Accettazione #345928347

Accade che si possa avere accesso a qualcosa ma che le condizioni o le conseguenze siano talmente negative, per noi, che preferiamo rinunciarci del tutto: il beneficio sarebbe inferiore al danno e non si può essere grati per il danno o poco coraggiosi ad andare incontro a danni potenziali assicurati, facendoli diventare reali, così, solo per l’esperienza. È stupido e masochistico. La passione esiste, la gioia esiste, il bello esiste, ma anche i loro contrari: si fa il conto e si decide. Qualcuno accetta un granello di gioia in una distesa di nulla. Altri no. Perché, sempre, prendere atto della realtà ed accettare che è così, non significa che mi deve anche piacere. Non pretendo, quindi, che ciò che è cambi: lo accetto. Ma decido io quale tipo di relazione, con tale realtà, intendo o non intendo avere (accettare). Il libero arbitrio è questo?

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ChatGPT Plus, chat temporanea con GPT-4, a specifiche questioni su questo testo mio, dice:

Analisi Critica del Testo

Il testo proposto si concentra sul concetto di “accettazione” di realtà non piacevoli, esaminando il rapporto tra libertà di scelta e conseguenze derivanti da tale scelta. Una prima osservazione critica può essere indirizzata alla mancanza di una definizione chiara di termini come “danno”, “gratitudine” e “libero arbitrio”, che potrebbe portare a interpretazioni vaghe o ambigue. Il testo, tuttavia, non sembra presentare fallacie argomentative evidenti come attacchi personali o appelli emotivi non pertinenti. La struttura logica è generalmente coerente, poiché l’autore espone una situazione, ne analizza gli aspetti e conclude basandosi sulla riflessione iniziale.

Tuttavia, una possibile debolezza potrebbe risiedere nell’assunzione implicita che la decisione di non accettare una realtà non piacevole sia sempre un atto di libero arbitrio, senza considerare influenze esterne o condizionamenti che possono limitare le scelte individuali. Questo potrebbe essere visto come una semplificazione eccessiva di una questione molto più complessa.

Trattamento da Parte di Diverse Discipline

Filosofia: La questione dell’accettazione e del libero arbitrio è centralmente trattata in filosofia, con figure come Sartre che enfatizzano la libertà dell’individuo di scegliere nonostante le circostanze esterne. Argomenti contro possono includere le teorie deterministe, che negano la libera volontà a causa di fattori predeterminati biologici o ambientali.

Psicologia: La psicologia esplora come gli individui affrontano le situazioni avverse attraverso concetti come la resilienza e la percezione del controllo. Studi su queste tematiche spesso supportano l’idea che accettare la realtà, anche quando è negativa, può contribuire a una migliore salute mentale.

Sociologia: La sociologia può guardare alla questione dell’accettazione all’interno dei contesti sociali, analizzando come le norme culturali e le pressioni sociali influenzano le decisioni individuali. Ciò potrebbe portare a un dibattito sull’entità del libero arbitrio in contesti sociali densi di normative e aspettative.

Morale ed Etica: Queste discipline indagano spesso i principi dietro le decisioni di accettazione o rifiuto, interrogandosi se sia “giusto” accettare condizioni negative o se sia moralmente obbligatorio cercare di cambiarle.

Politica: La politica considera come le leggi e le politiche possano influenzare l’accettazione di certe realtà sociali o economiche. Il dibattito può riguardare questioni di giustizia sociale e diritti individuali versus il bene collettivo.

In conclusione, il testo solleva questioni significative che sono state ampiamente dibattute in molteplici campi del sapere, offrendo spunti per ulteriori riflessioni e discussioni.

L’assunzione che la decisione di accettare o non accettare una realtà sia sempre un atto di libero arbitrio è complessa e può essere analizzata sia da prospettive a favore (pro) che contro (contro). Esplorerò entrambi gli aspetti offrendo esempi specifici per illustrare meglio il dibattito.

