ho deciso di farmelo infilare

Ho deciso, dopo aver sentito per l’ennesima volta, negli ultimi 17 anni, che verso i 40-45 bisogna avere più paura di certe cose, di farmi infilare quello che va infilato su per il culo e verificare. Stiamo parlando, signore e signori, di colonscopia. Non so assolutamente in cosa consista. Ma il punto è che se verso i 45 fai questo esame, riduci sensibilmente il rischio di dover subire, nel caso di tumore al colon, interventi più gravi in futuro. Ora, come ben sapete se seguite questo blog a ritroso, che la mia attuale via è su due binari. Morire / vivere. Su quella del morire, vanno fatte determinate cose. Su quella del vivere, altre.

Ognuna di queste vuole evitare il soffrire.

Ecco, immagino che un tumore al colon possa far soffrire parecchio. E in vari modi. E ora come ora non sono nemmeno pronto a sapere quali.

Quindi ci sono due visite da prenotare. Oculista, sicuro. Proctologo, immagino. O boh, lo saprà la mia dottoressa.

il saggio peripatetico

Di tanto in tanto lo reincontro. M. viaggia con la sua testa pelata, oggi con una gran barba bianca, magrissimo, quasi all’osso, macinando chilometri tutti i giorni, con le cuffiette e la radio – purché si parli, si impari, ci sia da pensare – per le strade un po’ defilate di questa città. Lo vedo poco, proprio per questo. E quando lo vedo non riesco a raggiungerlo, talvolta, perché lui dice di tenere il volume basso, ma non mi ha mai sentito. Incoerentemente amante di scienza e tecnologia come concetto, ma testardamente ed anacronisticamente legato al belvecchiomododiviverediunavolta piùamisuraduomo eccetera, invariabilmente è totalmente solo. Rifiutando tutto, tutto lo rifiuta. Quel che cerca è difficile, difficilissimo da trovare. Ma si può, totalmente, definitivamente, è  possibile trovarlo.

Cerca qualcuno con cui parlare  sul serio. Di cose interessanti, di cui discutere. Ragionare. Confrontarsi. Dialogare.

No che tempo fa. No caldo freddo. No calcio e programmi televisivi. Roba seria. Cibo per la mente.

Ha potuto prendere la via del saggio camminatore perché un malanno vero gli ha impedito il lavoro: era quindi in malattia. Per non impazzire ha iniziato a camminare, camminare, camminare. Avrebbe voluto parlare, ma alla fine nessuno vuole davvero parlare. Si può anche chiacchierare, ma di qualcosa, sul serio, qualcosa. Non del nulla. Ma lui si rifiuta categoricamente di usare gli instant-qualcosa. Niente social e-basta. Eppure se non rifiuti il contatto, puoi scremare. Se non cerchi sesso è anche facile tentare il dialogo. Se non cerchi l’amore. Se cerchi qualcuno con passioni comuni, aggregarsi attorno ad un qualcosa… non è poi impossibile. Difficile, certo. La superficialità regna sovrana. Ma non è l’unica cosa esistente. Continue reading →

dentro la vostra testa

Le donne sono un mistero si dice sempre. E’ una delle cose che mi interessa di più quello che c’è dentro la vostra testa. Ho fatto delle cose scorrettissime ad una sonnambula, in gioventù (mia e sua). Era attraente e morbosamente seducente perché non esisteva il mistero, né il dubbio: chiedevi e lei rispondeva; era un regalo; era scomparso quel senso di frustrazione del “ma perché non mi dici che cazzo pensi?”. Simulavi una situazione (“ci sono delle persone che mi voglono picchiare!”) e lei sognava in diretta cosa avrebbe fatto e come avrebbe reagito; senza tentennamenti, senza attese. Era meraviglioso. Non si è mai svegliata con la bocca vuota, perché quando le chiedevo cosa voleva era splendidamente porca e molto esplicita e se non lo era bastava chiedere “dimmi quello che vuoi parola per parola”.

Ma l’aspetto veramente perverso non era questo. Era che la sua mente era – miracolo tra i sessi – completamente aperta all’indagine. Chiedevi e lei rispondeva. Nessun giro di parole, nessuna cosa da immaginare. E dentro la testa c’è il cuore.

