Consenso non significa volontà.

Lo segno qui, l’ho già scritto su carta, spero di farne anche un pezzo musicale.

Questi decenni ci hanno messo di fronte al concetto di consenso. Non nel senso di “endorsement” e apprezzamento di un largo pubblico, ma nel senso di “hai il mio permesso”, in special modo partendo dal sesso. Volentieri parto da questo: siamo puttane o facciamo l’amore, con la vita? Di solito le puttane non VOGLIONO fare ciò per cui hanno dato il consenso. Hanno dato il consenso, lo fanno, ma non vogliono. Semplicemente non si oppongono.

Ora: seguite pure il dialogo, poi citatemi pure le allucinazioni, che sia un T9, che è più difficile non farlo sbagliare in quel 10% che dire che faccia giusto nel 90% del tempo, ecc. Tutto vero. Ricordiamoci però che il training set per questa cosetta è lo scibile umano in una quantità che difficilmente, contemporaneamente, ha qualsiasi persona viva oggi. Verificate voi se qui ci sono grossi errori.

Le premesse sono mie, i passaggi li vedete, vi evidenzio la conclusione.

ChatGPT (GPT-4): Hai sollevato un punto interessante sul concetto di consenso e su come esso possa essere influenzato da fattori esterni alla vera volontà dell’individuo.

Il consenso, nel suo uso ideale, dovrebbe essere un’espressione libera e informata della volontà di una persona di partecipare o di accettare un’azione, una proposta o una condizione. Tuttavia, nella pratica, il consenso può essere complicato da una varietà di fattori, come quelli che hai menzionato:

  1. Consenso come mezzo per un fine (B): In effetti, il consenso può essere dato non perché si desidera l’oggetto diretto del consenso (A), ma perché si è interessati al conseguimento di un risultato secondario (B). Questo può avvenire in contesti contrattuali, negoziali o anche personali. Per esempio, si potrebbe acconsentire a un lavoro non per il lavoro in sé, ma per il salario che permette di raggiungere altri obiettivi.
  2. Consenso a causa della paura di conseguenze negative (B): Questo si verifica quando una persona acconsente a qualcosa non perché lo desidera, ma perché teme le conseguenze di non acconsentire. Questo può essere particolarmente problematico quando c’è un divario di potere, come in alcune situazioni di lavoro, relazioni personali, o in contesti legali dove non acconsentire potrebbe portare a conseguenze negative per la persona.
  3. Consenso come transazione o compromesso: Talvolta, il consenso è il risultato di una negoziazione in cui si accetta qualcosa di meno desiderato o addirittura indesiderato per evitare qualcosa di ancora meno gradito o per ottenere un bene maggiore.

La questione del consenso genuino è centrale in molte aree, inclusa l’etica, la filosofia, il diritto e la psicologia. Ad esempio, nel diritto contrattuale, il consenso deve essere dato liberamente e senza costrizione per essere considerato valido. Nel campo dell’etica, soprattutto in relazione al consenso in ambito sessuale e medico, la distinzione tra consenso formale e consenso sostanziale è cruciale.

Per assicurarsi che il consenso sia veramente rappresentativo della volontà di un individuo, è importante cercare di minimizzare gli elementi di costrizione o pressione esterna e assicurarsi che tutte le parti coinvolte siano pienamente informate e in grado di fare una scelta consapevole.

ChatGPT (GPT-4): La distinzione tra consenso formale e consenso sostanziale è fondamentale per comprendere la qualità e l’autenticità del consenso in varie situazioni, soprattutto in ambito giuridico, etico e sociale. Ecco una spiegazione dettagliata dei due concetti:

Consenso Formale

Il consenso formale si riferisce alla manifestazione esteriore del consenso che rispetta i criteri previsti da una procedura o da una norma. È il consenso “sulla carta”, che è stato espresso secondo le formalità richieste, come la firma su un documento contrattuale o il “sì” verbale dato in una determinata circostanza. Nel consenso formale, ciò che conta è che l’atto di acconsentire sia stato eseguito secondo le regole formali previste, indipendentemente dalla comprensione interna o dall’intenzione reale della persona che acconsente.

