… e chi stenta.

Ricordo d’infanzia, frase spesso pronunciata alle medie da una che mi piaceva:

C’è chi può,

chi non può

e chi stenta.

Accompagnato con le adeguate sopracciglia, il tono e tutto il resto, dava una sufficiente immagine di quello che è, istintivamente, un sentire comune sulla immediata valutazione della persona che facciamo in modo automatico. Un giudizio immediato.

Prestanza fisica, bellezza, attrattività sessuale.

Potere del denaro e di accesso a cose ed esperienze.

Nell’espressione era chiaro anche “e io sto con chi può, perché io posso”.

Poteri che danno accesso ad altri poteri.

Infantilità, mi direte, si cresce. Mi direte. Ingenuamente pensando ad alti ideali. Ma guardatevi attorno, calmi, razionali. Guardate telegiornali, leggete dati, guardate la soddisfazione od il suo contrario nei volti.

Poi ditemi se si cresce poi tanto.

Se vince la Russia, Se vince la Cina

Quando qualcuno vince bisogna negoziare con quel vincitore, che detterà le proprie condizioni da una posizione di forza. Le battaglie di civiltà – se fatte con la coscienza di questo, cioé che combattiamo per “diversi stili di vita” – possono passare, sul campo fisico, per battaglie che in sé di civile non hanno nulla. Quando sei passato dal livello del dialogo a quello dello scontro, solo il potere, la potenza, vince.

L’orso e la tigre non hanno nulla da rimproverarsi per la propria natura, ma nemmeno noi se ci difendiamo dai grandi carnivori, quando siamo al loro stesso livello, quello di animali che devono sopravvivere e proteggere i propri cuccioli.

La guerra con l’Ucraina, per me, simboleggia qualcosa. Un test, un risveglio, un allarme suonato abbastanza in tempo per svegliare le coscienze nell’unico modo che ci sembra percettibile: la guerra. Ma non a noi. Laddove la Nato prima per noi non era nulla, ecco che si risveglia. Laddove l’Unione Europea sembrava non dover essere nulla, ecco che forse qualcosa si sveglia. Ma in chi, in che modo?

Tra persone civili la pace e anche la guerra si fanno dialogando, si fanno in tribunale. Quando si abusa di tale civiltà usandola come foglia di fico per abusare di un accumulo di potere si può pensare tranquillamente che alla gente girino i cinque minuti e vogliano ribaltare il banco.

Personalmente quindi sono per “buoni all’interno, buoni con i buoi, cattivissimi con i cattivi all’esterno”.

Volete l’inferno tra le vostre mura? Noi vi criticheremo dall’esterno, ma non venite a portare l’inferno da noi. Volete cambiare davvero, riuscite a cambiare davvero, mostrate impegno a lungo termine per cambiare davvero perché davvero volete abbracciare altri valori, cultura che li ha prodotti in lungo tempo e consuetudini ? Ne parliamo e osserviamo lungamente, con calma, nel corso di una intera vita, l’impegno perché i vostri figli possano beneficiarne. La Turchia è un esempio che mostra quanto non si affatto un tempo esagerato: non sono cambiati, hanno uno spirito antidemocratico.

Negoziare con chi organizza lo stato in modo medievale non è possibile per moltissime cose. E di sicuro trovarsi a negoziare in posizione di debolezza, di sconfitti in battaglia, con questo tipo di mentalità, non è desiderabile, a mio avviso.

Onestà uguale aggratise?

Non sarete affatto sorpresi di ricevere la parola “onesto” pronunciato comunemente come se il suo significato condiviso fosse “mi ha fatto pagare un prezzo che io accetto senza grossi problemi” o “gratis”.

Ora mettetevi nei panni di essere un dipendente. Quando il vostro capo pensa che siete “onesti” intende dire che vi paga meno del minimo sindacale o che non rubate, che lavorate invece di non farlo o che non mentite?

