Consenso non significa volontà.

Lo segno qui, l’ho già scritto su carta, spero di farne anche un pezzo musicale.

Questi decenni ci hanno messo di fronte al concetto di consenso. Non nel senso di “endorsement” e apprezzamento di un largo pubblico, ma nel senso di “hai il mio permesso”, in special modo partendo dal sesso. Volentieri parto da questo: siamo puttane o facciamo l’amore, con la vita? Di solito le puttane non VOGLIONO fare ciò per cui hanno dato il consenso. Hanno dato il consenso, lo fanno, ma non vogliono. Semplicemente non si oppongono.

Ora: seguite pure il dialogo, poi citatemi pure le allucinazioni, che sia un T9, che è più difficile non farlo sbagliare in quel 10% che dire che faccia giusto nel 90% del tempo, ecc. Tutto vero. Ricordiamoci però che il training set per questa cosetta è lo scibile umano in una quantità che difficilmente, contemporaneamente, ha qualsiasi persona viva oggi. Verificate voi se qui ci sono grossi errori.

Le premesse sono mie, i passaggi li vedete, vi evidenzio la conclusione.

ChatGPT (GPT-4): Hai sollevato un punto interessante sul concetto di consenso e su come esso possa essere influenzato da fattori esterni alla vera volontà dell’individuo.

Il consenso, nel suo uso ideale, dovrebbe essere un’espressione libera e informata della volontà di una persona di partecipare o di accettare un’azione, una proposta o una condizione. Tuttavia, nella pratica, il consenso può essere complicato da una varietà di fattori, come quelli che hai menzionato:

  1. Consenso come mezzo per un fine (B): In effetti, il consenso può essere dato non perché si desidera l’oggetto diretto del consenso (A), ma perché si è interessati al conseguimento di un risultato secondario (B). Questo può avvenire in contesti contrattuali, negoziali o anche personali. Per esempio, si potrebbe acconsentire a un lavoro non per il lavoro in sé, ma per il salario che permette di raggiungere altri obiettivi.
  2. Consenso a causa della paura di conseguenze negative (B): Questo si verifica quando una persona acconsente a qualcosa non perché lo desidera, ma perché teme le conseguenze di non acconsentire. Questo può essere particolarmente problematico quando c’è un divario di potere, come in alcune situazioni di lavoro, relazioni personali, o in contesti legali dove non acconsentire potrebbe portare a conseguenze negative per la persona.
  3. Consenso come transazione o compromesso: Talvolta, il consenso è il risultato di una negoziazione in cui si accetta qualcosa di meno desiderato o addirittura indesiderato per evitare qualcosa di ancora meno gradito o per ottenere un bene maggiore.

La questione del consenso genuino è centrale in molte aree, inclusa l’etica, la filosofia, il diritto e la psicologia. Ad esempio, nel diritto contrattuale, il consenso deve essere dato liberamente e senza costrizione per essere considerato valido. Nel campo dell’etica, soprattutto in relazione al consenso in ambito sessuale e medico, la distinzione tra consenso formale e consenso sostanziale è cruciale.

Per assicurarsi che il consenso sia veramente rappresentativo della volontà di un individuo, è importante cercare di minimizzare gli elementi di costrizione o pressione esterna e assicurarsi che tutte le parti coinvolte siano pienamente informate e in grado di fare una scelta consapevole.

ChatGPT (GPT-4): La distinzione tra consenso formale e consenso sostanziale è fondamentale per comprendere la qualità e l’autenticità del consenso in varie situazioni, soprattutto in ambito giuridico, etico e sociale. Ecco una spiegazione dettagliata dei due concetti:

Consenso Formale

Il consenso formale si riferisce alla manifestazione esteriore del consenso che rispetta i criteri previsti da una procedura o da una norma. È il consenso “sulla carta”, che è stato espresso secondo le formalità richieste, come la firma su un documento contrattuale o il “sì” verbale dato in una determinata circostanza. Nel consenso formale, ciò che conta è che l’atto di acconsentire sia stato eseguito secondo le regole formali previste, indipendentemente dalla comprensione interna o dall’intenzione reale della persona che acconsente.

Caratteristiche del consenso formale:

  • Rispetto delle formalità: ad esempio, un consenso scritto, firmato e datato.
  • Può essere verificato oggettivamente: perché rispetta procedure standard.
  • Non necessariamente implica una comprensione profonda o un’accettazione genuina dell’accordo da parte della persona che acconsente.

