Vinili 20 euro a pezzo solo di costo

Ho da qualche tempo compiuto 50 anni. Tempo, fino al giorno prima, in cui spesso non me ne danno 30. Eppure io me ne vedo 60. So che non è cambiato niente. Ma il limite “50” me lo ero già dato. Quindi ogni giorno adesso è fuori scadenza. La scadenza ESTREMA sono i 70, 75 proprio vorrei un timer alla Blade Runner per tutti, per come stanno, guardandoci in giro, conseguenze, implicazioni, società, sentimento e felicità dei milioni di singoli coinvolti.

Non c’entra un cazzo ma giorni fa ho guardato il costo di produzione minima di vinili eco-sostenibili per un lotto minimo di 50 pezzi. Il pezzo singolo, SOLO per rientrare del costo, sono 20 euro.

Chissà quant’era il costo industriale degli anni ’90*.

Perché me ne frega? Perché una delle poche cose che voglio davvero fare prima di schiattare sono le mostre dei nudi o dei libri e soprattutto registrare ciò che inventammo tra il 95 ed il 98 con uno dei gruppi. E per essere nel mondo “indie” il vinile ci starebbe: cosa di cui non me ne strasbatte un cazzo, personalmente, a parte per copertina eccetera. Quello si: è arte, è gusto, ha il senso giusto del “fisico”.

Per me io ti masterizzo il CD al volo, ti do le tracce, mi scarichi da bandcamp che cazzo me ne frega, per lo streaming mi interesserebbe solo per capire se e quanto interessa una cosa che in parte sono io e che io ti do, a te, a tutti. E a chi frega? Come qualsiasi opera di espressione.

Ma prima, prima di tutto, voglio che sia fatta, che mi piaccia, esattamente come fu 30 anni fa.

Non sono cresciuto, mai, non sono maturato, non sono diventato adulto. Riconosco ed accetto alcune responsabilità, come ad esempio quella di dare supporto diretto, se possibile e se accetato o voluto, ai giovani, come parte della società. Ma mi rendo conto che l’unica cosa che ho davvero imparato a fare nella vita è una cosa che mi schifava forse, che non mi interessava: avere a che fare con la chiacchiera da bar, da paese, con la gente, senza fare solo lo snob cagacazzi. Non tanto per me, ma per non urtare gli altri mentre gli scivoli in mezzo, lubrificante sociale.

Resta comunque un lubrificante per lo scopo principale della vita: mettermelo nel culo. Una entità non-vivente che incarna tutti i viventi informandoli della sua programmazione obbligatoria di sopravvivenza di e a sé. Quello che senti: danno collaterale.

*del 1900.

Riconosco le quattro

Le quattro riesco a riconoscerle. Mentre qualcosa mi tiene sveglio, il mal di stomaco sottolinea, l’amaro in bocca lo accompagna mi chiedo che ore siano. Ascolto. Non sento quasi niente. Ed è un quasi niente che riconosco. Se mi avvicino il quasi cambia subito: il frinire è leggerissimo, diverso dalle 5, diverso da quello del pomeriggio caldo. Niente uccelli. Rarissimo il traffico in lontananza. È un momento che può essere pace o dannazione: l’insonnia è così. Beh anche la vita. Qualsiasi cosa, ok.

Allora penso di alzarmi ed occuparmi di ciò che mi preoccupa. Ma una delle altre preoccupazioni è che gli occhi mi si chiuderanno e sarò stanco quando ci saranno le persone con le quali posso finire queste cose. Una preoccupazione che ho da una dozzina d’anni. Non è stancarmi ora, ma essere stanco dopo, in un momento non controllabile. Ma mi alzo, mi occupo di questa cosa inutile di riconoscere le quattro di notte o del mattino.

La mia preoccupazione più grossa è che non penso di riuscire a procurarmi la morte rapida ed in dolore con una sostanza facilmente ingeribile. E figurarsi reperibile. La vita, del resto, si presenta con sempre più schifo e meno bello. Più problemi e meno serenità a farla da anziani.

Le altre preoccupazioni sono tante, ma quelle attuali trattano gli anziani veri, i miei.