Ecco, in effetti il significato ha più a che fare con il contrario del disonesto. Non decidete voi il prezzo che dovete pagare a qualcuno che vende qualcosa od offre un servizio: chiedete quanto costa e se non vi sta bene nessuno di voi è disonesto. Disonesto è pretendere di pagare meno di quanto ha faticato o speso la persona che vi fornisce quel bene o servizio e di far sentire la persona che non si adatta a questa vostra pretesa come e commettesse un atto immorale, non etico.

Ma come, non me la dai? Ma allora io me la prendo! Perché non me la dai? Questo si chiama stupro. Non puoi avere l’aspettativa che te la diano. Non puoi pretendere che te la diano: è disonesto.

E disonesto è anche dire “sali da me e scopiamo” e poi non accade. Lo è, hai mentito. Questo non giustifica alcun tipo di violenza. Ma una ritorsione di pari misura te la meriteresti: tipo, dai ti accompagno in centro. Ma poi non ti dico che ti lascio lì.

L’onestà deve essere come altre forme di rispetto: reciproca e che non sminuisca il lato problematico percepito dell’altra parte in causa oltre a quella del tuo lato. Difficile. Ma possiamo semre ignorarci tutti quanti vicendevolmente? Non credo.

Non sto affatto dicendo che tutto deve essere pagato e che non esista la possibilità che le persone si diano vicendevolmente agli altri, che donino tempo, fatica, cose, parte di sé e della propria vita, anche per poche ore, minuti, qualcosa. Anzi, forse sono le cose più belle. Ma sono volontarie, non sono esigibili, non puoi pretenderle.

Modelli di potere e dove trovarli

esistono diversi compendi che trattano i vari modelli di esercizio del potere. Ad esempio, alcuni classici della sociologia e della scienza politica che trattano questi argomenti includono:

  • Il Potere di Michel Foucault
  • Teoria del potere sociale di Max Weber
  • La Scuola di Francoforte e i suoi rappresentanti, come Theodor Adorno e Max Horkheimer
  • Il potere nella società globale di Ulrich Beck

Mi ha ispirato a questa ricerca quanto ha detto ad agosto 2022 Michela Murgia a proposito del modello di potere esercitato da una donna, per capire se caratteristiche esercizio del potere siano da considerarsi femministe o meno. Si paracula elegantemente “dal dare la patente di femminismo ad un’altra donna”. Chapeau.

Dai dialoghi con mio padre (#238947)

In una chiacchierata notturna di 8 ore è capitato di dire finalmente e forse inutilmente a mio padre che ci ha sempre trattati male, in un certo modo: è talmente generico che subito si presta a permalose ricezioni di ingratitudine. No. Nessuno dice che non è stato responsabile, oltremodo responsabile, che non ci abbia dato cose, possibilità, indicazioni, esperienze, possibilità di farne. Nessuno dice che le manifestazioni fisiche di affetto siano quello che è mancato. Non fanno certo schifo, ma esiste la possibilità di sentire gentilezza senza arrivare al gesto fisico. No. Si tratta di sentirsi attaccati, in giudizio, in difesa costante, a rintuzzare, a rispondere, a dover-rispondere sempre, faticosamente, come in un combattimento costante, come un lavoro, a chiedersi come mai ti sei trovato a litigare e difendere le tue posizioni anche se la conversazione è di una banalità totale e se eri andato a fare una cosa anche carina.

Mi sono reso conto che cade dal pero.

Non ci sente proprio da quel lato: non ha mai capito nessun segnale fornito, nemmeno quando gli scrissi in diversi momenti della vita. Ricorda di aver riso, trovando sciocca una manifestazione di “accusa” per piccolezze, pensando che la lettera era rabbiosissima, ma che ciò che gli veniva imputato era di una tale piccolezza da far ridere.