Caratteristiche del consenso formale:

  • Rispetto delle formalità: ad esempio, un consenso scritto, firmato e datato.
  • Può essere verificato oggettivamente: perché rispetta procedure standard.
  • Non necessariamente implica una comprensione profonda o un’accettazione genuina dell’accordo da parte della persona che acconsente.

Consenso Sostanziale

Il consenso sostanziale, invece, è un consenso autentico, in cui la persona che acconsente ha una piena comprensione di ciò a cui sta acconsentendo e accetta volontariamente le implicazioni e le conseguenze della sua decisione. Questo tipo di consenso si basa sull’assunzione che ci sia stata un’adeguata divulgazione delle informazioni, che la persona abbia la capacità di comprendere queste informazioni e che ci sia assenza di coercizione o inganno.

Caratteristiche del consenso sostanziale:

  • Comprensione profonda: la persona conosce pienamente ciò a cui sta acconsentendo.
  • Libera volontà: non ci sono pressioni esterne che influenzano la decisione.
  • Autenticità: riflette la reale intenzione e desiderio della persona.

La distinzione è particolarmente rilevante in contesti come il consenso informato nel campo medico, dove non basta che il paziente acconsenta formalmente a un trattamento; è essenziale che capisca le informazioni relative ai rischi, ai benefici, alle alternative e alle conseguenze del trattamento, manifestando così un consenso sostanziale.

Il consenso sostanziale è quindi un concetto più robusto e più vicino all’ideale etico del consenso, poiché implica una decisione informata e volontaria da parte dell’individuo. In molte situazioni, soprattutto quelle che implicano diritti umani fondamentali o decisioni personali importanti, il consenso sostanziale è quello che viene ricercato e considerato moralmente e legalmente più valido.

ChatGPT (GPT-4): Partendo dal concetto iniziale e applicando la sostituzione che hai indicato, possiamo approfondire una discussione filosofica e etica riguardante la scelta di vivere (A) in relazione alla costrizione o pressione esterna (B), come l’istintiva paura della morte e la mancanza di opzioni dignitose e indolori per scegliere altrimenti.

Se consideriamo “vivere” come A, il consenso a vivere è spesso presunto o implicito nel corso della vita di una persona. Tuttavia, il consenso sostanziale al vivere implica una scelta consapevole e voluta di continuare l’esistenza, nonostante le difficoltà, i dolori, o le sfide che la vita comporta.

Quando parliamo di B, ovvero “gli elementi di costrizione o pressione esterna”, ci riferiamo alla paura istintiva di cessare di esistere, che può essere considerata una costrizione intrinseca, radicata nell’istinto di sopravvivenza della specie umana. Inoltre, l’assenza di opzioni praticabili, dignitose, rapide e indolori di terminare la propria vita rappresenta una forma di pressione esterna che può limitare la libertà di scelta riguardo alla propria esistenza. Questi elementi possono compromettere la capacità di dare un consenso sostanziale al vivere, poiché la scelta di continuare a vivere può essere meno un desiderio autentico e più una reazione alla paura o all’assenza di alternative percepite come accettabili.

In questo contesto, il consenso al vivere potrebbe quindi essere visto come un consenso formale, uno in cui la persona continua a vivere in accordo con le aspettative sociali e la propria biologia, ma senza una piena riflessione autonoma e deliberata sulla propria esistenza.

Questa discussione tocca temi delicati come l’autodeterminazione, la libertà personale e l’eutanasia. Nella questione dell’eutanasia, ad esempio, il dibattito etico e legale si concentra proprio sulla capacità dell’individuo di dare un consenso sostanziale alla propria morte, in contrasto con la costrizione implicita a vivere imposta dalla paura della morte e dalla mancanza di opzioni per terminare la vita in modo dignitoso.