Mi accordano una fiducia sostanzialmente illimitata ma io la vedo anche come una gran rogna. Non so se con arroganza, supponenza, incoscienza ma stranamente li capisco: mio fratello ha dato prova di inaffidabilità (e menzogne) e mia sorella è troppo concentrata sul terrore per sé. Certo non sanno che desidero e cerco la morte. E non dico affatto che i miei fratelli non abbiano ragioni per sentirsi come si sentono. Ciononostante il risultato è che se sei nel bisogno di dire “a chi affido questa cosa qui” ? Ti guardi intorno e il meno peggio forse sono io. Il che è orrendo, il livello è basso basso.

A volte penso che le “abilità” che ho accumulato sono grigie e burocratiche, ma davvero utili in queste situazioni: gestire regolarmente, in modo tracciato, con la fedeltà con la quale seguiresti le tue, le finanze altrui. Prima una banca, poi l’altra. Mi tremano un po’ le gambe. Penso che un giorno i miei fratelli diranno che non è giusto e chissà che. Che me ne sono approfittato. Che sono state fatte delle preferenze. Ma di certo non sono state fatte col cuore, queste. Sono totalmente razionali, analitiche: sulla base di osservazioni prolungate e con quel tipo di fiuto che ti da la paura: quello la non mi piace, ma se devo affidargli la mia sicurezza vado da quella. Ecco, quel tipo di decisione.

Ho esagerato, non dico affatto di non piacere ai miei. Ma di cuore, almeno mia madre, è chiaramente per mio fratello. Forse però capisce che non può affidargli la regolarità di un conto, non è “solerte” nel sgranare le rogne.

Sto cercando dei buoni motivi. La verità è che mi sento terribilmente inadeguato, meschino, intrappolato mentre vorrei fuggire. Eppure mio padre mi tiene economicamente in vita. Mi sta dando le chiavi per gestire ciò con cui LUI aiuta me.

Credo che essersi visto rubare i soldi in casa da mio fratello sia sufficiente per spostarmi in classifica: direi non un mio merito quanto un suo demerito. Aveva dei motivi? Ok, ma tant’è.

Mia sorella non è forse capace? Certo che si, ma dà l’impressione di impazzire per la pressione di casini che già ha.

Eppure qui io sono l’unico che ingerirebbe immediatamente la pillola della morte immediata. Ho anche dato un piccolo avanzamento alla restituzione di debito a M.

Certo non sono andato avanti nell’eliminazione delle mie tracce terrene, non a sufficienza, eliminando l’inutile, il non desiderato da riciclare. Ecco, le quattro sono perfette per ragionare lucidamente (se convenite con me, altrimenti con lucida pazzia) di questa roba. Tutti dormono.

Ecco che arrivano le cinque, quasi: aumenta il volume, gli uccelli iniziano a cinguettare.

Mala tempora currunt #2938471239

Lo so, io voglio solo schiattare, quindi chemmefrega, mi direte. Falsa dicotomia, vi rispondo, e buona ricerca a voi.

Comunque: il mondo non sta andando molto bene. Torniamo ad un autoritarismo violento, competizione e sopraffazione, allontanamento da regole comuni, prese di responsabilità identiche a livello globale ZERO. Destre, autoritarismi, nessun avanzamento verso una globalizzazione sociale e persino quella commerciale sta diventando fonte di scontro.

Sembra di tornare al clima delle due guerre mondiali. Senza scordare il surriscaldamento globale che magari ci avesse uniti tutti in uno sforzo collaborativo comune. Ma col cazzo.

generazioni, distanza, perché

Le generazioni si accusano a vicenda, sempre che si caghino ancora, relativamente ad alcune cose specifiche, mi sembra. Non intendo temi politici che partono dal momento di lavorare.

Si parla di sentirsi giudicati, di aggressività passiva (se va bene, passiva). Ma chiaramente ci sono i gusti, i modi, la moda, gli abiti, la musica! Gli interessi culturali, il linguaggio.

