Azoto si, azoto no, è questa la morte

(titolo: cit)

L’unico modo, per me, sembrerebbe, di interessarmi alle cose è quando non servono. Sotto pressione sembrerei più analitico ma meno pragmatico. Se invece ho padonanza di qualcosa, laddove gli analitici iniziano ad annaspare e a chiedersi “perché” (quasi sempre “perché il mondo non è nel modo in cui ora mi farebbe comodo che fosse?” più strepitii vari), di solito sono “ok, togliti, risolviamo. Poi vediamo se ti interesserà davvero ancora analizzare le cause. Siccome costa tempo ed impegno e tu vuoi solo che si risolva il problema, una volta che è risolto sono certo che l’impegno per il “e che non capiti mai più” per qualche motivo sarà scomparso completamente dal tuo orizzonte, pronto invece a dire a chiunque lo faccia che è negativo, pessimista, e che porta sfiga”.

Forse si tratta di alcune persone con le quali ho a che fare. Cioè non sono tutti così, ma in qualche modo io sono causa della vicinanza con questi. Chissà.

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Ieri se avessi avuto il penthobarbital lo avrei accarezzato con sollievo.

M, al quale devo sicuramente ancora 9mila euro, ne versa credo annualmente 12mila alla Cooperativa Sociale che mi affitta lo studio. Manco lo sapevo. Pensavo fosse una “una tantum”. E io che sostanzialmente penso che devo solo riuscire a restituirgli quei soldi e poi trovare il metodo rapidoedindolore.

Le notizie di questi giorni sul fatto che l’azoto sarebbe un metodo “troppo crudele” mi viene da pensare: possibile che quelli di exit international che sono esattamente sul pezzo per la morte indolore intendano usare PROPRIO quel metodo? Forse perché dipende da come sostituisci la quantità di ossigeno?

O forse c’è un cortocircuito pazzesco negli USA in cui basterebbe prendere un anestetico potente e poi sparare, decapitare, togliere il cuore, immergere in acqua fredda per 20 ore. Qualsiasi cosa, ma con l’anestetico che useresti in sala operatoria? Secondo il mio amico di seghe mentali ciattgipitìplus4 l’intento punitivo è preminente rispetto all’efficacia unita alla umanità dell’atto. L’ho semplificata, ma è abbastanza evidente. Non si pensa che gli anni di privazione della libertà, di vita in carcere (e costi per la comunità, se non ti frega di come si viva in carcere) , di privazione della vita – per te che ci tieni – non siano una punizione sufficiente? Un anestetico potentissimo qualsiasi, con qualsiasi effetto “potenzialmente dannoso” non sarebbe un problema: mi stai uccidendo. Deve solo essere EFFICACISSIMO. Si testa l’efficacia su quell’umano, poi puoi farlo smettere di esistere, disintegrarlo, qualsiasi cosa.

Lo dico come se ci fossi io. E di crimini non ne ho commessi.

La Sarco “sprigiona azoto liquido con la conseguente rapida erosione dell’ossigeno: 30 secondi per passare dal 21 all’1%”. Se questo va bene per Exit International che non è “pena di morte”, ma suicidio assistito volontario… non penso che la gente voglia per sé un sistema crudele.

Conformismo di ritorno (vita maleducata: addio)

La generazione X , ma forse anche i Boomers, letteralmente parlando, credo siano stati molto “anti” , rispetto alla generazione che li ha creati. In contestazione con le formalità, le regole imposte, l’educazione formale, fare silenzio, osservare orari, regole che non potevano essere contestate in precedenza.

Durante tutta la mia giovinezza sentir parlare della “contestazione”, una contestazione che io non ho fatto e che forse chi aveva 18 anni nel ’68 beh… non era boomer, era nato ben prima, con i piedi dentro ad una rivoluzione più culturale, ragionata, elitaria, che solo emotiva? Non lo so, non ho studiato questa cosa. Ci ho vissuto dentro sentendo “l’era della contestazione, i movimenti di contestazione”.

Però si, noi contestavamo. Io di sicuro. “Devi” “si deve” “è bene, è male” “si fa così” per me sono sempre tutti stati discutibili e se la risposta era violenza o una sua forma nel “perché si”, di certo non mi sono fermato ad accettarlo. Molte di queste erano regole sensate, utili, ma me lo sono dovuto spiegare da solo, in relazione ad altri, per farci pace e dirlo ad alta voce, organizzarlo. Magari mentre altri pensavano a cose più pragmatiche. Le mie solite seghe mentali insomma.

