quindi doppia energia lavorativamente. Eppure il suo tempo se lo trova. Più che palestra fa body-building… quindi “non ho tempo” e “che ansia” … maddeché?

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smettere di esistere

sto di merda e voglio morire, solo smettere di esistere, smettere di stare di merda, smettere di avere aspettative, smettere di non sentirmi all’altezza dell’umanità, smettere di sentirmi in colpa, di sentirmi inutile e di dovermi sentire utile, di avere necessità, esigenze, aspettative, conoscenza e ognuna di queste cose, con una totale mediocrità, disillusa, disattesa, non raggiunta. Fare schifo moderatamente, silenziosamente. morire morire morire morire sparire via e basta

dormire e non svegliarsi mai

mai più

suicidarmi, svanire, senza puzzare di marcio, senza intralciare tutti e dare impiccio, come unica cosa che sei stato

si, ognuno pensa a sé e anche io penso a me e non mi piace, il mio egoismo in rapporto al vostro egoismo è che quello che voglio io è smetterla, basta soffrire, velocemente e senza soffrire minimamente.

penso che forse, forse dico, non ho preso il mio farmaco ieri sera, non lo dico per l’umore: stavo di merda anche ieri; ma mi gira un po’ la testa e questo succede quando salto un giorno.

ho pensato che dovrei vivere almeno 7 anni senza nessun aiuto da nessuno, per rendere omaggio al sacrificio di mio padre. Ma voglio farlo con una bella bozza di monossido pronta. Continue reading →

dead man walking #201907293847

Il bilancio della mia intera esistenza è deplorevole.
Ma ecco il programmino aggiornato. Ora come ora ho una rinnovata voglia di morire. Cioè, una grande tristezza del vivere, più che altro. Sconforto, sensazione di inadeguatezza, ecc, ecc, ecc. Bilancio negativo.
Quindi: devo altri 2000 euro a B. Devo guadagnarli. Devo 10000 euro a T, che ce li prestò per iniziare con la casa. Mai restituiti, santo santo santissimo. So che non ne ha bisogno, ora, ma santissimo, è giusto restituirglieli.
E poi se non voglio mettere nei casini qualcuno devo guadagnare i soldi del mio funerale, come ogni vecchio che si rispetti. Non che io sia “uno che si rispetti”, ma cercherò di fare del mio meglio, anzi, un po’ meglio eh? Per fare in modo che nessuno si debba accollare le spese di smaltimento del mio cadavere.
E questo è appunto il programmino “main”; tutte le altre cosine che posso fare nel frattempo magari ribaltano la cosa, ma intanto ho questo progetto principale. Sono un sacco di soldi.
L’altro giorno ho versato tutto quello che avevo messo via a B, 3000 euro. Ma ho calcolato che nel periodo in cui sono stato una merda schifosa, senza ricordare di esserlo stato, senza capacitarmi di poter essere stato uno che pensa davvero così, potrei averle sottratto (lei ha speso volentieri, lo so, ma questo non cambia il mio lato dell’atteggiamento) l’equivalente odierno di 5000 euro.
Così anche se pensavo di prendere un paio di fari e il Ronin per fare le riprese, ho azzerato tutto. Non ho più niente come “capitale”. Ma lei cosa aveva quando io ero così una merda con lei? Ha potuto attingere da qualche parte? No. E lo so. Non “credo”. So.
Fare schifo mi è sempre riuscito bene. Sono un professionista dello schifo. Ma sempre mediocre.
Vermi, mi dovrete attendere un po’. Ma ho debiti da saldare prima di schiattare.
Oggi, nonostante il programmino, non ero assolutamente in grado di fare un cazzo. Depressione-full, di quelle che ti distendi e basta.
Avevo portato il PC a vedere, perché è troppo potente e scalda: volevo vedere se era raffreddabile: mi hanno detto di mettere un condizionatore, proprio come per me stesso. Mi piacerebbe. Ma non credo proprio.
‘sta sera lei mi ha chiamato, era tornata dalle vacanze col suo tipo, aveva la tristezza post-ferie, così voleva un po’ di compagnia. Raccontarmi cose. Non dico che non me ne freghi niente. Ma ero in un momento così, mi sembra di essere un fantasma che parla con i vivi, con qualcuno che ha prospettive di vita. Ero uno che era vivo, che l’aveva conosciuta. Non capisce che vederla nell’acqua del mare con il salvagente, così carina, mi distrugge. Non glielo dico. Ma dovrebbe vedermi piuttosto noioso, poco partecipe. Non era una posa, solo faccio già fatica a non piangere. Mi fa sentire bella musica che ha sentito giù al sud. Carina davvero, in effetti.
Aspetto che esca quello dei TOOL ad agosto, sperando che sia all’altezza.
Comunque oggi credo di aver decretato che Lateralus è il mio preferito. A fatica però.