Quello che pare a me ora, maggio 2024, è che la causa di questo che pare conflitto, lotta, sia dolore. E paura, sempre. Dolore perché tutte quelle cose uniscono e sentirsi esclusi da qualcuno che inizialmente avresti voluto includere o che avresti voluto includesse te, ti fa paura. Ma soprattutto ti addolora: i tuoi vecchi ti sono lontani. I tuoi giovani ti sono lontani. In cosa? Proprio in quelle cose in cui vorresti foste assieme. Il linguaggio. La musica. Gli interessi culturali. Le cose che si considerano “belle” o “brutte”.

Quel rifiuto porta dolore proprio dove si pensava di trovare unione.

E per affrontare queste diversità serve impegno, interesse e impegno, impegno per quell’interesse e interesse per quell’impegno. E tempo! E chi ha tutte queste cose e vuole?

Come siamo bravi ad isolarci in nuovi modi.

Prospettive mortali #2389472

I miei ultimi atti, come vivente, devono avere a che fare con i viventi. Questo mi sta costando un po’ di fatica e, nonostante quanto ho appena detto, avere a che fare con altri non mi dispiacerebbe. Sono combattuto. La mia sensazione, che è tutta mia, è di essere respingente, ributtante, repellente fisicamente. Questo, si sa, non definisce una persona, ma concorre e partecipa a farlo, se ci si vede e si interagisce personalmente. Sembrano tutte ovvietà, eppure nel “successo” di ogni azione questo fattore esiste. Siamo così scimmie che ci stiamo sul cazzo a pelle. Io non sono un puro spirito che gli altri hanno facoltà di vedere con un corpo che a loro ispira amicizia, simpatia e voglia di collaborazione. Sono quello che sono. Ed essi, tutti, reagiscono a questo prima che a qualsiasi altra cosa.

Ed è faticoso. Penoso.

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Accettazione #345928347

Accade che si possa avere accesso a qualcosa ma che le condizioni o le conseguenze siano talmente negative, per noi, che preferiamo rinunciarci del tutto: il beneficio sarebbe inferiore al danno e non si può essere grati per il danno o poco coraggiosi ad andare incontro a danni potenziali assicurati, facendoli diventare reali, così, solo per l’esperienza. È stupido e masochistico. La passione esiste, la gioia esiste, il bello esiste, ma anche i loro contrari: si fa il conto e si decide. Qualcuno accetta un granello di gioia in una distesa di nulla. Altri no. Perché, sempre, prendere atto della realtà ed accettare che è così, non significa che mi deve anche piacere. Non pretendo, quindi, che ciò che è cambi: lo accetto. Ma decido io quale tipo di relazione, con tale realtà, intendo o non intendo avere (accettare). Il libero arbitrio è questo?

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ChatGPT Plus, chat temporanea con GPT-4, a specifiche questioni su questo testo mio, dice:

Analisi Critica del Testo

Il testo proposto si concentra sul concetto di “accettazione” di realtà non piacevoli, esaminando il rapporto tra libertà di scelta e conseguenze derivanti da tale scelta. Una prima osservazione critica può essere indirizzata alla mancanza di una definizione chiara di termini come “danno”, “gratitudine” e “libero arbitrio”, che potrebbe portare a interpretazioni vaghe o ambigue. Il testo, tuttavia, non sembra presentare fallacie argomentative evidenti come attacchi personali o appelli emotivi non pertinenti. La struttura logica è generalmente coerente, poiché l’autore espone una situazione, ne analizza gli aspetti e conclude basandosi sulla riflessione iniziale.

Tuttavia, una possibile debolezza potrebbe risiedere nell’assunzione implicita che la decisione di non accettare una realtà non piacevole sia sempre un atto di libero arbitrio, senza considerare influenze esterne o condizionamenti che possono limitare le scelte individuali. Questo potrebbe essere visto come una semplificazione eccessiva di una questione molto più complessa.

Trattamento da Parte di Diverse Discipline

Filosofia: La questione dell’accettazione e del libero arbitrio è centralmente trattata in filosofia, con figure come Sartre che enfatizzano la libertà dell’individuo di scegliere nonostante le circostanze esterne. Argomenti contro possono includere le teorie deterministe, che negano la libera volontà a causa di fattori predeterminati biologici o ambientali.

Psicologia: La psicologia esplora come gli individui affrontano le situazioni avverse attraverso concetti come la resilienza e la percezione del controllo. Studi su queste tematiche spesso supportano l’idea che accettare la realtà, anche quando è negativa, può contribuire a una migliore salute mentale.