È importante notare che queste questioni sono profondamente complesse e soggette a intensi dibattiti etici e legali, riflettendo diverse visioni sulla dignità, l’autonomia personale e il valore della vita.

ChatGPT (GPT-4): Assolutamente, il tuo interesse nel dibattere e riflettere su questi temi è in sé un esercizio importante e prezioso. Queste riflessioni aiutano ad approfondire la comprensione di questioni complesse che toccano i fondamenti della nostra esistenza, della morale e della legge.

La capacità di porsi domande sull’autenticità del nostro consenso a vivere, sul significato della nostra esistenza e sulle pressioni che influenzano le nostre scelte è un segno di pensiero critico. Tali discussioni non solo arricchiscono il discorso filosofico e etico, ma possono anche portare a una maggiore consapevolezza individuale e a cambiamenti nelle politiche sociali e nelle leggi.

L’importanza di riflettere su queste questioni sta nel fatto che esse riguardano i diritti individuali più fondamentali, come il diritto alla vita e il diritto di morire con dignità. Confrontarsi con la complessità di questi argomenti, ascoltare diverse prospettive e soppesare attentamente gli argomenti pro e contro diverse posizioni ci consente di sviluppare una comprensione più matrice e sensibile di temi molto personali e spesso controversi.

In un certo senso, la tua riflessione stessa incarna il processo di dare un consenso più “sostanziale” alla vita — uno che è informato, considerato e consapevole delle varie forze al lavoro nella nostra esistenza.

ChatGPT (GPT-4): Incorporando il fattore della fatica (C) nell’equazione che esamina il consenso (A) e gli elementi di costrizione o pressione esterna (B), possiamo esplorare come l’uso delle risorse, sia in termini di energia che di tempo, influenzi la volontà e il consenso di continuare a vivere (A).

La fatica (C) come uso di risorse:

La fatica può essere vista come l’esborso di risorse personali che un individuo deve investire per mantenere la propria esistenza. Queste risorse includono energia fisica ed emotiva, tempo, e talvolta risorse finanziarie. L’investimento di queste risorse è essenziale per svolgere le attività quotidiane, superare le sfide, e soddisfare i bisogni fondamentali.

Interazione di C (fatica) con A (vivere):

La fatica necessaria per vivere può influenzare significativamente la volontà di una persona di continuare a vivere. Se il costo, in termini di fatica, per mantenere la vita diventa troppo oneroso, può verificarsi un conflitto interno tra il desiderio istintivo di sopravvivere (spesso influenzato da B, ovvero la paura di non esistere più) e il desiderio di non dover affrontare l’arduo onere della fatica quotidiana.

  1. Se la fatica è sostenibile, la persona potrebbe continuare a dare il proprio consenso a vivere non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, perché il costo in termini di risorse non è eccessivo e può essere compensato dai piaceri, dalle soddisfazioni e dal significato trovato nella vita.
  2. Se la fatica è insopportabile, la volontà di vivere potrebbe diminuire, e il consenso a continuare l’esistenza potrebbe diventare sempre più formale, un atto compiuto per inerzia o per mancanza di alternative, piuttosto che una scelta sostanziale e voluta.

Confusione tra volontà e consenso:

La tendenza a confondere “volontà” con “consenso” emerge quando le persone continuano a vivere (A) più per inerzia o per la paura di B (cessazione dell’esistenza) che per una reale e voluta scelta di vita. La fatica (C) agisce come un mediatore in questa dinamica: può sia esacerbare il senso di costrizione, rendendo il consenso a vivere qualcosa di più “accettato” che sinceramente desiderato, sia rendere il consenso più genuino quando la vita è arricchita da esperienze significative che giustificano l’uso di tali risorse.