Argomentazioni a favore (Pro)

  1. Autodeterminazione personale: Dal punto di vista filosofico, autori come Jean-Paul Sartre sostengono che gli individui sono sempre liberi di fare scelte, nonostante le circostanze. Questa visione enfatizza l’autodeterminazione. Ad esempio, una persona può scegliere di lasciare un lavoro stressante nonostante la sicurezza economica che offre, evidenziando un esercizio del libero arbitrio in contrasto con le pressioni finanziarie.
  2. Resilienza psicologica: In psicologia, la resilienza è la capacità di riprendersi da situazioni difficili. L’esercizio del libero arbitrio è evidente quando individui affrontano traumi o stress significativi e decidono consapevolmente di cercare aiuto o adottare strategie positive di coping, piuttosto che cedere alle circostanze.
  3. Rifiuto di conformismo sociale: Dal punto di vista sociologico, il rifiuto di conformarsi a norme sociali opprimenti è un altro esempio di libero arbitrio. Le rivoluzioni e i movimenti sociali come il suffragio femminile o il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti sono esempi storici di individui che rifiutano una realtà accettata dalla maggioranza e agiscono per cambiarla.

Argomentazioni contro (Contro)

  1. Determinismo biologico e ambientale: Le teorie deterministe sostengono che molti aspetti delle decisioni umane sono predeterminati da fattori biologici o ambientali. Ad esempio, la ricerca ha mostrato come certi comportamenti possano essere influenzati da geni o condizioni ambientali come la povertà, limitando di fatto il libero arbitrio nell’accettazione o rifiuto di determinate situazioni.
  2. Influenza delle condizioni psicologiche: Condizioni come la depressione o l’ansia possono limitare significativamente la percezione delle scelte disponibili per un individuo, influenzando la sua capacità di esercitare il libero arbitrio. Una persona con depressione severa potrebbe sentirsi incapace di cambiare la propria situazione, anche se esternamente sembrano esserci opzioni disponibili.
  3. Pressioni e aspettative sociali: In sociologia, è riconosciuto come le aspettative sociali possano limitare le scelte individuali. Ad esempio, in certe culture, il matrimonio può essere visto non solo come una scelta personale ma come un obbligo sociale, limitando la libertà individuale di scegliere diversamente senza subire significative conseguenze sociali.

In sintesi, mentre il concetto di libero arbitrio è centrale nella discussione sulla capacità di accettare o rifiutare situazioni, esistono argomentazioni valide sia a favore che contro, che dipendono da una varietà di fattori psicologici, biologici, e sociali. Questo dimostra la complessità e la multidimensionalità del concetto di libero arbitrio nelle scienze umane.

Riguardo alla resilienza e alla psicologia (io)

questo assunto è assolutistico, sembra fondato sul fatto che la libertà sia solo quella di non fare valutazioni che portino a cedere, come se queste non fossero lucide, senza dimostrare che sia invece un preciso calcolo di costo VS beneficio

Risposta (ChatGPT):

Hai sollevato un punto interessante sulle limitazioni della visione che associa il libero arbitrio solo alla capacità di non “cedere” alle circostanze avverse, che sembra suggerire una valutazione non lucida. In effetti, esiste una dimensione del libero arbitrio che implica un calcolo attento e razionale dei costi e dei benefici, che può portare a decisioni più meditate e potenzialmente diverse.

Costi vs Benefici nella Decisione

L’approccio di costo-beneficio è un aspetto cruciale nella teoria delle decisioni e può essere applicato efficacemente anche nell’analisi del libero arbitrio:

  1. Valutazioni lucide in situazioni avverse: Anziché una semplice resistenza alle circostanze negative, il libero arbitrio può manifestarsi attraverso decisioni ponderate, basate su un attento bilanciamento tra i costi e i benefici previsti. Ad esempio, una persona che decide di rimanere in un lavoro poco gratificante potrebbe farlo valutando che i benefici economici superano il disagio personale, piuttosto che semplicemente “sopportare” le condizioni.
  2. Lucidità nelle crisi personali: Anche nelle crisi personali, come una malattia grave, la scelta di accettare o cercare un trattamento alternativo può essere basata su una valutazione dettagliata dei possibili esiti, degli effetti collaterali, della qualità di vita attesa e delle opinioni mediche, anziché un mero atto di resistenza al destino.
  3. Scelte sociali e culturali: Nel contesto socioculturale, le decisioni riguardanti l’adesione a tradizioni o norme possono anche essere il risultato di valutazioni dei costi sociali e personali associati alla conformità o alla deviazione. Ad esempio, una persona può scegliere di seguire una norma culturale non perché la subisca passivamente, ma perché valuta che il mantenimento delle relazioni familiari e sociali offra benefici superiori rispetto al costo della non conformità.