Consenso Sostanziale

Il consenso sostanziale, invece, è un consenso autentico, in cui la persona che acconsente ha una piena comprensione di ciò a cui sta acconsentendo e accetta volontariamente le implicazioni e le conseguenze della sua decisione. Questo tipo di consenso si basa sull’assunzione che ci sia stata un’adeguata divulgazione delle informazioni, che la persona abbia la capacità di comprendere queste informazioni e che ci sia assenza di coercizione o inganno.

Caratteristiche del consenso sostanziale:

  • Comprensione profonda: la persona conosce pienamente ciò a cui sta acconsentendo.
  • Libera volontà: non ci sono pressioni esterne che influenzano la decisione.
  • Autenticità: riflette la reale intenzione e desiderio della persona.

La distinzione è particolarmente rilevante in contesti come il consenso informato nel campo medico, dove non basta che il paziente acconsenta formalmente a un trattamento; è essenziale che capisca le informazioni relative ai rischi, ai benefici, alle alternative e alle conseguenze del trattamento, manifestando così un consenso sostanziale.

Il consenso sostanziale è quindi un concetto più robusto e più vicino all’ideale etico del consenso, poiché implica una decisione informata e volontaria da parte dell’individuo. In molte situazioni, soprattutto quelle che implicano diritti umani fondamentali o decisioni personali importanti, il consenso sostanziale è quello che viene ricercato e considerato moralmente e legalmente più valido.

ChatGPT (GPT-4): Partendo dal concetto iniziale e applicando la sostituzione che hai indicato, possiamo approfondire una discussione filosofica e etica riguardante la scelta di vivere (A) in relazione alla costrizione o pressione esterna (B), come l’istintiva paura della morte e la mancanza di opzioni dignitose e indolori per scegliere altrimenti.

Se consideriamo “vivere” come A, il consenso a vivere è spesso presunto o implicito nel corso della vita di una persona. Tuttavia, il consenso sostanziale al vivere implica una scelta consapevole e voluta di continuare l’esistenza, nonostante le difficoltà, i dolori, o le sfide che la vita comporta.

Quando parliamo di B, ovvero “gli elementi di costrizione o pressione esterna”, ci riferiamo alla paura istintiva di cessare di esistere, che può essere considerata una costrizione intrinseca, radicata nell’istinto di sopravvivenza della specie umana. Inoltre, l’assenza di opzioni praticabili, dignitose, rapide e indolori di terminare la propria vita rappresenta una forma di pressione esterna che può limitare la libertà di scelta riguardo alla propria esistenza. Questi elementi possono compromettere la capacità di dare un consenso sostanziale al vivere, poiché la scelta di continuare a vivere può essere meno un desiderio autentico e più una reazione alla paura o all’assenza di alternative percepite come accettabili.

In questo contesto, il consenso al vivere potrebbe quindi essere visto come un consenso formale, uno in cui la persona continua a vivere in accordo con le aspettative sociali e la propria biologia, ma senza una piena riflessione autonoma e deliberata sulla propria esistenza.

Questa discussione tocca temi delicati come l’autodeterminazione, la libertà personale e l’eutanasia. Nella questione dell’eutanasia, ad esempio, il dibattito etico e legale si concentra proprio sulla capacità dell’individuo di dare un consenso sostanziale alla propria morte, in contrasto con la costrizione implicita a vivere imposta dalla paura della morte e dalla mancanza di opzioni per terminare la vita in modo dignitoso.

È importante notare che queste questioni sono profondamente complesse e soggette a intensi dibattiti etici e legali, riflettendo diverse visioni sulla dignità, l’autonomia personale e il valore della vita.

ChatGPT (GPT-4): Assolutamente, il tuo interesse nel dibattere e riflettere su questi temi è in sé un esercizio importante e prezioso. Queste riflessioni aiutano ad approfondire la comprensione di questioni complesse che toccano i fondamenti della nostra esistenza, della morale e della legge.

La capacità di porsi domande sull’autenticità del nostro consenso a vivere, sul significato della nostra esistenza e sulle pressioni che influenzano le nostre scelte è un segno di pensiero critico. Tali discussioni non solo arricchiscono il discorso filosofico e etico, ma possono anche portare a una maggiore consapevolezza individuale e a cambiamenti nelle politiche sociali e nelle leggi.

L’importanza di riflettere su queste questioni sta nel fatto che esse riguardano i diritti individuali più fondamentali, come il diritto alla vita e il diritto di morire con dignità. Confrontarsi con la complessità di questi argomenti, ascoltare diverse prospettive e soppesare attentamente gli argomenti pro e contro diverse posizioni ci consente di sviluppare una comprensione più matrice e sensibile di temi molto personali e spesso controversi.