Quello che le facevo lei lo voleva, lo voleva intensamente. Sotto – sostanzialmente – ipnosi, lei mi desiderava carnalmente e contemporaneamente aveva un po’ di affezione: avrebbe subito investito con l’auto i miei cattivissimi nemici che mi volevano piachiare! Ma non era innamorata, non amava nessuno al momento, senza per questo essere anaffettiva. Era cosciente di aver amato uno. Continue reading →

IncoeRenzo

Diciamo che lo chiamiamo Giangi. Tanto per.
Bene. Avanti:

Poco fa ero “a bermi una birra con” Giangi (io non bevo, lui beve), al quale devo tutto perché io lavoro perché mi ha trovato il posto fisico in cui esercitare ad un prezzo che altrimenti ciao. Oltre al fatto che ha superato una separzione e divorzio in modo encomiabile, questa sera mi descriveva la differenza con cui (senza usare questo verbo) giudicava i suoi figli, sempre con amore, ma dicendo che Pippo “era un uomo” perché aveva l’intelligenza delle mani e quella del cervello (non ha usato queste parole) e soprattutto, in sostanza, si era sobbarcato una serie di responsabilità tra i 18 e i 21 anni, ingravidando la sua tipa, mantenendola, mantenendo il piccolo, lavorando come un mulo, tornato dal lavoro facendo lavori fisici di ristrutturazione e arredamento della casa, pagando il mobilio, aumentando il suo ruolo nella ditta metalmeccanica in cui lavora fino, in 3 anni, a comandare una piccola squadra di 4 persone ed oggi riuscire a fare un finanziamento per un’auto (che lui, Giangi, due settimane fa aveva definito eccessivamente lussuosa ed un capriccio della moglie) e comunque, mi dice, felice di fare quello che fa.

Prima botta mia: il mio piccolo grillo parlante interno mi fa tic tic sulla spalla e mi dice “eh, vecchio, tu non sei un uomo, ti rendi conto vero? cioé, hai capito vero? non so se ti è ben chiaro ora te lo dico io parola per parola: TU-NON-SEI-COME-QUELLO-LI-E-QUINDI-NON-SEI-UN-UOMO”.

L’altro figlio Pluto, nonostante, mi racconti, alla tenera età di 18-19 anni, si sia trovato in terra straniera, grande città, ad un certo punto abbandonato a gestire la responsabilità di 9 gelaterie assieme solo ad un paio di colleghi per una “figa della proprietà” per motivi familiari, che fosse in una grandissima città e non conoscesse bene la lingua se non per il lavoro di sala e laboratorio (cucina, se volete) – dice, nonostante questo, tutto sommato e anche a detta delo psicologo, dentro di se rimane un fanciullo, che affronta la vita e la subisce in modo differente.

Ecco, tra i 17 e i 18 Pippo e Pluto sono venuti entrambi a posare da me.

Pluto è quello che la scorsa settimana mi chiedeva di chiamare da me perché “lo aiuta, gli farebbe bene”. Da me.

Ne parlo con Giangi direttamente, ricordando che oltre a suo figlio, che lui stesso mi manda a mo’ di “terapia”, altra gente si presenta da me con questo spirito, del fare un passo, di mettersi alla prova, di sentirsi in un certo modo. Da me, dico, che non so certo aiutare me stesso. E Giangi mi risponde “è perché tu sei sociale… “.

Eh?

Vado a dormire. Che domani arriva un’altra di quelle che forse non ha capito come funziona la cosa. Che sono loro che vengono a posare per me, per il mio scopo, e che quindi le foto e il soggetto della foto è scelto da me. Non il contrario. Per il contrario si chiama lavoro commissionato e si paga. La cosa che funziona con me è che se le foto che io ho fatto sono di tuo gradimento, essendo state scattate per scopo professionale da un professionista, hanno intrinsecamente qualità e tecnica professionale. Non sto ad elencare che per qualcuno esiste il piacere di farlo o la gratifica personale di sentirsi bene o belli o “all’altezza di essere nella pubblicità”. Questo, per molte persone (che comprendo bene!) è una puttanata, secondario, effimero, ininfluente, superficiale. Ma tecnicamente quello che ottieni è una serie di buone foto con te dentro, scattate per il mio scopo. Se però non te ne frega, lo capisci. Se coincide, figata. Se comunque ricadi nel secondo caso (ti diverti) allora tutto questo è secondario. Ma finché non si prendono il tempo di capire (nonostante io glielo spieghi per iscritto e dettagliatamente, visto che non ho il potere della sintesi) ascoltandomi, chiedendo, guardandomi in faccia… a volte non capiscono. Vabbé. Fa parte del gioco. Dormirò poco.

schiaffinfacciallatristezzacomoda

Oh si. Ho ricevuto una sonora strigliata, anche se lui non sa di avermela data, da un ragazzo col quale ho parlato ‘sta sera. Quanto mi sono dato da fare per migliorare la mia condizione? Quanto davvero va male? Lo so che sono cose che mi sono già detto da solo. Io l’opzione exit la tengo. Ma allo stesso tempo bisogna muovere il culo, non galleggiare, non vivacchiare. Devi farti il culo per cercare di avere quello che vuoi. Lo so che io voglio qualcosa che solo un’altro essere umano mi può dare.