Sociologia: La sociologia può guardare alla questione dell’accettazione all’interno dei contesti sociali, analizzando come le norme culturali e le pressioni sociali influenzano le decisioni individuali. Ciò potrebbe portare a un dibattito sull’entità del libero arbitrio in contesti sociali densi di normative e aspettative.

Morale ed Etica: Queste discipline indagano spesso i principi dietro le decisioni di accettazione o rifiuto, interrogandosi se sia “giusto” accettare condizioni negative o se sia moralmente obbligatorio cercare di cambiarle.

Politica: La politica considera come le leggi e le politiche possano influenzare l’accettazione di certe realtà sociali o economiche. Il dibattito può riguardare questioni di giustizia sociale e diritti individuali versus il bene collettivo.

In conclusione, il testo solleva questioni significative che sono state ampiamente dibattute in molteplici campi del sapere, offrendo spunti per ulteriori riflessioni e discussioni.

L’assunzione che la decisione di accettare o non accettare una realtà sia sempre un atto di libero arbitrio è complessa e può essere analizzata sia da prospettive a favore (pro) che contro (contro). Esplorerò entrambi gli aspetti offrendo esempi specifici per illustrare meglio il dibattito.

Argomentazioni a favore (Pro)

  1. Autodeterminazione personale: Dal punto di vista filosofico, autori come Jean-Paul Sartre sostengono che gli individui sono sempre liberi di fare scelte, nonostante le circostanze. Questa visione enfatizza l’autodeterminazione. Ad esempio, una persona può scegliere di lasciare un lavoro stressante nonostante la sicurezza economica che offre, evidenziando un esercizio del libero arbitrio in contrasto con le pressioni finanziarie.
  2. Resilienza psicologica: In psicologia, la resilienza è la capacità di riprendersi da situazioni difficili. L’esercizio del libero arbitrio è evidente quando individui affrontano traumi o stress significativi e decidono consapevolmente di cercare aiuto o adottare strategie positive di coping, piuttosto che cedere alle circostanze.
  3. Rifiuto di conformismo sociale: Dal punto di vista sociologico, il rifiuto di conformarsi a norme sociali opprimenti è un altro esempio di libero arbitrio. Le rivoluzioni e i movimenti sociali come il suffragio femminile o il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti sono esempi storici di individui che rifiutano una realtà accettata dalla maggioranza e agiscono per cambiarla.

Argomentazioni contro (Contro)

  1. Determinismo biologico e ambientale: Le teorie deterministe sostengono che molti aspetti delle decisioni umane sono predeterminati da fattori biologici o ambientali. Ad esempio, la ricerca ha mostrato come certi comportamenti possano essere influenzati da geni o condizioni ambientali come la povertà, limitando di fatto il libero arbitrio nell’accettazione o rifiuto di determinate situazioni.
  2. Influenza delle condizioni psicologiche: Condizioni come la depressione o l’ansia possono limitare significativamente la percezione delle scelte disponibili per un individuo, influenzando la sua capacità di esercitare il libero arbitrio. Una persona con depressione severa potrebbe sentirsi incapace di cambiare la propria situazione, anche se esternamente sembrano esserci opzioni disponibili.
  3. Pressioni e aspettative sociali: In sociologia, è riconosciuto come le aspettative sociali possano limitare le scelte individuali. Ad esempio, in certe culture, il matrimonio può essere visto non solo come una scelta personale ma come un obbligo sociale, limitando la libertà individuale di scegliere diversamente senza subire significative conseguenze sociali.

In sintesi, mentre il concetto di libero arbitrio è centrale nella discussione sulla capacità di accettare o rifiutare situazioni, esistono argomentazioni valide sia a favore che contro, che dipendono da una varietà di fattori psicologici, biologici, e sociali. Questo dimostra la complessità e la multidimensionalità del concetto di libero arbitrio nelle scienze umane.