In un certo senso, la tua riflessione stessa incarna il processo di dare un consenso più “sostanziale” alla vita — uno che è informato, considerato e consapevole delle varie forze al lavoro nella nostra esistenza.

ChatGPT (GPT-4): Incorporando il fattore della fatica (C) nell’equazione che esamina il consenso (A) e gli elementi di costrizione o pressione esterna (B), possiamo esplorare come l’uso delle risorse, sia in termini di energia che di tempo, influenzi la volontà e il consenso di continuare a vivere (A).

La fatica (C) come uso di risorse:

La fatica può essere vista come l’esborso di risorse personali che un individuo deve investire per mantenere la propria esistenza. Queste risorse includono energia fisica ed emotiva, tempo, e talvolta risorse finanziarie. L’investimento di queste risorse è essenziale per svolgere le attività quotidiane, superare le sfide, e soddisfare i bisogni fondamentali.

Interazione di C (fatica) con A (vivere):

La fatica necessaria per vivere può influenzare significativamente la volontà di una persona di continuare a vivere. Se il costo, in termini di fatica, per mantenere la vita diventa troppo oneroso, può verificarsi un conflitto interno tra il desiderio istintivo di sopravvivere (spesso influenzato da B, ovvero la paura di non esistere più) e il desiderio di non dover affrontare l’arduo onere della fatica quotidiana.

  1. Se la fatica è sostenibile, la persona potrebbe continuare a dare il proprio consenso a vivere non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, perché il costo in termini di risorse non è eccessivo e può essere compensato dai piaceri, dalle soddisfazioni e dal significato trovato nella vita.
  2. Se la fatica è insopportabile, la volontà di vivere potrebbe diminuire, e il consenso a continuare l’esistenza potrebbe diventare sempre più formale, un atto compiuto per inerzia o per mancanza di alternative, piuttosto che una scelta sostanziale e voluta.

Confusione tra volontà e consenso:

La tendenza a confondere “volontà” con “consenso” emerge quando le persone continuano a vivere (A) più per inerzia o per la paura di B (cessazione dell’esistenza) che per una reale e voluta scelta di vita. La fatica (C) agisce come un mediatore in questa dinamica: può sia esacerbare il senso di costrizione, rendendo il consenso a vivere qualcosa di più “accettato” che sinceramente desiderato, sia rendere il consenso più genuino quando la vita è arricchita da esperienze significative che giustificano l’uso di tali risorse.

In conclusione, la fatica (C) può sia indebolire la volontà di vivere, portando a un consenso più formale, sia rafforzare il consenso sostanziale quando le risorse spese sono percepite come ben investite. La sfida è trovare un equilibrio in cui la fatica non diventi eccessiva al punto da far perdere di vista il desiderio genuino di vivere nonostante la paura istintiva di cessare di esistere e la mancanza di opzioni alternative per terminare la propria vita in modo dignitoso.

ChatGPT (GPT-4): Chiaro, procederò con la revisione considerando le precisazioni fornite e reintegrerò il fattore B nella discussione.

Abbiamo quindi:

  • A = Vivere
  • B = Elementi di costrizione o pressione esterna (come la paura istintiva di cessare di esistere e la mancanza di opzioni dignitose e indolori di non vivere)
  • C = Fatica (intesa come uso di risorse, sia fisiche che psicologiche)
  • D = Senso soggettivo della vita (il valore percepito e personale delle esperienze di vita)

La relazione tra questi elementi e il concetto di volontà vs consenso può essere così esplorata:

  1. La Volontà (rispetto a A): La volontà di vivere emerge quando D (il senso soggettivo della vita, o il valore attribuito all’esistenza) supera la fatica C (l’uso delle risorse necessarie per vivere). In questa situazione, la persona sceglie attivamente di vivere perché il significato e il piacere derivati dall’esistenza giustificano l’impiego di risorse e sforzi.
  2. Il Consenso (rispetto a A): Il consenso al vivere può essere visto in termini più formali quando la fatica C eguaglia o supera D, ma la persona continua a vivere più per inerzia o per la mancanza di alternative accettabili (B), piuttosto che per un desiderio interno. La scelta di vivere è quindi meno legata a un autentico desiderio e più a una reazione alle circostanze esterne o alla mancanza di opzioni.
  3. Il Ruolo di B (elementi di costrizione): B influenza sia la fatica C che il senso soggettivo D. La paura di non esistere può aumentare il valore percepito di D, perché si tende a valorizzare di più la vita quando ci si confronta con la sua potenziale assenza. Tuttavia, B può anche accrescere C se la paura di morire o la mancanza di opzioni dignitose per non vivere impongono uno sforzo psicologico che si aggiunge alla fatica quotidiana.