Ma devo essere in una certa condizione. Offrire qualcosa anche di carino assieme a tutta la serie di merde problemi casini che io sono. E non abbracciare solo il lato piacevole della mia esistenza, quanto invece fornirgli delle solide basi continuative. Poi posso sempre morire. Ma attualmente… c’è parecchio da fare ancora. E da apprezzare.

Lo so, non cambia tanto tanto. Ma ci sono cose meravigliose che io HO e che prima non avevo. Ci sono cose meravigliose che mi mancano, ma mi mancavano anche prima. E se è vero che le ho perse dopo averle avute per poco… comunque quel poco c’è stato.

E’ comodo dire vitadimmerdaohnessunomiameràmmai. Magari restando chiusi in casa. E chiuse (molte donne dopo un casino non si mostrano più, attorno o dopo la trentina). E’ più scomodo fare qualcosa. Fare qualcosa senza sapere se avrà esiti. Ma io cammino in avanti, col machete in mano, avanti nella foresta, mi guardo attorno e faccio quel che devo fare. Ma se per caso c’è una donna che mi fissa, in questa cazzo di foresta, devo essere li con lo sguardo dalla parte giusta.

Dieci secondi di grinta. Prima di dormire butto su un po’ di lavoro eh?

Che domani vedo la mia primissima ex. Quella che ha dato inizio a tutto. Con leggerezza. Ora quel dolore lo ricordo come a guardare una figura o leggere una descrizione. Puoi immedesimarti, puoi farti prendere, oppure per niente. Ho passato l’infermo quella volta. E tutte le volte dopo sono state una fotocopia di quel dolore. Ho imparato molto quella volta.  Ma ora lei è sposata da un anno e mezzo. Mi sembra sempre bella, forse un filo filo sbattuta. Ma le parlerò volentieri e con serenità. Com’è bello questo.

“femminicidio”

Sfatando la nuova terminologia di chiara impronta femminista, ricorderei che la parola “omicidio” deriva dal latino “homo” che non significa propriamente “uomo” inteso come individuo di sesso maschile (la cui accezione è data dal vocabolo “vir”, da cui l’italiano “virile”), ma si riferisce all’essere umano in quanto specie… E’ quindi assurdo (e sessista) proporre il termine “femminicidio” per definire una tipologia di delitto che, purtroppo, non conosce distinzioni di genere…

Rossella Zilli, 12 ott 2016 su Facebook

le donne sono più gentili degli uomini, la scienza lo prova?

La neuroscienza (studio dell’università di Zurigo) si interroga su questo argomento e risponde che ci sono basi scientifiche: le femmine di homo si comporterebbero secondo ciò che caratterizza lo stereotipo: sono più gentili, delicate del loro corrispettivo di genere maschile.

Cazzo non è vero vi spacco la testa a tutti cazzzooooooooooooooooooooHHHHHHHH

If you love somebody, set them free (26ma puntata)

Soffriva sempre. Per lei ero uno stronzo, ma non poteva fare a meno di me, di vedermi di nuovo, di tornare da me, straziata.

L’amore col dramma lo conosco, può piacere, si tira più lungo, si sente tanto. Ma si soffre anche. Io ho votato la mia vita alla pace: il mio cambiamento non è solo di parole, cerco la pace, la serenità, l’armonia (non fate ohmm stronzi) con tutto me stesso. Perché sono andato fuori di testa, se seguite questo blog lo sapete. Ho sofferto e ora io voglio rapporti ottimi. Non voglio che i rapporti con la gente mi facciano soffrire.

Ma dal canto mio di certo non voglio essere fonte volontaria, consapevole, di sofferenza per qualcuno.