Riguardo alla resilienza e alla psicologia (io)

questo assunto è assolutistico, sembra fondato sul fatto che la libertà sia solo quella di non fare valutazioni che portino a cedere, come se queste non fossero lucide, senza dimostrare che sia invece un preciso calcolo di costo VS beneficio

Risposta (ChatGPT):

Hai sollevato un punto interessante sulle limitazioni della visione che associa il libero arbitrio solo alla capacità di non “cedere” alle circostanze avverse, che sembra suggerire una valutazione non lucida. In effetti, esiste una dimensione del libero arbitrio che implica un calcolo attento e razionale dei costi e dei benefici, che può portare a decisioni più meditate e potenzialmente diverse.

Costi vs Benefici nella Decisione

L’approccio di costo-beneficio è un aspetto cruciale nella teoria delle decisioni e può essere applicato efficacemente anche nell’analisi del libero arbitrio:

  1. Valutazioni lucide in situazioni avverse: Anziché una semplice resistenza alle circostanze negative, il libero arbitrio può manifestarsi attraverso decisioni ponderate, basate su un attento bilanciamento tra i costi e i benefici previsti. Ad esempio, una persona che decide di rimanere in un lavoro poco gratificante potrebbe farlo valutando che i benefici economici superano il disagio personale, piuttosto che semplicemente “sopportare” le condizioni.
  2. Lucidità nelle crisi personali: Anche nelle crisi personali, come una malattia grave, la scelta di accettare o cercare un trattamento alternativo può essere basata su una valutazione dettagliata dei possibili esiti, degli effetti collaterali, della qualità di vita attesa e delle opinioni mediche, anziché un mero atto di resistenza al destino.
  3. Scelte sociali e culturali: Nel contesto socioculturale, le decisioni riguardanti l’adesione a tradizioni o norme possono anche essere il risultato di valutazioni dei costi sociali e personali associati alla conformità o alla deviazione. Ad esempio, una persona può scegliere di seguire una norma culturale non perché la subisca passivamente, ma perché valuta che il mantenimento delle relazioni familiari e sociali offra benefici superiori rispetto al costo della non conformità.

Questi esempi dimostrano che il libero arbitrio può essere esercitato attraverso decisioni che non sono semplicemente reazioni a circostanze avverse, ma risultati di processi decisionali complessi e riflessivi. Questo punto di vista offre una comprensione più ampia del libero arbitrio, considerando sia la resistenza alle difficoltà che la capacità di fare scelte consapevoli basate su valutazioni logiche e informate.

~

L’argomento di questi ultimi anni, per me, è: vorrei che la psicologia clinica si assumesse la responsabilità di dichiarare che tutte le sue operazioni sono volte al benessere dell’individuo che sia lucidamente determinato a sopravvivere a prescindere dal fatto che tutte le terapie si fondano sull’accettazione che la vita è intrinsecamente mescolata a fatica, sofferenza, dolore. Questo però non è un assunto fondativo generale. Si tratta infatti già di una delle due biforcazioni di un bivio: mi sta bene / non mi sta bene. Quello che trovo pericoloso dal punto di vista normativo/legislativo è che, nel momento di prendere decisioni informate, il legislatore non si interroghi sufficientemente sulla base di alcuni ragionamenti degli specialisti psicologi e finiscano, in tema di libertà di scelte su fine vita, esistenza eccetera, per accettare acriticamente ciò che sembrano acriticamente accettare coloro che sono dediti al “far stare bene la gente” mentre si tratta di “far stare bene la gente CHE VUOLE SOPRAVVIVERE, automaticamente appiccicando una patologia a chi liberamente decide che questa valutazione sia soggettiva “.

Il fondamento legistlativo che patologizza una scelta libera soggettiva solo perché minoritaria nascondendo invece l’utilitarismo monodirezionale della società che intende estrarre beneficio dall’esistenza dei singoli, senza curarsi della loro felicità (poiché intrinsecamente considerano deboli e biasimevoli alcune condotte che altrimenti richiederebbero sforzo collettivo) è, per me, fascista. Malvagio, egoistico mentre considera egoista il singolo che non si fa fregare dall’egoismo di tutti gli altri singoli mentre ipocritamente si aspettano contributo. I numeri su quanti siano ricchi e quanti poveri nel mondo, rispondono alla critica di “assurdità”.