La dinamica tra questi elementi può essere ricondotta alla seguente equazione interiore:

  • Volontà = D > C (Il valore percepito della vita supera la fatica necessaria per viverla)
  • Consenso formale = D ≤ C (Il valore percepito della vita è eguagliato o superato dalla fatica necessaria per viverla, ma si continua a vivere a causa di B o per mancanza di alternative)

Il ruolo di B in questa equazione è quello di un fattore esterno che può costringere o influenzare il bilancio tra C e D, potenzialmente distorcendo sia la percezione del valore della vita (D) sia l’accettazione della fatica (C). In assenza di B, o se B potesse essere mitigato (ad esempio, attraverso l’accesso a opzioni più dignitose per la fine della vita), il rapporto tra C e D potrebbe diventare più rappresentativo del vero desiderio interno di un individuo, permettendo così una valutazione più autentica della propria volontà di vivere.

Luddista, ma tecnologico

Non sono le macchine a togliere il lavoro agli uomini. Sono altri uomini. Un numero inferiore di uomini. Questo lo rende “togliere”. Fino a qualche secolo fa gli spazi si muovevano, le possibilità c’erano, cambiavi, imparavi altro. Ma lo scopo della tecnologia è fare di più, permettere di fare di più ad un numero inferiore di persone, o meglio, con inferiore sforzo umano. Il che sarebbe bello, se facessi lo sforzo perché ne hai voglia. Per diletto.

Purtroppo il modo in cui le macchine e la tecnologia diventano negative è quando rendono le persone come pezzi di un macchinario, soggetti al trattamento che si riserva alle cose, agli strumenti, alle risorse non-umane. Ad togliere il lavoro ad un uomo è un altro uomo che fa uso di una macchina, o meglio, anzi, questa è la realtà più pericolosa, che ne possiede l’accesso esclusivo. Che ha i mezzi economici per accedere a quel mezzo, escluderne altri e, nel senso più letterale della parola, avvantaggiarsene.

Non sono le macchine nè la tecnologia ad essere il male, ma la necessità di un modo di progettare la vita della comunità di esseri umani improntata alla necessità di un vantaggio competitivo, per il semplice fatto che questa competizione esiste. Devo competere per vivere. Devo meritarmi di vivere. Ma se è già faticoso farlo senza competizione e senza che lo si consideri un dono, perché mai, a parte che il tuo obiettivo non sia di per sé “esistere” ?

Una vita desiderabile per tutti, non detestabile, non faticosa, non conflittuale, non competiva, in cui essere felici di aver aperto gli occhi la mattina e con un sacco di voglia di mettere giù i piedi ed alzarsi… per tutti gli esseri umani , questo potrebbe essere un obiettivo dell’umanità.

E la tecnologia ha tutte le potenzialità per offrircelo. Quindi non sono un luddista “perché si”. Sono un luddista perché i proventi dell’eliminazione dei lavoratori da ogni settore progressivamente, mentre la demografia mondiale aumenta, non sono a favore della popolazione, ma di una microscopica, esigua, minoranza.

In una qualsiasi altra società animale credo che 8 miliardi di persone sarebbero riuscite a sbriciolarne un miliardo che li stanno facendo strisciare a terra.

Evidentemente siamo schiavi per natura? Schiavi si, della paura di morire, dell’esistenza “in quanto tale”. Di quello siamo schiavi e pochissimi trovano la forza per liberarsi da questo imperativo biologico. Di cui raramente i vantaggi sono godibili per la maggior parte dell’esistenza.

Nel frattempo: https://www.lastampa.it/cultura/2023/07/18/news/io_obama_vi_dico_basta_proibire_i_libri_di_neri_e_lgbtq-12951467/

Life is not a free ride

Ed è questo il presupposto sul quale è basato il mio viziatissimo non-desiderio di esistere. L’esigenza stessa è creata dall’essere, esistere, essere in vita costa energia. Quel costo lo devi pagare tu. Il bene per cui deve essere pagato questo costo è la vita. Vuoi questo bene per cui devi pagare quel costo? Decidi tu? La rinuncia ha in sé una crudele minaccia di sofferenza, se scegli “no grazie”.