Per cui realizzato che per lei ero un amore tossico, una droga, una malattia le ho proposto lontano dagli occhi, lontano dal cuore: non ce la fai a dirmi addio, ok. Io non ho motivi miei per dirtelo: io ti voglio, per me sei un regalo del cielo. Ma io per te sono una maledizione: se li vuoi mettere sui piatti della bilancia i motivi per stare con me non li trovi neanche se li cerchi per tutta la giornata, mentre i motivi per sentirti offesa, insultata, in disaccordo rabbioso, gelosa con ragione, sminuita nel tuo dolore e quanto altro di brutto possa fare un uomo senza essere attivamente violento fisicamente o psicologicamente … queste cose in me le trovi. Dunque… perché? So che quando ami uno non sai perché. Mi stava bene, benissimo, che stessi con me perché io sono io. Non perché ti servisse qualcosa. Ma se cerchiamo cosa ti faccio di male lo troviamo, mentre cosa ti faccio di bene no. Continue reading →

TI ANO

ti amo – 15ma puntata

TI ANOTi amo.

Non ricordo di averlo mai detto.

Non ricordo che mi sia mai stato detto.

Mai.

Forse si tratta della mia scarsa memoria, ma se cerco in quella dei vent’anni, quella in cui ho vissuto forse le emozioni più burrascose, perché non sai nulla di nulla (noi non sapevamo tante cose, ne vivevamo di meno, almeno in provincia), non ricordo davvero. Forse qualcuno mi ha detto che mi voleva bene, anzi è sicuro. Ma nessuno si è buttato nella violenza dell’amore, nello sparo, pugno, freccia di un “ti amo”. Io almeno non ricordo che mi sia stato mai detto. A rispensarci a 17 anni devo averlo detto tantissimo ad una ragazza, a quella che mi ha fatto vomitare fino alla bile (non con intenzione). Ma lei, non credo me lo abbia detto, a voce, in faccia, guardandomi negli occhi.

Era chiaro per tutti quanto fosse potente ed appassionato, compromettente, coinvolgente. E lo è ancor’oggi per me.

Ma ce lo siamo detto, forte, chiaro, ripetuto, mescolato con cose oscene, con gioia, con dramma (lei è un po’ così). Ho chiesto per favore, per favore, per favore NON DIRLO se non è vero, non spaccarmi in due.

Lo ha detto. L’ho detto.

Siamo due idioti?

Comunque mentre questo fuoco forse fatuo brucia, si sta bene.

Quello che non sta tanto bene è che erano tanti, tanti, tanti anni che non avevo a che fare con … i genitori. Sua madre nonsisacomecazzo sa di noi. Intuito? Maieutica? Incontinenza di questa giovindonnaincapaceditrattenere i fatti privati? Poi ci sarà suo padre… che a quanto mi dicono è Shrek e nessunoèdegnodiaverelamiapiccolabimba. Sua madre invece mi dicono sia bacchettona anche se non cattolica.

Ma non si rendono conto che razza di furia della natura amante di cazzo hanno come figlia? 😀 E’ una furia!!!! Le piace tanto!!! E da tanti anni! Cari genitori, quella figa ha già potuto dichiarare, a venti anni “ho già avuto il miglior sesso che potessi desiderare, non mi interessa se non sei tutto sesso. tu mi piaci e basta”.

Ora… a 20 anni dire “ho già dato” è parecchio! 🙂 E comunque lo facciamo ogni volta che la vedo… quindi tanto schifo non le fa. Io evito di pensare ai competitors del passato e amen, mi godo il mio. Che è già bello che funzioni, come sapete, cari lettori.

In tutta questa simpatica telenovela io faccio il mio lavoro. Che mi consente anche questa telenovela. Non male eh? Non che sia facile continuare a fare il mio lavoro, ma il tempo è mio. Certo non ho più acceso il televisore nell’ultimo mese.

 

scolpire il proprio ego, andare contro sé stessi

Osservo mio padre. Un uomo anziano, nato negli anni ’30 del 1900. Ha vissuto, non fatto la guerra. E’ stato un profugo, ha studiato diligentemente per emanciparsi dalla povertà e per diventare uomo come solo chi sia nato un po’ di tempo fa sa che si doveva essere uomini.

L’uomo porta il pane a casa. L’uomo guadagna. L’uomo ha i suoi doveri. L’uomo non deve essere uno spiantato, deve essere un buon partito, deve essere autosufficiente, deve saper fare le cose, risolvere i problemi, non mostra emozioni, debolezze, pianto. Deve. E via dicendo.