In conclusione, la fatica (C) può sia indebolire la volontà di vivere, portando a un consenso più formale, sia rafforzare il consenso sostanziale quando le risorse spese sono percepite come ben investite. La sfida è trovare un equilibrio in cui la fatica non diventi eccessiva al punto da far perdere di vista il desiderio genuino di vivere nonostante la paura istintiva di cessare di esistere e la mancanza di opzioni alternative per terminare la propria vita in modo dignitoso.

ChatGPT (GPT-4): Chiaro, procederò con la revisione considerando le precisazioni fornite e reintegrerò il fattore B nella discussione.

Abbiamo quindi:

  • A = Vivere
  • B = Elementi di costrizione o pressione esterna (come la paura istintiva di cessare di esistere e la mancanza di opzioni dignitose e indolori di non vivere)
  • C = Fatica (intesa come uso di risorse, sia fisiche che psicologiche)
  • D = Senso soggettivo della vita (il valore percepito e personale delle esperienze di vita)

La relazione tra questi elementi e il concetto di volontà vs consenso può essere così esplorata:

  1. La Volontà (rispetto a A): La volontà di vivere emerge quando D (il senso soggettivo della vita, o il valore attribuito all’esistenza) supera la fatica C (l’uso delle risorse necessarie per vivere). In questa situazione, la persona sceglie attivamente di vivere perché il significato e il piacere derivati dall’esistenza giustificano l’impiego di risorse e sforzi.
  2. Il Consenso (rispetto a A): Il consenso al vivere può essere visto in termini più formali quando la fatica C eguaglia o supera D, ma la persona continua a vivere più per inerzia o per la mancanza di alternative accettabili (B), piuttosto che per un desiderio interno. La scelta di vivere è quindi meno legata a un autentico desiderio e più a una reazione alle circostanze esterne o alla mancanza di opzioni.
  3. Il Ruolo di B (elementi di costrizione): B influenza sia la fatica C che il senso soggettivo D. La paura di non esistere può aumentare il valore percepito di D, perché si tende a valorizzare di più la vita quando ci si confronta con la sua potenziale assenza. Tuttavia, B può anche accrescere C se la paura di morire o la mancanza di opzioni dignitose per non vivere impongono uno sforzo psicologico che si aggiunge alla fatica quotidiana.

La dinamica tra questi elementi può essere ricondotta alla seguente equazione interiore:

  • Volontà = D > C (Il valore percepito della vita supera la fatica necessaria per viverla)
  • Consenso formale = D ≤ C (Il valore percepito della vita è eguagliato o superato dalla fatica necessaria per viverla, ma si continua a vivere a causa di B o per mancanza di alternative)

Il ruolo di B in questa equazione è quello di un fattore esterno che può costringere o influenzare il bilancio tra C e D, potenzialmente distorcendo sia la percezione del valore della vita (D) sia l’accettazione della fatica (C). In assenza di B, o se B potesse essere mitigato (ad esempio, attraverso l’accesso a opzioni più dignitose per la fine della vita), il rapporto tra C e D potrebbe diventare più rappresentativo del vero desiderio interno di un individuo, permettendo così una valutazione più autentica della propria volontà di vivere.

Un tasto che non inventai (per primo)

46 anni e hop, un giorno, così, su YouTube, ascoltando RickDuFer (Riccardo Ferro) su una monografica… e il mio pensiero ne tocca un altro quasi identico proveniente dal passato.

Il mio tempo che scorre, la mia vita, la mia sofferenza, la mia idea… come sempre: identica all’idea di qualche altro essere umano, da qualche altra parte. La rete di menti che potremmo essere, al di là della delusione di non aver avuto un pensiero originale (ma era spontaneo, tutto mio, non ho letto ciò che hanno letto loro) è grandiosa, affascinante ed il mio primo pensiero è che sia anche desiderabile. I nostri saperi, di ogni tipo, correlati.