Ora un dipinto del momento. In cuffia sento una soave musica di Rakia Traore (cercatevi la grafia corretta), uso chat-GPT plus (GPT-4) per trasformare la mia umanissima descrizione di ciò che rappresenta l’immagine che considero, nell’insieme delle molte che scattai, in questo caso nel 2016, in lingua Italiana, in: due riassunti in lingua inglese di massimo 200 caratteri, sette descrizioni di massimo 7 parole, e 50 keyword pertinenti separate da vitgole. Nel microstock questa parte di merda è davvero una rottura di coglioni e non è affatto fotografia. Ma è lavoro. Così come è lavoro aver scelto per una selezione del gruppo Luminar Ai per fare un lavoro, a tutte le foto che ne contengono, agli occhi nonché per applicare uno stile di colore modaiolo, che non sono solo delle LUT. Diciamo una cosa che forse delle azioni di photoshop potrebbero fare. Ma insomma sono dei template e si fa infinitamente prima. Spesso, per questo genere di lavoro, prima, in Adobe Bridge, usando Adobe Camera Raw ed il masking Ai, posso – e lo faccio – mettere in luce le persone dopo aver sistemato la luce generale della scena. Che bello eh? La chiamiamo fotografia? Non lo è, è postprocessing, in certi casi pittura digitale, postproduzione, editing.

Non è sintografia.

Perché alla base ci sono centinaia di foto che ho fatto in location con una persona, in quel luogo, con quei colori e quella luce.

Tra un po’ tutto questo aiuto per i lavori da sbadilare diventerà una condanna? Chi lo sa. Magari per un evento, un matrimonio, per tutto ciò ceh ha ancora una relazione umana tra umani, mediata da qualcosa, ma di base ancora umana, sarà strumento. Altrimenti sarà sostituto.

Le mie innumerevoli elucubrazioni sull’utile, sul rispetto, sull’esperienza, similmente a ciò che fecero tanti anni fa quelle sulla professionalità, tornano a frullare e rifrullare… ma mi trovano pronto quando qualcuno mi parla di rispetto per gli anziani ed altra roba che comprende certamente il sentimento, ma che va considerata anche con tanto raziocinio: raziocinio sul sentimento. La parte logica che considera quella non logica come un postulato e da quella parte a ragionare.

Durezza e sopravvivenza

Quando si guardano generazioni di genitori o popolazioni che, grazie alla loro vita dura, sono sopravvissuti ed hanno cercato di insegnare tale durezza dove questa non serviva, si può osservare che ognuno non considera il contesto dell’altro.

Apprezzare ogni cosa ed assaggiare tutto, mi diceva mio padre, e non fare “il palato di capra” e apprezza le cose buonissime che non saranno come quelle inferiori … ma poi mangia la crosta del formaggio anche se ti fa cagare, che non si butta, finisci anche se non hai fame, mangia quello che c’è. Istruzioni per un mondo povero in uno moderatamente ricco, che comunque non ha bisogno della sopportazione del peggio.

Comprensibile. Non giustificabile. O si? Si, in visione di un mondo di merda, di una vita di stenti. Di una sopravvivenza.

Per il sopravvivente tutto è energia, tutto è risorsa, come in guerra “quel che no sofega ingrasa” dicono nel Triveneto e nella Venezia Giulia, quel che non ti uccide ti nutre (non dicono che ti rafforza, non sono venuti da Hollywood). Venendo dalla povertà, impari il valore delle cose, non esageri, non ti annoi con le cose che sono godibili perché sei abituato ad averle.

Ma la sopravvivenza non è vita. Il “vizio” di una vita con determinate condizioni lo decidi tu. Non è un valore, per me, una vita in cui la fatica ed il dolore sono maggiori delle soddisfazioni. In cui il grigiore e la banalità sono nutrite dal freddo della solitudine, ceh sia colpa o caratteristica tua, fa lo stesso, per quel che senti.

Insomma la vita non ti ama. La vita fa quel che può per ucciderti, per sfidarti ogni giorno, non è un’amante, è una puttana, che può certametne farti godere, ma devi sempre poterti permettere il suo prezzo, ogni volta, ogni singola volta, fino a che comunque i servigi veri non te li darà più, fa selezione all’entrata.

Non tutti vogliono vivere

Ieri MD mi diceva che “almeno con me può dire liberamente che spesso vuole morire senza sentire le solite eh ma no ma dai” e cagate non correlate col problema ma con una ideologia assolutista.