Soffermarsi a comprendere quali epoche abbia attraversato un essere umano vivo ancora oggi, nel 2016, richiederebbe attenzione.

Purtroppo io posso riservargli comprensione solo quando non si comporta come molta della sua epoca ha accettato e trovato normale nei confronti non tanto delle donne, ma della “propria” donna. E’ proprio dall’epoca delle donne come mia madre che è colpa anche delle donne stesse se non si sono emancipate, se non hanno approfittato del vento del cambiamento. Lo è tutt’oggi, se vivete in provincia. Osservate quante donne hanno ancora capigliature anni ’80 per rendervi conto quanto determinate cose facciano presa e fatichino a mollare, in provincia. Non ho mai avuto pietà per la non-ribellione di mia madre.

Contemporaneamente però lei è la persona debole, la vittima. Non ha gli strumenti per “rispondere al fuoco” perché la sua vita ha preso, tanti anni fa, questa piega. Tuttavia io non riesco a giustificare nessuno dei due nei confronti della continua tortura inferta a questa convivenza. Quella che però viene maltrattata, psicologicamente, incessantemente, è mia madre. Ormai è piegata da decenni a questa visione e si arrabbia con tutti noi figli quando “non capiamo” che quando ci si sposa, che la vita è questo, che cazzatecazzatecazzate. Se me ne date il tempo sono molto maieutico. E con lei ho sempre avuto il tempo di indagare passo per passo il perché di molte cose. Alcune nei miei confronti (regole) arrivavano spesso al “perché si” e questo mi ha aiutato a comprendere come regolarmi. Altre riguardavano fatti suoi o di convivenza o di storia con mio padre, sua madre, la società.

Le risposte sono arrivate a cose come “la felicità è il minimo possibile di maltrattamenti quotidiani”. Quando scavi così a fondo da vedere che chi ti risponde ritiene questo – normale, allora spesso puoi solo chiedere a tutti di non eccedere. Non puoi chiedere di più.

Ho tentato, più volte negli ultimi 20 anni, di parlare anche con mio padre. Non è facile: di certe cose, dei sentimenti, non si parla. E se non si parla, non si sa come si fa. Alcune cose diventano orgoglio. Altre sono patologie, non ho altro modo di identificarle (non sono un esperto) … o forse si chiamano comportamenti deviati, antisociali. In un vecchio romanzo tutto questo era definito “atavismo”.

Io ho sempre avuto dentro di me qualcosa di sbagliato che vedo con chiarezza ho assorbito da mio padre. Quello che però ho sempre fatto io, non loro, è ri-osservarmi dall’esterno, quanto più mi è possibile. Ho sempre pensato, da quando ne ho memoria, che se io sento qualcosa quando sei tu ad agire, questo accadrà anche nell’altra direzione: come ho agito, dunque, perché tu reagissi? ti ho fatto del male? Ero consapevole? Ero in torto? Ero nella ragione ma tu hai sofferto comunque? Seghe mentali, per molti.

Resta il fatto che se ti giudichi costantemente, per questo motivo, cerchi di scolpire per quanto possibile quello che sei. Qualcosa, senti, se dessi un altro colpo di scalpello, farebbe sgorgare sangue: non si potrebbe scalpellare via: sei tu, per quanto sbagliato. Altri colpi di scalpello sono difficili da dare, ma puoi farlo: sono pezzi di qualcun altro, cose che hai assorbito, che si sono sedimentate… ma delle quali puoi fare a meno, anche se fai fatica a liberartene.

Credo che questo genere di fatica sia totalmente sconosciuto a mio padre. Quando gli viene evidenziato il suo torto lui sente offesa. Si sente attaccato, non in dialogo neutro con qualcuno che contemporaneamente gli vuole bene e gli dice che non si sta comportando bene. Scusarsi è sempre stato impossibile. Ammettere di avere torto anche. Rendersi conto che il suo stesso atteggiamento in situazioni di torto è inaccettabile. Che non accetterebbe mai comportamenti che lui ha, nei suoi confronti.

Correggersi costantemente: una fatica mostruosa per chi conosca l’ingiustizia delle azioni che compie ma che sia nato in un momento in cui questo era ben oltre il tollerabile per un maschio.

Sopportare costantemente: una fatica mostruosa per chi conosca l’ingiustizia delle azioni che subisce ma che sia nato in un momento in cui l’emancipazione era possibile ma che abbia scelto di restare sulla via del maschilismo, a fianco a milioni di altre donne.