Questi esempi dimostrano che il libero arbitrio può essere esercitato attraverso decisioni che non sono semplicemente reazioni a circostanze avverse, ma risultati di processi decisionali complessi e riflessivi. Questo punto di vista offre una comprensione più ampia del libero arbitrio, considerando sia la resistenza alle difficoltà che la capacità di fare scelte consapevoli basate su valutazioni logiche e informate.

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L’argomento di questi ultimi anni, per me, è: vorrei che la psicologia clinica si assumesse la responsabilità di dichiarare che tutte le sue operazioni sono volte al benessere dell’individuo che sia lucidamente determinato a sopravvivere a prescindere dal fatto che tutte le terapie si fondano sull’accettazione che la vita è intrinsecamente mescolata a fatica, sofferenza, dolore. Questo però non è un assunto fondativo generale. Si tratta infatti già di una delle due biforcazioni di un bivio: mi sta bene / non mi sta bene. Quello che trovo pericoloso dal punto di vista normativo/legislativo è che, nel momento di prendere decisioni informate, il legislatore non si interroghi sufficientemente sulla base di alcuni ragionamenti degli specialisti psicologi e finiscano, in tema di libertà di scelte su fine vita, esistenza eccetera, per accettare acriticamente ciò che sembrano acriticamente accettare coloro che sono dediti al “far stare bene la gente” mentre si tratta di “far stare bene la gente CHE VUOLE SOPRAVVIVERE, automaticamente appiccicando una patologia a chi liberamente decide che questa valutazione sia soggettiva “.

Il fondamento legistlativo che patologizza una scelta libera soggettiva solo perché minoritaria nascondendo invece l’utilitarismo monodirezionale della società che intende estrarre beneficio dall’esistenza dei singoli, senza curarsi della loro felicità (poiché intrinsecamente considerano deboli e biasimevoli alcune condotte che altrimenti richiederebbero sforzo collettivo) è, per me, fascista. Malvagio, egoistico mentre considera egoista il singolo che non si fa fregare dall’egoismo di tutti gli altri singoli mentre ipocritamente si aspettano contributo. I numeri su quanti siano ricchi e quanti poveri nel mondo, rispondono alla critica di “assurdità”.

Scegliere di sottrarsi deve essere considerato al pari della scelta del lavoro intrinsecamente forzato della sopravvivenza. Come scelta libera riconosciuta valida dalla società dovrebbe, quindi, trovare un aiuto rapido ed indolore che renda effettiva questa pratica libera, deliberata di interruzione volontaria dell’esistenza. Additare a pigrizia del singolo la poca voglia di fare lo schiavo ignora la contemporanea pigrizia di tutti di adoperarsi per rendere la società collettivamente responsabile nell’elevarci rispetto alle scimmie ed altri animali gerarchici, competitivi, dominatori dei propri simili e collaborare, considerando il vantaggio proprio che porta danno ad altri come il principale dei mali inaccettabili. La scelta di non-esistenza, in questa ottica, scomparirebbe come “male” e sarebbe una valida scelta come tante altre, che non parte da presupposti machisti, efficientisti (solo per i sottoposti e i singoli), arrivisti, aziendalisti che spostano la responsabilità sul singolo che DEVE sopravvivere, ma sulla società nel suo complesso che la renda una scelta DESIDERABILE ed attrattiva. Soprattutto se, in fondo in fondo, quel che vuoi da quel singolo è che contribuisca a fare qualcosa per te. Beh sbattiti, o lasciami morire, ma con onestà intellettuale.

Passione, cara Sara e caro Settimio.