l’aiuto non ti sostituisce

Ci sono momenti in cui sei spezzato. Una crepa ti passa da testa a piedi e il dolore ti devasta. Non riesci a fare niente, senti il tremore negli arti: il più piccolo gesto diventa difficile.

Se hai predisposizione o una storia di introspezione, lo fai, cerchi di guardarti dentro, di aiutarti. Ma se lo fai da tanto, a parte avere familiarità con la cosa, se continui a farlo, non hai risolto. La parte “aiutati” ce la stai mettendo, ed è ora del “che Dio t’aiuta”. Ma siccome Dio non esiste, ti devi far aiutare da qualcun altro. Che poi questo qualcun altro sia la persona giusta e che ce la faccia ovviamente non è detto.

Quello che è detto sempre troppo poco è che costa tanti soldi e che il dolore ce l’ha tanto il povero che il ricco.

Ma a volte qualcuno pensa: se mi faccio aiutare mi adagerò, mi metterò nelle mani altrui e io non mi rialzerò più: se uso un farmaco ne diverrò dipendente per sempre, se uso una persona che è un farmaco, lo stesso: io non saprò più aiutare me stesso.

Ma fino ad ora davvero ti sei aiutato? Magari un po’. Ecco. Questo ti risponde: un po’ puoi farti aiutare: non diventi TUTTO di qualcuno. La stampella non dura tutta la vita. Magari le pillole per la pressione si. Ecco: ci sono differenze.

Ma il dolore può essere talmente insopportabile… e venirne fuori e tornare a respirare… riguadagnarsi alla vita… sempre che questa vita la si fosse apprezzata, prima, è una cosa da tentare.

Quali risorse gratuite ci sono per l’aiuto psicologico in Italia? A me risulta che solo per le dipendenze (gioco, alcol, droghe) ci sia vera disponibilità, continuativa, gratuita. Qualcuno ne sa di più? Quando ho avuto bisogno io ho trovato il consultorio. Ho anche trovato il “telefono amico” (via mail) ma quello mi serviva a poco. Alla fine quando vuoi farla finita loro non sono quelli giusti. Altro, esiste? Io lo so che la gente deve essere pagata. Non sto dicendo che debbano lavorare gratis. Sto chiedendo come i pazienti possano accedere gratuitamente a qualcosa che qualcun altro (la società, lo Stato, qualche ente) mette a disposizione gratuitamente.

dieta/palestra mini risultato

Non mi ricordo nemmeno, potrei controllare, quando ho iniziato qualcosetta. Diciamo un anno fa? Circa. E’ iniziato tutto con lei. Con il fatto di essersi accorto che mi ero mentito. Ho iniziato un po’ di dieta. Nutrizionista. Continuato un po’ di dieta. Poi in uno dei vari tiramolla mi aiutò a cambiare jeans (io odio lo shopping ma ho dei gusti) … contemporaneamente ho scelto di smettere con bevande gasate e magari gasate-e-zuccherate.

E poi dopo un sacco, palestra.

Aggiungiamo, recentemente, niente zucchero nel caffè, per un graziosissimo patto con fanciulla dal sen fuggita: io niente zucchero nel caffè, lei niente peli sotto; tutto liscio. Naturalmente con verifiche periodiche ISO9003231 🙂

Di tanto in tanto qualcuno mi dice “sei dimagrito”.

Qualche sera fa sono andato dal kebabbaro non-halal che fa tutto con ricetta locale, maiale, formaggio, robbbbbabbona. Non ci andavo più da mesi per i summenzionati motivi dietetici. Se vado li io non mi trattengo. La morosa del kebabbaro sarebbe mia modella (e pure lui). H arinviato molte volte, gli dicevo. Lui fa “beh ma allora vai a fare colazione al Taldeitali e tirale le orecchie!”.