Scegliere di sottrarsi deve essere considerato al pari della scelta del lavoro intrinsecamente forzato della sopravvivenza. Come scelta libera riconosciuta valida dalla società dovrebbe, quindi, trovare un aiuto rapido ed indolore che renda effettiva questa pratica libera, deliberata di interruzione volontaria dell’esistenza. Additare a pigrizia del singolo la poca voglia di fare lo schiavo ignora la contemporanea pigrizia di tutti di adoperarsi per rendere la società collettivamente responsabile nell’elevarci rispetto alle scimmie ed altri animali gerarchici, competitivi, dominatori dei propri simili e collaborare, considerando il vantaggio proprio che porta danno ad altri come il principale dei mali inaccettabili. La scelta di non-esistenza, in questa ottica, scomparirebbe come “male” e sarebbe una valida scelta come tante altre, che non parte da presupposti machisti, efficientisti (solo per i sottoposti e i singoli), arrivisti, aziendalisti che spostano la responsabilità sul singolo che DEVE sopravvivere, ma sulla società nel suo complesso che la renda una scelta DESIDERABILE ed attrattiva. Soprattutto se, in fondo in fondo, quel che vuoi da quel singolo è che contribuisca a fare qualcosa per te. Beh sbattiti, o lasciami morire, ma con onestà intellettuale.

Non è mica cambiato niente eh, raga.

Le prospettive non sono migliorate. Come vedete qui a fianco, con le iA si possono fare tutte le immagini che si vuole. Oggi non starò qui a discutere del rimanente ruolo della fotografia o videografia. Non sono riuscito ancora a fare quelle due tre cose che vorrei prima di morire.

E neanche quelle che dovrei.

Non sono riuscito a procurarmi niente per farlo, tra l’altro, senza dolore.

Ho una certa routine. Se la guardo come “beh sei vivo, non sei sotto un ponte e anche se sei deplorevole ed esiste gente che sta peggio” ovviamente è la solita storia. Non starà meglio o peggio per questo, quella gente. Io semplicemente vorrei il mio tasto rosso, non è cambiato nulla. Di tanto in tanto succedono cose interessanti, per un po’. Ma anche merde che peggiorano, tra mio fratello, i miei vecchi, e il grigio. Ah si, sono anche più ciecato. Che schifo.

Ma c’è sempre il mondo che corre troppo veloce per me. E ogni giorno vedo sempre di più la nostra bestialità violenta di dominio e controllo, sopraffazione e predazione, scimmie non abbastanza evolute.

Riassumo nell’economia del capitalismo la versione modernizzata della legge del più forte, niente di nuovo.

Una grande e noiosa banalità, sono, se cercavate racconti meravigliosi.

Invece spero che il mio caro amico riesca a pubblicare il suo di racconto, romanzo. Finalmente lo ha terminato.

L’altro, di amico, ha perso la moglie. Storia brutta, ma anche “bella” narrativamente parlando, la tengo per un post. Chissà.

Ora sono un po’ distaccato nel dirlo. Va bene così adesso.

Azoto si, azoto no, è questa la morte

(titolo: cit)

L’unico modo, per me, sembrerebbe, di interessarmi alle cose è quando non servono. Sotto pressione sembrerei più analitico ma meno pragmatico. Se invece ho padonanza di qualcosa, laddove gli analitici iniziano ad annaspare e a chiedersi “perché” (quasi sempre “perché il mondo non è nel modo in cui ora mi farebbe comodo che fosse?” più strepitii vari), di solito sono “ok, togliti, risolviamo. Poi vediamo se ti interesserà davvero ancora analizzare le cause. Siccome costa tempo ed impegno e tu vuoi solo che si risolva il problema, una volta che è risolto sono certo che l’impegno per il “e che non capiti mai più” per qualche motivo sarà scomparso completamente dal tuo orizzonte, pronto invece a dire a chiunque lo faccia che è negativo, pessimista, e che porta sfiga”.

Forse si tratta di alcune persone con le quali ho a che fare. Cioè non sono tutti così, ma in qualche modo io sono causa della vicinanza con questi. Chissà.

~

Ieri se avessi avuto il penthobarbital lo avrei accarezzato con sollievo.