In qualche commento sul sito del primo i due bulletti Settimio Benedusi e Sara Lando cazzeggiavano aggressivamente attorno al concetto di “passione”, scimiottando e assolutizzando il commento di un tizio che passava di là (no, non sono io, ma ne ho preso le parti) dicendo che lui fotografava per passione, alla fatidica domanda “perché lo fai”, che vorrebbe ogni fotografante obbligato artista o vaffanculo, professionista o vaffanculo, creatore di originalità o vaffanculo meraviglie oppure la tua fotografia è merda. E invece vaffanculo tu, l’hanno creata per scattare, con tanto di manualetto da passeggio. Se poi voi avete una visione ed una dedizione vostra, sono appunto, cazzi vostri. Ma non venite a spiegare alla lingua cosa significhi: c’è il dizionario. “Passione” inteso come la passione di Cristo, è un uso speciale, particolaristico, non generale quando si dice “ho la passione per la carne” significa “aoh c’è la carne, gnam gnam!” e non che se non la cacci con le tue mani secondo il rito Baksjha-huma del 16mo secolo orientato a sud-est secondo le scritture, allora non te magni la tajata e per carità non è di Giaguaro? Che schifo. No. Significa: vado matto per la carne, e mi strafogo volentieri, ma se c’è la pizza va bene. QUESTO significa per la gente comune. L’etimologia è etimologia. Altrimenti è come se scopassi con le ossa di 30 generazioni fa e non con tua moglie: tu moglie è il significato attuale, e le generazioni prima sono l’etimologia. E se mi tirate fuori il DNA, ok, l’etimologia è un anfiosso, il significato attuale è la tua tipa.

Detto questo, un po’ di Kierkegaard?

Ok, eccone un po’, con la mia amica iA, che chissà se sa:

B:

Søren Kierkegaard ha espresso concetti riguardanti l’autodeterminazione e la responsabilità individuale in molte delle sue opere, ma uno dei suoi primi lavori in cui ha discusso in modo significativo questi temi è “O Aut-Aut” (o “Either/Or” in inglese), che è stato pubblicato nel 1843.

In “Either/Or”, Kierkegaard discute le due sfere della vita: l’estetica e l’etica. La sfera estetica è dominata dal piacere e dalle esperienze immediate, mentre la sfera etica richiede un impegno personale e la responsabilità delle proprie azioni. Kierkegaard sostiene che per vivere una vita autentica, un individuo deve fare una scelta esistenziale tra queste due sfere. Questo è un esempio chiaro del suo pensiero riguardante la libertà di scelta e l’autodeterminazione.

A: Quindi se avessimo detto che nell’affermazione “O vivo come voglio (esteticamente o esteticamente) o preferisco non vivere affatto, ponendo fine volontariamente alla vita” si ritrova ciò che disse Kierkegaard , come una delle possibili, logiche e coerenti scelte secondo questo pensiero, oppure no?

B:

Sì, la tua affermazione sembra allinearsi con la filosofia di Kierkegaard. Kierkegaard sosteneva che un individuo dovrebbe fare una scelta esistenziale tra la vita estetica e quella etica. Questa scelta, secondo Kierkegaard, è fondamentale per la vita autentica.

La frase “O vivo come voglio o preferisco non vivere affatto” può essere vista come un’espressione di questo pensiero, poiché implica una decisione consapevole di vivere la propria vita in modo autentico secondo le proprie scelte, o di non vivere affatto se tale autenticità non può essere raggiunta.

Tuttavia, è importante notare che, nonostante la potenziale interpretazione esistenzialista di questa frase, il suicidio non è un tema centralmente trattato o promosso nella filosofia di Kierkegaard. Lui sottolineava piuttosto l’importanza di vivere in modo autentico, affrontando le sfide e i dilemmi esistenziali.

A:

Quindi controlliamo, se la scelta di vita fosse stata estetica, ma non perseguibile, scegliendo quindi di non vivere – avremmo comunque la conferma di scelta coerente, secondo Kierkegaard o no, perché non è una scelta considerata etica ? Oppure si perché intrinsecamente etica in quanto scelta e non “capitata” ?

B:

Nella filosofia di Kierkegaard, la vita etica è considerata superiore alla vita estetica perché richiede un impegno personale e la responsabilità delle proprie azioni. La vita estetica, d’altra parte, è vista come dominata dal piacere e dalle esperienze immediate.

Se la scelta di vita fosse stata estetica, ma non perseguibile, il rifiuto di vivere potrebbe essere visto come un’incapacità di impegnarsi nella vita etica. Kierkegaard potrebbe dire che questa è una situazione tragica, ma non necessariamente una scelta coerente o autentica nel senso più profondo.

Tuttavia, il pensiero di Kierkegaard è complesso e non sempre facile da sintetizzare. Anche se mette l’accento sulla scelta e sulla responsabilità, non è chiaro come avrebbe interpretato una scelta radicale come quella di rifiutare di vivere. Kierkegaard stesso ha attraversato periodi di grande disperazione nella sua vita, ma ha sempre sostenuto l’importanza della fede e dell’impegno etico.