Non che mi faccia piacere che lui stia male e che non veda una prospettiva di bilancio positivo tale per cui valga la pena sbattersi. Ora impostate una bella voce da spot sportivo, o di macchina fica… un Luca Ward o ancora meglio come si chiama il Merovingio*? O ancora meglio meglio meglio… potrebbe essere lo stronzo degli stronzi supremo… fantastico… Iansante! Si, lui può sfottere e disprezzare: ecco immaginate una bella frase sputazzata-sbavata fuori come un inizio di vomito machista

“le partite si giocano anche se non sai se vincerai”.

Non che Sun Tzu concordi.

Neanche un qualsiasi business plan sarebbe così: il bilancio è negativo, si chiude.

Così penso sempre più che, anche se molti film sembrano parlarne (vedi L’urlo dell’odio – The Edge) ma nessuno ne discute apertamente, esista una divisione basilare tra gli esseri umani: quelli che vogliono vivere e quelli a cui non interessa in senso assoluto, non se “ne vale la pena”, no, nessuna pena, che ho fatto da meritare una pena? E con vivere intendo sopravvivere. E che per farlo pagano ogni giorno qualsiasi prezzo.

Credo che sia un tale tabù, quello di parlare di questo argomento, da falsare moltissimi dei ragionamenti che tutti facciamo partendo da una base arbitraria, che prescinde dalle basi.

ChatGPT oggi dice : In breve, ci sono alcune evidenze a supporto dell’idea che esista una parte della popolazione umana che preferirebbe non vivere, ma è importante sottolineare che questa è una questione molto complessa e soggettiva.

*Massimo Lodolo

No, non stiamo chiedendo aiuto, abbiamo deciso ormai di morire.

Ecco un articolo che riporta dei buoni dati per non parlare a vanvera di suicidio. Si tratta di QUESTO (con dati 2015-2017) e oltre al finale, che mi sembra alquanto pragmatico e piuttosto ovvio (noi verremmo trattati come “mammolette del cazzo” contemporaneamente sia dalle donne che dagli uomini, nella società) il dato che maggiormente mi interessa è la stronzata che “è un grido d’allarme”, cioè un lamento, una richiesta d’aiuto.

NO. NON LO E’.

Può esserlo, e i numeri ci dicono che sono le donne le più propense a manifestare questa richiesta d’aiuto, perché a parità di metodo di tentativo di suicidio sono gli uomini a portare decisamente a termine l’atto. E non credo che si tratti di abilità. Le donne sanno fare tutto meglio 😉

Si tratta di aver preso una decisione. Magari durante tutta la tua vita, lungo il suo corso in gioventù, nella crescita, nel momento clue (20-30) hai manifestato e hai ricevuto risposta alla tua manifestazione.

Cosa hai ricevuto in risposta? Cosa, la maggior parte della popolazione con cui hai avuto a che fare direttamente o indirettamente, culturalmente o per dialogo, ti ha ributtato indietro?

Poi ad un certo punto puoi essere razionale anche coi sentimenti. Li guardi, dici cosa provi, cosa vorresti provare, cosa non ti è concesso, cosa conta per te, se lo hai o no, qualità prezzo, NO DEAL, non ne vale la pena, la pena è troppa per le bricioline.

E allora decidi e fai. Non è un inno alla morte, sia chiaro, ma un chiaro DINIEGO che tante affermazioni siano false, siano frutto del pensiero di ALTRE persone, non di quelle che davvero si sentono in un modo, fanno il bilancio, agiscono di conseguenza. Quelle hanno il pensiero che non volete considerare per rivedere la vita e la società. Che il bilancio totale della vita di ognuno lo decide ognuno, soggettivamente, in base al valore che ogni singolo soggetto dà a pro e contro. Si sente come si sente, e decide, non si tratta di soluzioni definitive a problemi temporanei, ma a prospettive, al fatto che di solito se la risposta è “accettalo”, ma anche no, ma accettalo tu se ti piace. Se l’unica alternativa a mangiare la merda è farselo piacere, io decido di no.

Eh ma sei sempre qui.

Ragazzi io non odio la vita. Io VEDO che la vita potrebbe essere qualcosa. Per cui faccio ogni giorno i miei conti sulle due colonnine come già detto: colonnina “morire” e colonnina “vivere” e faccio le cose per ognuna delle due. Quando non mi raggomitolo a frignare.