Eppure si era reso conto – correttamente – che non essendosi mai accorto di tutta quella rabbia e ricevendola tutta d’impeto doveva essere stata covata. A parte consdierare il momento di “sfida all’autorità che si fa quando si cresce”, non ha pensato mai ad altro. Puerile potrà essere stato il modo, ma sono certo che il contenuto e gli addebiti di sicura piccola entità non erano lì a caso: erano esattamente le piccolezze con cui lui stesso ci tartassava ma la posizione di potere non ti fa percepire il peso della violenza, dell’accusa. Questo forse è mancato nella mia capacità di comunicare di così tanti anni fa. Era il modo: così come tu ci accusi con violenza di tante piccole puttanate, così tu le compi, costantemente, e ci accusi e e rimproveri costantemente, con quel modo, è il modo, la sensazione di comando, di superiorità, quando tu stesso umanamente non fai che fare le stesse identiche cose. Alcune delle quali però contengono una ulteriore mancanza di rispetto, che è – a riprova – la noncuranza. Non è solo un errore, una disattenzione o una maleducazione: è una di quelle che manifestano il fatto che tu puoi, ma gli altri no. Certo, è lo stesso anche per tutti gli altri addebiti, ma alcuni mostrano maggiormente la umile natura degli atti o delle omissioni che le riguardano, quando la noncuranza con cui vengono trattate investe altre persone che consideriamo siano, anche di poco, meno di noi. Tutti quegli atti umani che riguardano proprio il nostro povero corpo noi abbiamo sempre tutti quanti cercato di considerare che sarebbe stato davvero umiliante per chi fa e per chi subisce, trattarli come se noi fossimo l’imperatore e tutti gli altri abitanti della casa una sorta di servitù che deve tacere. Sulle cose umanissime, schifose magari, che però agli altri non taci mai, li rimproveri pubblicamente, di fronte a tutti, gridando, usando tutta la violenza verbale e psicologica possibile e – finché è stato – anche quella fisica, sempre con quell’aria di “e non pensare nemmeno di rispondere, perché non puoi, io posso, tu non puoi”. Perché la sensazione forte è “la mia vita non è mia, dipende da questa persona, ha del potere e nelle sue parole ha spesso ricordato di averlo, che dalla porta si entra ma si esce, che lui può fare a meno di noi ma noi non di lui, eccetera”. Questo non la rende una relazione in cui ti senti tranquillo a parlare con qualcuno. Certo non hai una chiarezza che tutto sia possibile nel dialogo. Anzi. Quello che hai è una minaccia. Questa è casa mia. Queste sono le mie regole. Se non ti piace te ne vai.

E’ tutto vero e tutto giusto, ma non è la base per un dialogo in cui si possano riconoscere difetti vicendevolmente e lavorare su una relazione. Esiste una minaccia pratica. E le milioni di volte in cui poi senti sminuire ciò che è stato detto…

Non stento affatto a capire quando la critica alla società patriarcalistica sia forte. Quando il rispetto ti è dovuto per contratto, non si tratta di rispetto, ma di timore, asservimento, obbedienza, deferenza, intoccabilità. Questo è il primo atto, quello del porsi come “superiori” del rendere l’altro “meno persona di me”. Sei “più persona” di me perché hai più anni? Sei più bravo “perché si” ? Se lo devo dimostrare io, lo devi fare anche tu. Non mi interessa quanti anni hai, se hai pene o vagina.

Comunque ho capito che il fatto che solo io gli dica le cose lo rende anche un po’ incredulo… come dire “nessuno me lo ha mai detto”. Forse non in modo chiaro. Forse quando te lo diciamo tu semplicemente o fai la vittima, o rispondi prendoci per il culo come (citando RickDuFer) “sensibilini”. Ma non siamo in guerra, non stiamo a fare battaglie e prenderci a tranvate in faccia sempre ed in ogni istante, luogo ed occasione. Di certo non è un rapporto sereno quello che lo richiede costanemente. Di certo non è gioioso. Di certo che si tratti di amore è davvero molto molto molto difficile crederlo. L’amore c’è, ma quella non ne è la manifestazione. Quella è solo manifestazione di nessun autocontrollo, di un carattere di merda e della assoluta libertà di esercitarlo perché si ha un potere che gli altri hanno interiorizzato.

Hai voglia poi un giorno magari a chiederti – non è il caso di mio padre – o dirti sconsolato “se non avessi questi soldi, queste cose, questo potere, nessuno mi amerebbe! Ecco, tutti mi odiano!” … quando per tutta la vita hai costruito la base sottostante per esercitare controllo sugli altri e che tu ti senta sempre in diritto di chiederne conto, di chiedere conto di qualcosa, di esigerlo, aspettartelo.