Inoltre, è importante ricordare che l’interpretazione del pensiero di Kierkegaard può variare a seconda del contesto e della prospettiva filosofica.

A: Quale sarebbe stata la vita etica, secondo Kierkegaard ? Qualche esempio

B:

Secondo Søren Kierkegaard, la vita etica rappresenta un livello di esistenza superiore rispetto alla vita estetica. Mentre la vita estetica è centrata sul piacere individuale e le esperienze immediate, la vita etica richiede un impegno personale, una responsabilità e una riflessione sulle proprie azioni.

In termini pratici, un individuo che vive una vita etica secondo Kierkegaard potrebbe essere qualcuno che:

  1. Assume la responsabilità per le proprie azioni: Questo può includere l’ammissione degli errori e la ricerca di fare ammenda quando si fa del male agli altri.
  2. Riflette su se stesso e sulle proprie azioni: Kierkegaard ha sottolineato l’importanza dell’auto-riflessione e dell’auto-comprensione. Vivere una vita etica implica una comprensione profonda di se stessi e dei propri valori.
  3. Si impegna in relazioni autentiche: Per Kierkegaard, una vita etica include l’instaurazione di relazioni autentiche con gli altri. Questo può implicare un impegno sincero verso gli altri e la capacità di mettersi in gioco nelle relazioni.
  4. Si impegna in attività che vanno oltre il mero piacere o l’interesse personale: Questo potrebbe includere il volontariato, l’assistenza agli altri, o l’impegno in cause sociali o politiche.

In definitiva, per Kierkegaard, la vita etica è una vita di impegno e responsabilità, una vita che richiede una riflessione continua e una scelta consapevole.

A: si sarà divertito tantissimo…

B:

La filosofia di Søren Kierkegaard può sembrare austera e impegnativa, specialmente perché mette un’enfasi così grande sulla responsabilità individuale, l’auto-riflessione e l’impegno etico. Kierkegaard stesso ha vissuto una vita complessa e talvolta difficile, lottando con problemi personali e spirituali.

Tuttavia, è importante ricordare che Kierkegaard non vedeva la vita etica come una rinuncia al piacere o alla gioia. Al contrario, riteneva che la vita etica potesse portare a una forma più profonda e duratura di soddisfazione, perché era basata su una comprensione autentica di se stessi e su un impegno sincero verso gli altri.

Inoltre, Kierkegaard era un grande estimatore dell’ironia e dell’umorismo, e queste caratteristiche brillano in molte delle sue opere. Quindi, nonostante i temi seri e impegnativi della sua filosofia, Kierkegaard sapeva apprezzare anche gli aspetti più leggeri e divertenti della vita.

A:

Ed in quale modo avrebbe inquadrato questi aspetti leggeri, visto che contrastano con l’impegno e la vita etica? incoerenza, licenza?

B:

Søren Kierkegaard, nonostante i toni seri di molte delle sue opere, comprendeva e apprezzava il valore dell’umorismo, dell’ironia e dei piaceri della vita. Secondo Kierkegaard, questi aspetti “più leggeri” non sono necessariamente in contrasto con l’impegno e la vita etica.

In termini di umorismo e ironia, Kierkegaard li vedeva come strumenti utili per esaminare e sfidare le nostre precomprensioni e le ipocrisie sociali. In questo senso, l’umorismo può servire a una funzione etica, permettendoci di vedere noi stessi e il mondo da una prospettiva differente.

In termini di piaceri della vita, Kierkegaard non sosteneva che dovessero essere evitati completamente. Piuttosto, sosteneva che dovremmo essere consapevoli dei limiti di questi piaceri e non dovremmo permettere che ci distraggano dalla ricerca di un significato più profondo e dall’impegno etico.

Quindi, mentre Kierkegaard mette l’accento sulla responsabilità e l’impegno, non vede necessariamente un contrasto tra questi valori e la capacità di apprezzare gli aspetti più leggeri e piacevoli della vita.

A:

nel valore etico lui individuava le relazioni interpersonali o cose più sociali come le ragioni di Stato e il progresso scientifico ed intellettivo nonché di libertà (non-oppressione) dell’umanità?