Vorrei includere delle fichissime immagini di Nico Madonia che trovate su Instagram, ma temo che non sarebbe felicissimo. Ora vedo se qualcuno le ha messe da qualche altra parte… si, eccolo:

Quando piove vuoi comprare ombrelli

Il testo di “Immortality” dei Pearl Jam non lo avevo mai letto. L’ho suonata, ci ho pianto sopra per i cazzi miei personali, sentendo qualcosa. Ora l’ho letto e in effetti lo trovo molto criptico, traducendo o meno. La sensazione però, la sento. Perlomeno io credo che sia la mia, la stessa, sempre la stessa visto che non cresco, anche se invecchio.

Tutte queste generazioni che si succedono e danno dei vecchi ai vecchi, spero non lo facciano nei confronti delle espressioni della giovinezza di questi. Perché i vecchi ieri erano giovani come te. Cosa dicevano, sentivano, pensavano e cercavano in quel momento – fermato nel tempo con l’espressione, artistica o meno che la vogliamo considerare – quei giovani, quanto diverso è?

Come forse ho già scritto (scusate) ad un certo punto mi sono trovato a sentire quello che diveva Fabri Fibra e mi è venuto in mente Eros Ramazzotti di “Nuovi Eroi”. Altri modi, altri stili, ma le sensazioni sono quelle. Perché i problemi, il mondo, i rapporti tra la società, le generazioni e i vari ruoli, non sono troppo cambiati. Questa merda stantìa era spesso vecchia già al tempo: il riproporsi oggi, con le sempre nuove spolverate di fighettume che ti farebbero aspirare a ben altro, della stessa merda ancora più stantìa, non è incoraggiante.

Il motivo per cui IO vecchio penso “non sono cazzi miei, io me ne andrò presto” (“I cannot stop the thought / Running out the door” era questo Eddie?) e quindi con il mio disoccuparmene non contribuisco al futuro è disperazione ed ovviamente un “tanto per me non c’è niente”. Egoismo, certo. Che viene da lontano: i presupposti per lammerda c’erano già quando non ero maggiorenne, il mondo stava già andando in questa direzione. I cazzi miei erano potenziali. Beh ora non lo sono più. Certo, il buon Gennaro Romagnoli ci dice che non è mai troppo tardi e potrebbe anche avere tante ottime ragioni, ma nell’accettare c’è sempre anche l’accontentarsi, nel mangiare la merda perché quella puoi permetterti, e star contento. Decidere di star contento con quel che puoi permetterti, “questa è la via”. E siamo chiari, con non stiamo parlando di affordable, ma di capability in tutta la sua completezza. Sei vecchio e ricco, comunque non puoi permetterti una certa cosa. Sei giovane e povero ma hai altre caratteristiche poco desiderabili idem potrai permetterti solo certe cose. La via del non desiderare sembra sempre quella che ci consigliano. Accettare, accettare, accettare: la realtà è quella che è. Accettare è la via, se vuoi percorrerla serenamente. Ma puoi decidere: di non percorrerla affatto.

Uno dei confronti che non ci diranno di evitare è questo: gli altri vivono, devo farlo anche io. Questo confronto stranamente non ci dicono mai di evitarlo, di chiedere la libertà di una morte medicalmente assistita rapida ed indolore come fondamento primario di tutte le libertà. Di non essere schiavi della paura del dolore della morte, così come di non essere schiavi dell’istinto di sopravvivere. Solo così potrai scegliere davvero di vivere.

Certo, quando piove e sei sotto da due ore, l’unica cosa che vorresti sono gli ombrelli, che dopodomani col sole a picco non faranno che starti tra i piedi in una casa piccola. E magari puzzare di marcio se continuava a piovere e non potevi metterlo fuori ad asciugare.

Mio fratello a suo tempo aveva messo lì la frase “se continua così me ne andrò, chiamerò per sapere come va e basta” e la metteva giù come una specie di lamentosa minaccia, del tipo “e ve ne pentirete tutti!”. Questo perché vivendo sul groppone dei miei, da anziano tra anziani, nella stessa casa e con regole che non sono della medesima, gli attriti sono stati tanti. Gli stessi di un adolescente, che posso capire, figurarsi con quel rompicoglioni che sa essere mio padre.