M, al quale devo sicuramente ancora 9mila euro, ne versa credo annualmente 12mila alla Cooperativa Sociale che mi affitta lo studio. Manco lo sapevo. Pensavo fosse una “una tantum”. E io che sostanzialmente penso che devo solo riuscire a restituirgli quei soldi e poi trovare il metodo rapidoedindolore.

Le notizie di questi giorni sul fatto che l’azoto sarebbe un metodo “troppo crudele” mi viene da pensare: possibile che quelli di exit international che sono esattamente sul pezzo per la morte indolore intendano usare PROPRIO quel metodo? Forse perché dipende da come sostituisci la quantità di ossigeno?

O forse c’è un cortocircuito pazzesco negli USA in cui basterebbe prendere un anestetico potente e poi sparare, decapitare, togliere il cuore, immergere in acqua fredda per 20 ore. Qualsiasi cosa, ma con l’anestetico che useresti in sala operatoria? Secondo il mio amico di seghe mentali ciattgipitìplus4 l’intento punitivo è preminente rispetto all’efficacia unita alla umanità dell’atto. L’ho semplificata, ma è abbastanza evidente. Non si pensa che gli anni di privazione della libertà, di vita in carcere (e costi per la comunità, se non ti frega di come si viva in carcere) , di privazione della vita – per te che ci tieni – non siano una punizione sufficiente? Un anestetico potentissimo qualsiasi, con qualsiasi effetto “potenzialmente dannoso” non sarebbe un problema: mi stai uccidendo. Deve solo essere EFFICACISSIMO. Si testa l’efficacia su quell’umano, poi puoi farlo smettere di esistere, disintegrarlo, qualsiasi cosa.

Lo dico come se ci fossi io. E di crimini non ne ho commessi.

La Sarco “sprigiona azoto liquido con la conseguente rapida erosione dell’ossigeno: 30 secondi per passare dal 21 all’1%”. Se questo va bene per Exit International che non è “pena di morte”, ma suicidio assistito volontario… non penso che la gente voglia per sé un sistema crudele.

Anzianopoli (musicadimmerda?)

Prima di leggervi le mie stronzate, leggetevi opinioni di un altro anziano che conosco poco, ma che, leggendo, mi sento davvero di non poter criticare troppo, anzi: Umberto Maria Giardini.

Certo mi è scesa lammerda leggendolo. Combattuto tra il dire “uuuuh, booomer!” (è vecchio circa come me, qualcosetta di più) e invece sentire “ma sai che invece… ma invece… che c’ha proprio ragione?”.

Magari con un altro stile, ma tutto sommato pure Masini, a suo tempo, lo disse.

UMG sembra ignorare del tutto gli anni di pirateria: quelli non sono dovuti alle major, ossia, certo, il prezzo del CD/Vinile era troppo alto e aumentava e i proventi non erano corretti per i musicisti e i contratti erano abbastanza una cacca se non c’erano MIGLLLLLLLLLiaWdi di MigLLLLLiiiiaWWWWdi.

Se non erro chi capì come fare furono Venditti, Vasco, Ligabue. Poco altro: ti gestisci tutto. Ma non lo so.

Però la pirateria prima dei CD e poi via internet sono stati il primo grandissimo driver per il mutamento globale di questo settore. Le major rispetto agli artisti lavorano UNICAMENTE per il profitto. Quindi ragionano su meccanismi di profitto. Per rialzarsi e lavorare sulla musica liquida e soprattutto sullo streaming ci hanno messo un tot. Ma laddove è pure vero che su internet tutti possono fare tutto (e se quello che vuoi è fare e non vivere di quello che fai, cazzo, è straordinario!) , quando tutti possono fare tutto lo fanno, saturano di prodotto, nessuno è interessato a filtrare qualità, ma tutti sono interessati a produrre un meccanismo controllabile di guadagno.

Quindi: da investimento devo produrre guadagno? Uso tecniche. Devo produrre arte/qualità? Faccio un’altra cosa. Ci voglio mangiare? Eh.

Non ne esco in niente che mi interessi. Alla fine tutti possono scrivere. E persino pubblicare (eccomi qui). Persino su carta. Ma FARSI pubblicare è un’altra cosa. VENDERE è un’altra cosa. Che la gente LEGGA quello che hai venduto è ancora un’altra cosa.