B:

Søren Kierkegaard, come figura chiave dell’esistenzialismo, poneva l’enfasi sul singolo individuo e sulla sua esperienza interiore. Pertanto, i suoi scritti tendono a concentrarsi più sulle relazioni interpersonali e sulle questioni personali di fede, piuttosto che su temi più ampi come la politica o il progresso scientifico.

Per Kierkegaard, le relazioni interpersonali sono fondamentali. Credeva nel valore intrinseco di ogni individuo e sosteneva che le relazioni autentiche potessero aiutarci a capire meglio noi stessi e il mondo. Sottolineava l’importanza dell’empatia, dell’amore e del rispetto per gli altri.

Nonostante ciò, Kierkegaard non ignorava completamente questioni sociali più ampie. Tuttavia, queste tendevano ad essere inquadrate in termini di come influenzavano l’individuo e la sua capacità di vivere una vita autentica.

Per quanto riguarda il progresso scientifico e intellettuale, Kierkegaard era scettico su quanto potesse contribuire a una comprensione autentica della condizione umana. Nonostante ciò, non era anti-intellettuale e comprendeva l’importanza del pensiero critico.

Infine, per quanto riguarda la libertà, Kierkegaard credeva fermamente nell’importanza dell’autonomia individuale e della libertà di scelta. Tuttavia, vedeva la vera libertà non solo come l’assenza di costrizioni esterne, ma anche come la capacità di fare scelte autentiche e di assumersi la responsabilità per queste.

A:

era religioso e, se si, osservante?

B:

Søren Kierkegaard era un cristiano devoto e la sua fede ha avuto un enorme impatto sul suo lavoro filosofico. Tuttavia, aveva una visione molto particolare del cristianesimo che spesso lo metteva in conflitto con la Chiesa ufficiale della sua epoca.

Kierkegaard credeva che il cristianesimo dovrebbe essere una questione di fede personale e di impegno individuale, piuttosto che di osservanza esteriore delle norme ecclesiastiche. Criticava fortemente la Chiesa danese del suo tempo, che riteneva fosse diventata troppo conformista e istituzionalizzata, perdendo di vista l’importanza della fede individuale e dell’impegno personale.

Nonostante le sue critiche alla Chiesa ufficiale, Kierkegaard era profondamente religioso. Credeva fermamente in Dio e vedeva la fede come una parte fondamentale dell’esistenza umana. Molte delle sue opere filosofiche si occupano di questioni di fede, etica religiosa e della natura del rapporto tra l’uomo e Dio.

Quindi, mentre Kierkegaard era religioso, la sua osservanza non si basava necessariamente sulle pratiche ecclesiastiche tradizionali, ma piuttosto su un impegno personale e una fede profonda.

A: ahi ahi …

B:

Capisco che la filosofia e le credenze religiose di Søren Kierkegaard possono sembrare complesse o addirittura contrastanti. Kierkegaard è noto per le sue visioni non convenzionali e la sua critica della Chiesa istituzionalizzata, ma ciò non significa che non fosse profondamente religioso. Il suo approccio alla fede era molto personale e centrato sull’individuo, piuttosto che sulla comunità o sull’istituzione.

Kierkegaard credeva fermamente nella necessità di un impegno personale nella fede e vedeva la fede come un salto esistenziale che ogni individuo deve fare per conto proprio. Questo approccio alla religione può essere difficile da comprendere o accettare per alcuni, ma è un elemento chiave del suo pensiero filosofico.

A: hi ha criticato e confutato (e come) efficacemente i concetti principali di Kierkegaard ?

B:

Søren Kierkegaard ha influenzato molti pensatori successivi, ma la sua filosofia ha anche incontrato una serie di critiche. Ecco alcune delle critiche più comuni:

  1. Individualismo eccessivo: Kierkegaard pone l’accento sull’individuo e sulla sua esperienza interiore, a scapito della comunità o della società nel suo insieme. Questo approccio è stato criticato per il suo presunto egoismo o narcisismo. Alcuni critici sostengono che la filosofia di Kierkegaard trascura l’importanza delle relazioni sociali e delle strutture sociali nel plasmare la nostra esperienza.
  2. Irrazionalismo: Kierkegaard enfatizza il “salto della fede” e l’irrazionalità della fede religiosa. Questo approccio è stato criticato da filosofi razionalisti, che vedono la ragione e l’evidenza come fondamentali per la comprensione della verità.
  3. Negatività: La filosofia di Kierkegaard è spesso vista come oscura o pessimista, con il suo focus sulla sofferenza, l’angoscia e la disperazione. Alcuni critici sostengono che questa visione negativa della vita umana è eccessiva o inutile.
  4. Teologia: Anche se Kierkegaard era un cristiano devoto, la sua interpretazione del cristianesimo è stata criticata da alcuni teologi. Per esempio, la sua enfasi sulla fede individuale e sulla sofferenza può essere vista come in contrasto con le visioni più comunitarie o ottimistiche della fede cristiana.