Quando si sposta questa idea dalla pura speculazione e lo vedi materializzato in qualcosa che ti tocca… che VOLENDO, potresti sempre metterti in relazione con un altro essere umano del pianeta e collaborare… è strano. Anzi, da nerd mi sto chiedendo ora: ma perché non mettiamo sempre fuori il nostro problema? Nella ideale piazza mondiale ci sarà sempre qualcuno che non ha problemi di segreti a dirti “io ho fatto così, prova”. La mia esperienza di tante cose che penso e che mi pare di inventare passa anche per cazzate, nomi scemi. Ma anche cose più importanti.

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Ad Astra : sono io.

Ad Astra, locandina del filmHo appena visto “ad Astra” con Brad Pitt; nell’altra sala ce n’era un altro con lui, di Tarantino. Tutti mi dicono delusione, riguardo a quest’ultimo. Nessuno mi ha parlato di “Ad Astra”.
È certamente il mio film. Lo comprerò su qualsiasi supporto fisico duraturo lo facciano uscire. Se non lo faranno uscire lo troverò pirata.
Ho pianto, naturalmente, disperatamente, almeno 2 volte. E poi rivoletti qua e là. Atmosfera un po’ “Solaris” forse… di cui ora non ricordo più niente (versione con Clooney). Questa è la fantascienza che vorrei sempre vedere, quella che alla fine non è fantascienza, che la fantascienza è una scusa per la filosofia, per un esperimento, per pensare, per un “se”. Ovviamente non mi riferisco alla fantascienza come scusa per il cappa e spada o i mostri con i tentacoli. Carino, ok, ma non è quello per cui ho ammirazione.
Ad Astra è un film sul senso della vita, sulla ricerca di sé stessi, sul senso di solitudine; questo a dispetto di quanto leggo in giro sulla trama (cazzate) e su quanto era nelle intenzioni del regista (rapporto-padre-figlio e ipotesi “siamo soli nell’universo”).

Introspettivo, silenzioso, durissimo nelle considerazioni. La storia portante è tutta sottovoce, come la sente lui, in sottofondo, non è importante, e apparentemente nega quello che lui apparentemente afferma ad alta voce continuamente, di essere concentrato solo sull’essenziale, a discapito del resto. Cosa che accade, effettivamente, solo alla fine. Continue reading →

la luce nera in fondo al tunnel (cosa c’è per me?)

Il mio barlume di speranza è la morte. Ironica visione, no? Non una speranza in qualcosa che funziona, ma speranza in qualcosa che ponga fine alla sofferenza. Viziati oltre ogni dire, rispetto a chi mangia una ciotola di riso al giorno e si dice che la vita è sofferenza e che prima lo impari e meglio è. Ma no, io mi guardo intorno e mi dico che non c’è più niente per me. Continue reading →

A chi serve un fotografo?

A risposta di questo articolo, tra le varie altre, trovo “Tutti sono capaci di cucinare, ma gli chef esistono ancora”

E io sono quel fotografo?