Ci vado.

Mi fa “hey! sei DIMEZZATO! Stai bene!”.

Dimezzato. Questo va bene. Ora la fottuta panza.

Ma da oggi, fissato col chiodo al muro della mente: la forma importa fino a lì, perché serve la sostanza. RESISTENZA. La resistenza cari miei non è tanto roba da palestra. La resistenza è roba seria: sport vero. Camminare, correre, per ore. Nuotare. Dopo 25 anni di inattività… beh ma ok, ok, è per un buon motivo.

Che non esiste più, è esistito per circa 45 minuti. Solo che si è fissato nella mia mente. Un piccolo misunderstanding con gentildonzella mi aveva fatto capire che “non ci do sotto abbastanza”, che non duro. Questo mi ha turbato perché sembrava assai felice dei servigi resi. Siccome credeva che le mie defaillances fossero dovute a mancanza di resistenza fisica, mi suggeriva di non mollare con la palestra, perché la resistenza è importante. Tutto chiarito che non funziona in questo modo se la resistenza non serve al suo godimento, mi resta comunque indelebile che, per questo o quell’altro motivo, la resistenza io comunque non ce l’ho. E allora facciamocela. Non ci vogliono 5 minuti. Serve impegno costante.

Evabbé. In effetti avevo un po’ mollato per un pochino. Che alla mia età significa praticamente ricominciare, in palestra (prego, leggete informazioni di settore prima di dire noooo maddaiiii). Ma va bene. Va bene sul serio. Fatica, ma va bene.

Dimezzato è bene. Ora basta così, cancellare panza. Schifo. E aumentare resistenza. Dura, molto dura. Ma è per il bene dell’umanità!

😀

I piaceri che decidi tu, droga, cibo

Il piacere, la felicità, la soddisfazione. La “qualità della vita”. Possono essere, per qualcuno, o per una componente importante, il significato, lo scopo, il motivo di vivere, di faticare per restare in vita anche domani.
A volte la gente semplicemente mangia.
Si riempie per noia, qualcuno, si dice.
O magari prova una soddisfazione immediata, piacere, una carezza, anche un godimento intenso, anche prolungato.
Ripetibile.
Più o meno incondizionato. Indipendente da giudizi di come questo piacere debba essere, da parte di terzi.
A volte dici “mi resta solo questo”.
Capisco chi si rintana, con tv e pizza. Capisco tutto. Muori lentamente.
Hai perso ogni gara, ogni sfida, ogni “essere all’altezza”.
Se ti piace il sesso ti resta la masturbazione.
Se ti piace esprimerti ti resta un blog.
Se ti piace cantare ti resta la doccia.
E il cibo, se ti piace gustare, chilo su chilo, ben oltre all’utile per nutrire, ti droga per consolarti, come tutte le droghe. Che non risolvono niente, ma ti accarezzano un po’, e poi peggiorano la situazione.
Avevo cucinato per oggi e domani.
Domani farò altro.

ognuno per la propria strada

Il distacco che di tanto in tanto sento perché ognuno deve andare per la propria strada ed il tempo che ci dedichiamo gli uni agli altri sembra sempre dover essere commisurato con il tornaconto od una contropartita mi fa male. Perché il tornaconto e la contropartita sono quello. Ci sono, sono già lì. Non fai quello che fai per avere altro. Quello che hai li, in quel momento, è già quello che è bello avere, per cui vale la pena vivere.

E’ allora che dici… quindi preferisci percorrere, forse anche dolorosamente, la tua via solitaria nel perseguimento di? Di cosa? Piuttosto che affiancarti anche solo un po’ a me, sapendo che questa via non porta a qualcos’altro?

Sai che non diventerà il tuo ragazzo allora non perdi tempo a parlare con me? So che non ti scoperò allora non chiacchiero con te? So che non mi farai un lavoro gratis allora non mi fermo al bar o al parco con te? Non vengo a trovarti?

Saper stare da soli. Non aver paura del vuoto. Alcuni la mettono su questo piano.

Eppure.

Scegliere a tavolino prima? Davvero? La vita è ORA, in questo momento, questo qui.