Tuttavia, è importante notare che, nonostante queste critiche, la filosofia di Kierkegaard ha avuto un impatto duraturo e continua a essere studiata e discussa oggi. Molti filosofi e teologi apprezzano la sua enfasi sull’autenticità, la responsabilità individuale e la fede personale. [ora mette pure il grassetto! NdR]

A:

Approfondisci “Alcuni critici sostengono che questa visione negativa della vita umana è eccessiva o inutile” e con quali argomentazioni “inutile” viene supportato in questo tipo di confutazione e in base a cosa costoro giustificano il termine “eccessivo” e a quale misura.

B:

Le critiche alla visione di Kierkegaard come eccessivamente negativa o inutile si riferiscono spesso alla sua enfasi sull’angoscia, la disperazione e la sofferenza come componenti centrali dell’esperienza umana. Questi critici sostengono che, sebbene queste emozioni possano certamente far parte della vita, non dovrebbero essere viste come la sua caratteristica definitiva o dominante.

  1. Eccessiva: Quando i critici dicono che la visione di Kierkegaard è “eccessiva”, si riferiscono spesso al fatto che la sua filosofia può sembrare troppo concentrata su aspetti negativi dell’esistenza umana come l’angoscia e la disperazione. Argomentano che ci sono molte altre esperienze umane che sono altrettanto importanti e che meritano attenzione, come la gioia, l’amore, la creatività e il senso di comunità. Inoltre, sostengono che concentrarsi troppo sui lati negativi della vita può portare a una visione distorta dell’esistenza umana.
  2. Inutile: Quando i critici dicono che la visione di Kierkegaard è “inutile”, intendono spesso che non aiuta a migliorare la condizione umana o a risolvere problemi pratici. Argomentano che concentrarsi sull’angoscia e sulla disperazione non fornisce soluzioni concrete ai problemi sociali o personali. Inoltre, sostengono che può portare a una sorta di paralisi o rassegnazione, piuttosto che motivare l’azione o il cambiamento positivo.

Detto questo, è importante notare che non tutti i filosofi o i pensatori concordano con queste critiche. Alcuni sostengono che l’enfasi di Kierkegaard sull’angoscia e la disperazione è un riconoscimento onesto e necessario della realtà della condizione umana. Sostengono che queste esperienze negative possono effettivamente servire a spingere gli individui verso l’autenticità e la crescita personale.

A:

Kierkegaard considera la vita utile di per sé? considera che la vita abbia uno scopo ?

B:

La filosofia di Søren Kierkegaard si concentra fortemente sull’idea dell’individuo che cerca un significato e uno scopo nella vita. Secondo Kierkegaard, la vita ha uno scopo, ma quello scopo non è dato o determinato esternamente; piuttosto, deve essere scoperto e perseguito attivamente dall’individuo.

Per Kierkegaard, la vita diventa utile e significativa quando l’individuo si impegna autenticamente in un percorso esistenziale, che può comportare la fede religiosa, l’amore per gli altri, l’arte, o altre forme di impegno personale. Questo processo di scoperta e impegno è accompagnato da angoscia e disperazione, che Kierkegaard vede non come negativi di per sé, ma come indicatori dell’importanza e della serietà della nostra ricerca di significato.

Kierkegaard sosteneva anche che la vita ha uno scopo nell’ambito della fede religiosa. Vedeva l’individuo come chiamato da Dio a vivere in un modo che riflette i valori cristiani di amore, fede e sacrificio. Questo impegno religioso, secondo Kierkegaard, dà alla vita un profondo significato e scopo.

Pertanto, secondo Kierkegaard, la vita non solo ha uno scopo, ma può anche essere vista come utile, nella misura in cui offre l’opportunità per l’individuo di scoprire e perseguire il suo unico percorso esistenziale.