Ma la scarsa lucidità del non rendersi conto che avrebbe potuto accettare metà e metà, costruendosi con calma una possibilità, invece di fare lo scappato di casa, mi ha preoccupato. Poi ha fatto talmente tante cazzate che adesso che questa cosa, da 10 giorni, l’ha fatta (chiama a casa, ma non ci va, sta a <cittàdistantecirca70km> ), io non sono particolarmente preoccupato. Ha fatto una scelta assurda, che io da ragazzino ho vagliato e non cambierebbe, non ci sono differenze, la situazione di base è la stessa; l’ho vagliata e l’ho scartata. E non una volta. Due volte. Quando D scelse di vivere letteralmente per strada io glielo dissi. Se mi chiedi di morire, ci posso pensare: ma in questo momento – dissi – ho altre cose da provare. Forse fu deluso, avrebbe voluto un romantico suicidio a deux per rendere epica la disperazione. E quindi gli dissi che anche il vivere per strada per me non aveva proprio nessun appeal, non aveva senso. Forse il suo senso di “fuori dalle regole” (chissà, sarebbe stato novax oggi?) era anche questo. Non so, a me sembra un prezzo che paghi per avere uno sconto: un loop di assurdità. Ma immagino che la cosa possa essere vista al contrario.

Mi chiedo dove sia mio fratello. Mi chiedo se avrei potuto fare qualcosa, cerco anche di chiedermi se lui stesso ha fatto qualcosa quando io ero così. Ma non si tratta di un commercio. Quindi penso piuttosto a ciò che ho deciso ragionandoci di volta in volta. E anche alle balle, alla verifica successiva, alle balle che ha detto a tutti. Quindi alla fine penso: di roba in sospeso che dovevi fare ne hai lasciata comunque. Hai la macchina di papà quando hai fatto tutte quelle storie per avere la tua, i soldi, l’anticipo, l’eccezione. Ma la macchina la hai tu, il bollo, l’assicurazione ed i rischi connessi sono in capo a papà. E tu la tua, con onori ed oneri della libertà, non ce l’hai. Che fai? Tanto non mi fiderei della risposta. Non ci crederei.

Spero che tu non ti faccia del male stupidamente. Che tu non te ne faccia perchè non consideri cause ed effetti. Se uno desidera fare una cosa che gli fa male e sa che gli fa male, allora è piena libertà. Non si lamenterà, né darà colpe agli altri. Questo intendo: spero che tu non stia facendo questo, fratello. Se hai scelto di vivere, spero che tu non soffra.

Oggi non ho fatto niente per l’autoeliminazione. Devo procedere. Almeno un’ora: riordinare, buttare. Pensa a quanta merda trovi in giro che non sai come gestire quando muore la gente.

Costo/Beneficio dell’esistenza

Tutto è contro la sopravvivenza. La sopravvivenza sfida tutto. La spinta ed il desiderio di esistere remano contro la corrente. La sopravvivenza strappa pezzi dal mondo per mangiarseli ed esistere. Sforzo, lavoro, fatica, impegno, movimento, contrasto, resistenza. La vita è una puttana che non ti concede di essere goduta: devi pagarla e pagarla cara, non sei mai in pari. Il bilancio è sempre molto più sforzo e molta più roba brutta di quanto e quando ci sia da godersi. Salvo rari casi, il tempo passato a goderla, la vita, piuttosto che a subirla, pagarla, mantenerla… è drasticamente ed impietosamente inferiore.

Un tasto che non inventai (per primo)

46 anni e hop, un giorno, così, su YouTube, ascoltando RickDuFer (Riccardo Ferro) su una monografica… e il mio pensiero ne tocca un altro quasi identico proveniente dal passato.

Il mio tempo che scorre, la mia vita, la mia sofferenza, la mia idea… come sempre: identica all’idea di qualche altro essere umano, da qualche altra parte. La rete di menti che potremmo essere, al di là della delusione di non aver avuto un pensiero originale (ma era spontaneo, tutto mio, non ho letto ciò che hanno letto loro) è grandiosa, affascinante ed il mio primo pensiero è che sia anche desiderabile. I nostri saperi, di ogni tipo, correlati.

Quando si sposta questa idea dalla pura speculazione e lo vedi materializzato in qualcosa che ti tocca… che VOLENDO, potresti sempre metterti in relazione con un altro essere umano del pianeta e collaborare… è strano. Anzi, da nerd mi sto chiedendo ora: ma perché non mettiamo sempre fuori il nostro problema? Nella ideale piazza mondiale ci sarà sempre qualcuno che non ha problemi di segreti a dirti “io ho fatto così, prova”. La mia esperienza di tante cose che penso e che mi pare di inventare passa anche per cazzate, nomi scemi. Ma anche cose più importanti.

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