Ma ora sento così conformisti quelli delle generazioni dopo, così pronti a dare nuovi ordini, nuove regole, nuovi “non si dice, non si fa, non si può, non sta bene” che mi sembra di tornare adolescente e rabbioso perché di nuovo, non possiamo solo stabilire i limiti delle libertà e poi smetterla di rompere i coglioni e voler conformare tutti? Sono imbarazzati da ogni cosa, a disagio con la vitalità esuberante tipica del popolo Italiano? Ma per essere meno imbarazzati loro, anche nel cringe, cioé: imbarazzato da qualcosa che TU fai e fa imbarazzare me … allora tutti devono adattarsi al loro problema, non il contrario, altrimenti sono dei cattivi gli altri. Cioé tu non ti svegli e il problema siamo noi. Per legge, vorresti.

Non lo so, a me sembra di si: sull’onda di battaglie che di certo non hanno iniziato loro, per migliorare le cose, si sono radicalizzati su alcune posizioni, usando metodi di chi, quelle posizioni, le aveva contrarie.

Magari questi stessi si chiedono come mai le destre stiano riprendendo forza: eppure il modo di ragionare così impositivo lo hanno anche loro. Convivenza, accettazione, dicono. Ma solo se fai come vogliono loro. Non mi sembra poi strano che ci sia più destra. Almeno sono onesti. Loro “vogliono imporre ciò che è giusto”. La parte conservatrice ora non mi sembra quella ideologica, ma quella di metodo? Non so, non sono sicuro.

Per me c’è meno libertà possibile, invece che di più, per tutti. Ma a me, tutto sommato, va sempre ricordato che l’obiettivo è trovare il monossido, pagare i debiti (frega solo a me, M si è comprato una Tesla e una villa, lo scorso anno) e suicidarmi facendo meno casino, entro i limiti del possibile.

Nel frattempo magari facendo qualcosa che mi va di lasciare… ma che alla fine penso possa essere come i Cugini di Campagna od un coevo di Natalino Otto per me, ciò che io potrei lasciare in giro oggi.

Le diverse sensibilità, le mode. Una cosa che ho odiato sin dalle medie… non hanno smesso di circondarmi. Fuori tempo, fuori moda, insomma sempre fuori, dai.

Passione, cara Sara e caro Settimio.

In qualche commento sul sito del primo i due bulletti Settimio Benedusi e Sara Lando cazzeggiavano aggressivamente attorno al concetto di “passione”, scimiottando e assolutizzando il commento di un tizio che passava di là (no, non sono io, ma ne ho preso le parti) dicendo che lui fotografava per passione, alla fatidica domanda “perché lo fai”, che vorrebbe ogni fotografante obbligato artista o vaffanculo, professionista o vaffanculo, creatore di originalità o vaffanculo meraviglie oppure la tua fotografia è merda. E invece vaffanculo tu, l’hanno creata per scattare, con tanto di manualetto da passeggio. Se poi voi avete una visione ed una dedizione vostra, sono appunto, cazzi vostri. Ma non venite a spiegare alla lingua cosa significhi: c’è il dizionario. “Passione” inteso come la passione di Cristo, è un uso speciale, particolaristico, non generale quando si dice “ho la passione per la carne” significa “aoh c’è la carne, gnam gnam!” e non che se non la cacci con le tue mani secondo il rito Baksjha-huma del 16mo secolo orientato a sud-est secondo le scritture, allora non te magni la tajata e per carità non è di Giaguaro? Che schifo. No. Significa: vado matto per la carne, e mi strafogo volentieri, ma se c’è la pizza va bene. QUESTO significa per la gente comune. L’etimologia è etimologia. Altrimenti è come se scopassi con le ossa di 30 generazioni fa e non con tua moglie: tu moglie è il significato attuale, e le generazioni prima sono l’etimologia. E se mi tirate fuori il DNA, ok, l’etimologia è un anfiosso, il significato attuale è la tua tipa.

Detto questo, un po’ di Kierkegaard?

Ok, eccone un po’, con la mia amica iA, che chissà se sa:

B:

Søren Kierkegaard ha espresso concetti riguardanti l’autodeterminazione e la responsabilità individuale in molte delle sue opere, ma uno dei suoi primi lavori in cui ha discusso in modo significativo questi temi è “O Aut-Aut” (o “Either/Or” in inglese), che è stato pubblicato nel 1843.