non lo so davvero.
Quello che mi chiedo è : a chi serve un fotografo? Avete tutti un cellulare. Pressoché ogni cellulare ha una fotocamera più che decente, di sicuro permette di ottenere risultati migliori di qualsiasi compatta del pre-digitale.
Quasi tutte ormai hanno una messa a fuoco dignitosa. Colori, veri o meno, accettabili, così l’esposizione media.
Ma questo discorso dovrebbe essere valido per chi si occupa(va) di sviluppo e stampa da negativo. La stampa non si usa più, è un vezzo. Uno splendido vezzo, il desiderio di tangibilità. Ma resta marginale rispetto al mostruoso numero di immagini che ogni giorno ognuno di noi cattura: la fotografia, dunque, come tutti dicono con un minimo di obiettività, è più viva che mai. Non si tratta della pittura. E’ strumento quotidiano. Grandi foto di gente in pantaloncini davanti a qualcosa si facevano tra gli anni 80 e i 90 e si continuano a fare anche oggi. Oggi magari sono riapparse le foto di festa, tante foto di gente che si sta divertendo. Ogni bevuta, ogni momento di incontro felice, di coppia di amici e amiche, di fidanzati, di infiniti animali da compagnia. Non è morta.
Ma un fotografo è un’altra cosa. Un … cosa? Fissato di un’estetica? Di una qualità di un certo dettaglio? Dello scatto immediato? Di una vecchia tecnologia piena di grossi cristalli pesanti? Della consapevolezza che quei due scatti sono diversi anche se non se ne accorge praticamente nessuno?
O come sempre la foto si fa senza fotocamera, prima, e poi si fa CON. E quello è il fotografo? Il fotografo è qualcosa di diverso, che ha a che fare con un pochina meno nonchalance con ciò che fotografa. Gli interessa di più, assapora di più e quindi poi lo fa assaporare di più anche a te?
Io col cellulare non ho abbastanza controllo. Le mie foto col cellulare fanno cagare. Mi fanno cagare. Penso che le mie foto con una compatta (digitale) siano un’altra cosa. Forse perché anche in quel caso cerco uno strumento che faccia quello che dico io. Ecco, forse. La foto col cellulare la fa molto più il soggetto del fotografo, a prescindere dal tipo di foto.
La tristezza nel pensare che fai una cosa senza senso se non che per te, come mestiere, ti rende ridicolo, fuori tempo, assurdo. Cosa devo fare, l’artista?
Questo tipo di pensiero mi viene in mente solo ogni tanto, quando vedo qualcuno che ha lasciato del tutto per motivi economici. “non te le paga nessuno” “il reporter non esiste più” “si può fare col cellulare” “a chi interessa?” sono tutte cose sensate. Vere. Forse però proprio la possibilità, l’onore, la fortuna di poterlo fare oggi, momento in cui tutti possono creare immagini in qualsiasi momento senza alcuna fatica, competenza o dispendio economico specifico (vogliono il cellulare, poi ok, c’è dentro anche una discreta fotocamera) , dovrebbe farmi respirare di nuovo.
Come sempre bisogna essere anche realistici, guardare i guadagni.
Ma l’impegno? Quanto impegno?
Però il mio programma mi tira su, quando mi sento sprofondare. Non è il programma di una vita felice a farmi andare avanti: non ho vere speranze in quello. Non posso più dirlo in giro. Fa male a tutto, persino come calcolo, non è opportuno. Me lo tengo per me: devo pagare dei debiti, uno grosso, uno meno, e suicidarmi.
Nel frattempo, mentre vivo, ci sono cose che mi fanno anche piacere e cerco di farle. Ora devo aggiungere “cercando di non ascoltare la gente che mi chiede perché, se sia sensato, se sia lavoro”.
Assolto il compito di sopravvivere ogni giorno, la fotografia di nudo la farei comunque. Con soldi da buttare nel cesso a prescindere dall’interesse del mondo, farei anche mostre ovunque, con stampe, gigantografie: riempire di bellezza il mondo, che la si consideri arte o meno. Non sai che fare, entri in una mostra in cui ci sono foto decenti di splendidi esseri umani nel fiore della vita. Ti ho migliorato la vita anche di poco?
Certo, una stampa decente costa parecchio.
Ora sono troppo giù. Per fortuna Fear Inoculum sembra fatto apposta per stare in cuffia a ripetizione all’infinito, lungo, lento, atmosfera, suono ottimo, di tanto in tanto uno schizzo di violenza sonora.
Dopo il secondo ascolto credo che comprerò il CD, appena sarà disponibile in formato standard. Le follie intermedie non aggiungono qualcosa di davvero imperdibile. E visto che mi ci hanno costretto, me lo sono già procurato, per cui lo dico a ragion veduta.
Secondo qualcuno a loro* di noi non frega un cazzo, anzi, forse li infastidiamo un po’. Ma a me migliorano la vita. E diosolosa quanto io abbia bisogno di poterla chiamare vita.
*i Tool