Alla fine il dramma del patriarca è invecchiare: hai vissuto di forza e non ne hai più.

mentre piovono coccinelle

Bastare a sé stessi. Rispettare sé stessi. Amare sé stessi.

Grandi seghe. Autoerotismo, autobastismo, autorispettismo.

Mentre piovono coccinelle tra la tastiera e le mie mani ci penso: assomiglia a quel tipo di valutazioni totali sul “saper vivere” (pare che ci sia qualcuno che sa come si deve vivere, che può valutare se lo fai correttamente, splendidamente, oppure male, se bagli a vivere, se vivi così così) ed anche quelle più vecchie sull’essere maturi oppure infantili. Le malsopporto? Le tollero? Se avessero un senso assoluto, definito, condivisibile, potrei decidere se tollerarle o no. Ma è proprio il fatto che qualcuno usi queste parole senza prima convenire con altri cosa intenda che mi fa astenere. Fino a che magari non decidi di dichiararti: se con maturo intendi questo, allora…

Puntualizzatore, fastidio.

Ma autoparlismo? Autoreferenziale? Autofficina.

Se la regola del bastare a sé stessi fosse buona. Allora. E giù ad elencare conseguenze che contrastano con questa tesi. Non lo faccio. Continue reading →

fuga per la salvezza, codardìa, caos (51ma puntata)

Cronaca di una parabola di delirio. Il pomeriggio ha preso una piega brutta. Forse uno squilibrio con gli psicofarmaci, forse il tempo grigio per metà giornata. Ma qualcosa prendeva male. A pranzo lei ha chiesto dai dai dai vediamoci pranziamo. Si annoia, penso. Chemmefrega, ok, pranzo in compagnia. Aveva rifatto l’assicurazione, poi sarebbe andata a prendere l’auto. Prossima settimana deve posare, quindi mi premuro di ricordarle alcune cose e osservo che ha una pletora di brufolazzi sulla guancia e lei mi dice che si possono eliminare con la “pulizia del viso” … ma non mi risulta. Solo che non sono un estetista (come non lo è lei del resto) e quindi boh, sentiamo, dico, subito, andiamo da K che lo sa. Ci andiamo. Non era vero e comunque richiede giorni. Non ci stiamo dentro. Hey ma ormai è ora di prendere l’auto mi accompagni? Sono di strada. No problem. Le faccio benza, prende la sua macchinetta, ciao. Giorni fa mi aveva rivelato di aver fatto sesso col suo bisonte in un modo che io adoro, ma la conformazione del cazzo è differente, con lui bla e bla. Sono colpi che io incasso, ma ci metto un po’. Razionalmente si fa presto a ricordarsi che come non si diventa alti così il cazzo che hai ti tieni. Ma per chi non ha autostima la fatica è più grande. E ricordiamoci: non sono un computer, non sono un angelo del signore, sono un essere umano, un discendente dalla scimmia. Ci metto un po’. Ma mi passa. I mille segni che la ragazza che amavo è estremamente – e forse solo – superficiale si fanno sentire sempre più. Io queste cose le adoro, ma non voglio solo quello. E non la disprezzo. Ora verrà, il dunque. Continue reading →

sei effeminato! AH VIOLENZA!

Sono nato nel 1974. Da che mi ricordo ho sentito parlare di “maschi” e “femmine”… il femminismo era più vicino. Quello serio. Di violenza di genere, della sua nascita, delle basi del comportamento se ne parlava. Il machismo stava perdendo appeal: la sensibilità del maschio, parlare, i sentimenti.

C’è stato uno spazio per tutto questo. Ma non abbiamo “tenuto botta”. Non abbiamo aspettato nemmeno il corso naturale che prevede che la vecchia generazione, che non cambierà mai idea, muoia. Non abbiamo tenuto duro ripetendo “basta machismo” mentre chi era nato durante gli anni ’50 e ’60 morisse. Sono tutti ancora qui. Avranno sentito molte cose. Ma non le hanno ascoltate, non ci hanno pensato, i loro genitori e la loro famiglia non ha sentito forte biasimo sociale.