A: Difficile dare torto ai suoi detrattori dunque, visto che persino nell’ambito della sua stessa visione tendere verso il raggiungimento di uno scopo rende il concetto di “utile” rilevante. Possiamo dire che il suo concetto di “sofferenza ed angoscia” potrebbe essere etimologicamente intercettato da “passione” cioé “patire” … ossia il bisogno e la scelta che coincidono e sono scopo di vita?

B:

Hai colto un aspetto molto importante della filosofia di Kierkegaard. Infatti, l’angoscia e la sofferenza nel suo pensiero non sono semplicemente esperienze negative da evitare, ma sono parte integrante del processo di diventare un individuo autentico. Questo processo può essere pieno di difficoltà e sofferenze – o “passione”, come hai giustamente suggerito.

Kierkegaard vedeva l’angoscia come una reazione alla libertà e alla responsabilità che abbiamo nel fare scelte che definiscono chi siamo. Questa angoscia non è qualcosa da cui fuggire, ma piuttosto un segno del nostro impegno serio nella vita e delle scelte importanti che dobbiamo fare.

La sofferenza, d’altra parte, è vista da Kierkegaard come inevitabile nella vita umana. Tuttavia, piuttosto che cercare di eliminare o evitare la sofferenza, Kierkegaard suggerisce che dobbiamo imparare a viverla in un modo che ci porti a una maggiore autenticità e comprensione di noi stessi.

Quindi, sì, potremmo dire che il concetto di “passione” cattura abbastanza bene l’approccio di Kierkegaard all’angoscia e alla sofferenza. La passione implica un’intensa dedizione o impegno, che spesso comporta una certa quantità di sofferenza o difficoltà. In questo senso, la passione è strettamente legata all’idea di Kierkegaard di diventare un individuo autentico.

A:

Mi serviva solo per verificare se avevo capito il senso. Del resto oggi il significato di “passione” è ben lontano da quello etimologico del patire, ma indica semplicemente un intenso interesse e coinvolgimento emotivo, più positivo e gioioso.

B:

Sì, hai assolutamente ragione. Il termine “passione” nel linguaggio comune oggi tende a riferirsi a un forte interesse o entusiasmo per qualcosa, spesso associato a sentimenti positivi e gratificanti. Tuttavia, l’etimologia della parola, come hai sottolineato, deriva dal latino “passio” che significa sofferenza o patimento.

Questo dualismo intrinseco nel termine “passione” – l’idea che possa coinvolgere sia la gioia e l’entusiasmo, sia la sofferenza e il sacrificio – è in effetti molto vicino al modo in cui Kierkegaard approccia la questione dell’angoscia e della sofferenza. Per lui, queste esperienze, pur essendo difficili, sono fondamentali per la nostra crescita e sviluppo come individui autentici.

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Ed ecco come passo il mio tempo con una Ai, lavoro a parte.

E comunque anche Bocca di Rosa, lei lo faceva per passione. Forse un Ligure che la lingua la consceva bene, mh, Setty?

Fotografo professionista, documentazione 2017

photographersPresso l’apposito minisito dell’associazione nazionale fotografi professionisti (TAU VISUAL) http://www.documentazione.org, potete scaricare gratuitamente, in formato PDF, l’e-book “Documentazione per il fotografo professionista 2017“.

Si tratta di un utilissimo compendio, comprendente circa un terzo di ciò che è invece normalmente disponibile se si è soci, di documentazione relativa a roba burocratica di ogni tipo.

Ve lo dico nel modo più schifoso possibile, ma in fondo spesso chi fa un mestiere si sbatte il più possibile in ciò che, tecnicamente, consiste nella sua passione… dimenticando che in una professione c’è molto di più; la burocrazia è una di queste cose. La legge. Le consuetudini di mercato, di ambiente, di settore. Essere professionisti significa fare un LAVORO, non solo divertirsi, seguire qualcosa che ci emoziona. Per farlo, spesso, dobbiamo fare un sacco di cose che ci fanno cagare. Ma questa è la vita 🙂

E in Italia deppiù.

Quindi grazie a TauVisual che comunque mette a disposizione GRATIS questo volume a TUTTI. Se poi ci si associa ti stanno anche parecchio dietro, quindi evviva.