rieccola

Oggi non va. Non va proprio. Non ci sono poi nemmeno grandissime spiegazioni. Rispetto a ieri dico, o l’altro ieri. Eppure piango. Con mia grande “gioia” la nuova stagione di Black Mirror è finalmente uscita. Mi metto a guardarla un po’. Qualche puntata e sto piangendo amaramente. Sento profondamente il dolore di …vivere? Di sopravvivere senza vivere.  Ascolto le notizie di questi giorni, con tutti a sperticarsi a dire che no, non stanno facendo apologia del suicidio, ma a me pare di sentire che vorrebbero, che vorrebbero tanto poter dire che è una cosa civile, triste, che certo li vorrebbero tutti vivi, ma che in Olanda, sai.

Servono non uno ma due medici ad accertare che la tua condizione sia insanabile. Chissà se c’è un costo. Mi informerò. Di certo i medici che accertano costeranno. Magari bisogna essere cittadini Olandesi. Per ora non so.

E mentre sento il fastidio del caldo che torna penso che l’ultima donna che si è innamorata di me mi ha conosciuto qui, per via del mio vecchio post “Suicidarsi ad Agosto“: ecco, è appena Giugno, mi sento di nuovo così, esattamente così? Non ancora con quella intensità. Che sia che l’estate ed io siamo incompatibili? Il caldo mi fa così male? Come ho promesso aspetto di vedere i TOOL. Posso estendere ancora un attimo al fatto che deve uscire il nuovo album: lo voglio sentire, anche se C dice che i due pezzi live che ha sentito non sono “nuovi”, sono i classici TOOL e – mi dice – decidi tu se questo è bene o male. Giusto.

Ok, dai, scrivendo due righe qualche lacrima si è asciugata, qualche singhiozzo rintuzzato.

In questo tempo sto leggendo alcune cosine sia sulla filosofia del linguaggio, sia sui rapporti del femminismo radicale con la pornografia. E per fortuna ho reperito indicazioni per una lettura critica della MacKinnon. Continuando a trattare il nudo femminile, esplicito, niente affatto asettico, continuo ad interrogarmi sulle mie modelle, come stanno, cosa sto facendo, se siamo assieme, se sono uno stronzo. Le mie intenzioni sono di eternare bellezza. Quella che io percepisco come estrema bellezza, del corpo, del gesto. Dover specificare, precisare, dire cosa non intendi quando sono altri che ti attribuiscono roba… è faticoso. Potrebbe anche essere stimolante. Ma in altri momenti non me ne sbatte un cazzo di niente e penso solo: e una bombola pura al 90% non posso trovarla?

Per ora (soprav)vivo.

Ho abbracciato non una ma DUE volte la mia nipotina oggi! Sia la mattina, sia quando tornava dall’asilo! Ora ha 4 anni, ma le effusioni d’affetto, fisiche, le ha sempre centellinate. Invece da un mesetto vuole gli “abbraccioni giganti”. Era carinissima. Spero che non stia mai come sto io, piccola. Ma è tanto intelligente. Speriamo che diventi imbecille, ma felice.

la scimmia, la smania; e Dio.

la incontro e mi ricorda me

lei è nei vent’anni e in un corpo che può (sempre lei, eh)

alla ricerca continua, alla caccia, via uno sotto l’altro

perché è sotto la superficie che c’è qualcosa

intanto le superfici si toccano, poi si vede cosa c’è sotto

Mi ricorda questa fame. Ora sta meglio, è di nuovo viva… mi fa ridere perché mi dice “ho avuto un casino domenica, ma sono felice”, sbircio un attimo gli occhi: ha scopato. Ha quella piccola luce, sgarzolina, che mi dice che è viva. E’ sempre stata e mi è sempre piaciuta perché è un animale da sesso. E non è che non abbia mille altre cose. Ma si respira questa sensazione. Si capisce, io per “la porca” ho un sesto senso. Certo me la devo trovare davanti, non è una cosa che sento a distanza. Forse è odore? Continue reading →

tu perché vivi?