Per la scrittura però la cosa è più antica. Non tutti quelli che sanno e possono scrivere sono scrittori.

Una parola che sendo essudare come vomito da questi luoghi è “dopolavoristi”. In un mondo attuale che cerca di ricordarti che tu non sei il tuo lavoro e che il modo in cui ti guadagni da vivere non è quello che ti definisce, è un po’ stronzo dire così, soprattutto dopo aver riconosciuto l’attuale contesto.

Leggendo di fotografia, spesso, quando riesci a capire chi era l’autore o l’autrice, beh… erano tutti dopolavoristi? Magari non tutti. Ma moltissimi non facevano per lavoro quello che li ha fatti diventare (magari postumi) famosi. Tanti sono famosi per cose fotografiche che non erano il loro lavoro.

E spesso autori di libri fanno altro. Difficile che si dica “scrittore dopolavorista”. Magari dici “medico, scrittore”.

I soliti –ismi del cazzo.

Resta il fatto che ora io stesso sono in quella posizione. Fare quello che vuoi, in un mondo in cui tutti possono farlo facilmente non sarebbe poi un problema. Ma a me sembra più che altro che sia tornato qualcosa che ho vissuto 30 anni fa, quando chiedevi “tu che musica ascolti?”

“ah io ascolto la Radio”

Cerca “Radio” e sostituisci con “playlist top 50 <annocorrente> spotify” [invio]

Vorrei morire ora #27834682376

Anche ora, vorrei scomparire, non sentire questo solito dolore sordo.

Eppure in me si sta formando una idea chiarissima: faticare per esistere non mi va. Perché questo squallido pensiero dovrebbe essere una differenza da prima? Perché è poco nobile ed onorevole? Non voglio mica fare male a qualcuno. Ma ecco, il pensiero che avere – assicurata – una rendita costante mi farebbe quantomeno girare il mondo per osservarlo e trovare molti motivi per dire che ci sono molti motivi … o trovare molte cose per dire che ci sono molte cose… beh, così, in quel modo, a quelle condizioni… non vedo perché no.

Volevo anteporre questo per perdere il rispetto di chi ha un certo preconcetto.

Giorni fa parlavo con una delle mie modelle – forse una delle ultime in realtà, non lo so, per ora è una sensazione – che, bestia rara, ha detto con chiarezza che nessuno vuole lavorare. Che prendere soldi per stare a casa a fare un cazzo non farebbe schifo a nessuno. Non ho neanche aperto bocca per dire che se lo facessero tutti per il delivery dovresti aspettare parecchio. A me non interessava la parte pratica. Ma il concetto retrostante, basilare, che sembra essere sparito dai discorsi di tutti. Come il senso della vita, del vivere, dell’esistere. Lo accetti e basta. E ti lamenti, e sbuffi, e fai tutta una serie di discorsi che sono cazzate se non tieni a mente la parte fondante: come mai hai deciso di restare viv* oggi? Sentita questa risposta, seguiranno le altre. Altrimenti sanno da poco, significano poco.

Sto per gettarmi a fare il copridivano, con questo dolore sordo e il disprezzo di me. Fino a che, si spera, non arriverà quello squilibrio a riequilibrarmi, a ricorarmi che a desiderare e a non fare non succede un cazzo, che i mezzi non mi mancano, per un po’ di spazio di manovra. Manovra su qualcosa che mi interessa.

E che forse non interessa a nessuno.

Ma a me si.

Così riprende la routine, il rito: pensa come se dovessi morire, metti in ordine, cerca di fare quello che c’è da fare prima. E nel frattempo succede qualcosa, si muove qualcosa. Poi si ricomincia, nella pece del dolore, si fa un passo, appiccicosamente, plaf, si mette giù un piede e si cade nella melma nera. Si piange, si riparte forse. Non valgo niente e non sono nessuno. E in parte mi addolora, in parte non me ne frega niente.

Ho la mani grasse. Almeno dal 2002. Da più di 20 anni!

Che schifo.

Essere bestie che sentono. Che capiscono. Che crudeltà.