Alla fine non c’è accettazione per la debolezza.

C’è una specie di spolveratina di zucchero a velo di accettazione. Si però basta. Adesso smettila, hai rotto il cazzo. E si torna esattamente come prima: fai l’uomo, sii uomo. Sii forte, comportati da uomo. E anche la donna. Basta piangere, stai in piedi, stai su, schiena dritta cazzo, piagnistea.

Messaggi contraddittori: come creare la pazzia.

Oggi lei – alla quale ho solo chiesto se stava bene e che mi dice che non sa che cazzo fare della sua vita e che inizia una cosa e che se dopo 6 giorni non è tutto riuscito molla e si dice che fa schifo e io non funziono così che inizio e finisco le cose – mi propone la lettura di questo articolo perché le fa “capire i maschi”. L’articolo lo condivido. La sua conclusione però è di biasimo verso la debolezza. Di tutti: uomini e donne. Quindi da un lato capisce che questa educazione dei maschi a non poter esternare delicatezza eccetera è uno sbaglio. Dall’altro si aspetta uomini forti, maschi, forza fisica e “le palle”.

Vorrebbe esserlo lei. Vorrebbe che quando lei è debole qualcuno la tirasse su. E quindi biasima tutto ciò che non ha. Mi pare.

Io sono un debole. Io piango. Io mi dolgo. Mi lamento. Io ho una sensibilità fastidiosa. Ma ci ho a che fare, continuo ad averci a che fare. Quello che è stato insegnato ai maschi guerrieri fino ad oggi è sradicare via questo dolore, essere insensibili. Ci sono sicuramente dei vantaggi: una pistola che non si inceppa, un martello che non si sgretola, una mazza che non si spezza in due. Come armi sono buone. Ma se cresci una persona come un’arma, hai un’arma. Siccome è una persona, sarà come minimo confusa. Ma da fuori… avrai un’arma: puoi abbracciarla, forse sarà dura, robusta. Spesso mortale.

generazioni guardinghe e malfidenti

Seconda volta. Seconda volta che, nel giro di un paio di settimane, parlo con una tipa – sempre sotto i 25 – che ha una visione della coppia che io trovo aberrante. Zero fiducia, si lamentano della gelosia ma sono gelosi/e. Si controllano a vicenda peggio della Stasi e del KGB. Via social, attraverso il gossip o le “amicizie”. Non sembra esistere riservatezza ammessa. E persino il modo di dire nazi-fascista “se non hai niente da nacondere non nascondere niente” o simili… Sembra che lo spazio individuale sia sempre marcio, che sempre i rapporti con altri debbano nascondere tradimenti possibili o ne siano l’anticamera.

E soprattutto sembra che i rapporti siano questioni di potere. Di controllo. Di comando, sopraffazione. “D’onore” mafioso. Non esiste che tu soffri. No, tu sei oltraggiato dall’onta e devi vendicarti. E sembra che siano le donne queste, più che gli uomini. Uomini. Donne. Ragazzini sono.

Eppure si comportano così: certo io mi fido di lui/lei ma esigo l’accesso illimitato ed incondizionato al suo cellulare. Ah, ti fidi proprio. Continue reading →

da grandi poteri grandi responsabilità

“Da grandi poteri, grandi responsabilità” cita il tuo amico e l’altro amico “ah! batman!!” e tutto il gruppetto di comic-nerd “SPIDERman!!!!!”.

Poi cosa ti vado a scoprire e COME? Che la mia (cit) crassa ignoranza andava ben oltre l’immagina(bile)to: leggendo un libro di DAN BROWN (ok, si, orrore ed abominio su di me, ma io devo cercare di dormire in qualche modo e leggere narrativa di un certo tipo mi calma, mi rilassa, poi posso dormire, e ci metto comunque due ore, quindi fuckya) scopro che una frase più interessante, ma sostanzialmente di significato simile, molto, molto simile, era stata pronunciata da Winston Churchill.

Macché? Davero davero? Eh sine! Maindove? Eh!!!!!

Comunque non è stato il primo, né l’ultimo illustre, come di dice questa ricerca di Stay Nerd.