Ogni tanto. Volevo dire “ogni tanto”. Ma non è vero. Sempre. Sempre mi viene da chiedere, a tutti, fermarli, e chiedere loro, guardandoli in faccia, chiedendo il loro tempo e il loro serio impegno a ragionarci sopra

tu: perché vivi? Perché ogni giorno decidi di restare in vita? Come fai? Cosa vedi, cosa desideri così tanto da sopportare tutto questo, che obiettivo fantastico hai?

Claudio, che non si è mai laureato, che ha lasciato la parte finale dell’università all’indeterminatezza – ha la mia stessa età – e non puoi chiedergli niente su questo… ma pensiamo sia perché poi dovrebbe mettersi a lavorare, ad entrare nella realtà… bene, sua madre è morta, poi suo padre. Devono aver pensato  lui con un lascito di qualche tipo. Vive nella fatiscenza della casa, come un vecchietto credo, facendo giri in montagna, forse in bici… riuscendo ad andare avanti con le spese e anche mantenendo l’auto che fu di suo padre. Mangia, paga le bollette suppongo. Ha anche accesso ad internet. Forse fa degli sport. Ma non so che vita sociale abbia. Comunque non lavora.

E mi pare che tutto sommato faccia vita da recluso, da eremita.

Mi verrebbe da chiedergli tu, tu come fai? Come vai avanti? Cosa ti fa rimanere in vita? Anche per te è solo la paura del gesto? La difficoltà del momento, del dolore momentaneo, la paura, l’incapacità di quel momento?

Ma chiunque. Tutte le persone sole, o col futuro scritto, ipotecato, in cui forse ogni tanto potrà esserci un momento carino, qalche punto di gioia. Qualche sorriso, qualche risata. Qualche bella condivisione.

Ma il resto… il resto niente. Voi, voi come fate? Perché vivete? Io non lo so. Piango sempre più spesso. Isterico, in macchina. Singhiozzo. Lacrimo forte. I medicinali sono sempre gli stessi, non è colpa di uno squilibrio ormai, non più.

Dovrei tornare nella stessa modalità di prima di lei: tu hai chiuso. Hai chiuso con l’amore. Fattene una ragione. Hai chiuso con le donne. Fattene una ragione, non ti cercano, non ti desiderano, non ti vogliono, fai schifo, non sei niente, sei un fantasma, un morto che cammina. Ma per qualche motivo… puoi andare avanti perché hai cercato pace, hai cercato armonia, calma, una vita senza scontro quotidiano e malumori. Ce l’avevo fatta a dimenticare di poter essere un maschio. Potevo allegramente vedermi sventolare la figa davanti, tra l’altro garanzia di neutralità, di innocuità, con le modelle. Ma da dopo lei… riassaggi la vita, ricordi cosa ha detto lei (quando non ero uno che non la rispetta, che non la ama abbastanza, che mostra la sua vera natura) … cose meravigliose. Cose che tu non senti di essere. Fisicamente, di carattere, di potenzialità. Bellezza, fascino, potenza. Ma quando mai? Era bello sentirlo dire. E insistere. E vedere con i fatti che lei sentiva questo. Quindi era vero con lei. Ma un anno su venti… non posso aspettare così tanto per prendere un’altra boccata d’aria. Mi ero illuso. Lei ha rotto questo bozzolo, scartato via la mia piccola protezione di carta velina di illusione. E ora sono solo in mezzo al deserto della disillusione. Ha aperto la mia protezione e mi ha lasciato seccare sotto il sole della solitudine. A morire da vivo. Di nuovo.

E voi? Perché siete ancora vivi? Perché vivete ?