In “Either/Or”, Kierkegaard discute le due sfere della vita: l’estetica e l’etica. La sfera estetica è dominata dal piacere e dalle esperienze immediate, mentre la sfera etica richiede un impegno personale e la responsabilità delle proprie azioni. Kierkegaard sostiene che per vivere una vita autentica, un individuo deve fare una scelta esistenziale tra queste due sfere. Questo è un esempio chiaro del suo pensiero riguardante la libertà di scelta e l’autodeterminazione.

A: Quindi se avessimo detto che nell’affermazione “O vivo come voglio (esteticamente o esteticamente) o preferisco non vivere affatto, ponendo fine volontariamente alla vita” si ritrova ciò che disse Kierkegaard , come una delle possibili, logiche e coerenti scelte secondo questo pensiero, oppure no?

B:

Sì, la tua affermazione sembra allinearsi con la filosofia di Kierkegaard. Kierkegaard sosteneva che un individuo dovrebbe fare una scelta esistenziale tra la vita estetica e quella etica. Questa scelta, secondo Kierkegaard, è fondamentale per la vita autentica.

La frase “O vivo come voglio o preferisco non vivere affatto” può essere vista come un’espressione di questo pensiero, poiché implica una decisione consapevole di vivere la propria vita in modo autentico secondo le proprie scelte, o di non vivere affatto se tale autenticità non può essere raggiunta.

Tuttavia, è importante notare che, nonostante la potenziale interpretazione esistenzialista di questa frase, il suicidio non è un tema centralmente trattato o promosso nella filosofia di Kierkegaard. Lui sottolineava piuttosto l’importanza di vivere in modo autentico, affrontando le sfide e i dilemmi esistenziali.

A:

Quindi controlliamo, se la scelta di vita fosse stata estetica, ma non perseguibile, scegliendo quindi di non vivere – avremmo comunque la conferma di scelta coerente, secondo Kierkegaard o no, perché non è una scelta considerata etica ? Oppure si perché intrinsecamente etica in quanto scelta e non “capitata” ?

B:

Nella filosofia di Kierkegaard, la vita etica è considerata superiore alla vita estetica perché richiede un impegno personale e la responsabilità delle proprie azioni. La vita estetica, d’altra parte, è vista come dominata dal piacere e dalle esperienze immediate.

Se la scelta di vita fosse stata estetica, ma non perseguibile, il rifiuto di vivere potrebbe essere visto come un’incapacità di impegnarsi nella vita etica. Kierkegaard potrebbe dire che questa è una situazione tragica, ma non necessariamente una scelta coerente o autentica nel senso più profondo.

Tuttavia, il pensiero di Kierkegaard è complesso e non sempre facile da sintetizzare. Anche se mette l’accento sulla scelta e sulla responsabilità, non è chiaro come avrebbe interpretato una scelta radicale come quella di rifiutare di vivere. Kierkegaard stesso ha attraversato periodi di grande disperazione nella sua vita, ma ha sempre sostenuto l’importanza della fede e dell’impegno etico.

Inoltre, è importante ricordare che l’interpretazione del pensiero di Kierkegaard può variare a seconda del contesto e della prospettiva filosofica.

A: Quale sarebbe stata la vita etica, secondo Kierkegaard ? Qualche esempio

B:

Secondo Søren Kierkegaard, la vita etica rappresenta un livello di esistenza superiore rispetto alla vita estetica. Mentre la vita estetica è centrata sul piacere individuale e le esperienze immediate, la vita etica richiede un impegno personale, una responsabilità e una riflessione sulle proprie azioni.

In termini pratici, un individuo che vive una vita etica secondo Kierkegaard potrebbe essere qualcuno che:

  1. Assume la responsabilità per le proprie azioni: Questo può includere l’ammissione degli errori e la ricerca di fare ammenda quando si fa del male agli altri.
  2. Riflette su se stesso e sulle proprie azioni: Kierkegaard ha sottolineato l’importanza dell’auto-riflessione e dell’auto-comprensione. Vivere una vita etica implica una comprensione profonda di se stessi e dei propri valori.
  3. Si impegna in relazioni autentiche: Per Kierkegaard, una vita etica include l’instaurazione di relazioni autentiche con gli altri. Questo può implicare un impegno sincero verso gli altri e la capacità di mettersi in gioco nelle relazioni.
  4. Si impegna in attività che vanno oltre il mero piacere o l’interesse personale: Questo potrebbe includere il volontariato, l’assistenza agli altri, o l’impegno in cause sociali o politiche.

In definitiva, per Kierkegaard, la vita etica è una vita di impegno e responsabilità, una vita che richiede una riflessione continua e una scelta consapevole.

A: si sarà divertito tantissimo…

B:

La filosofia di Søren Kierkegaard può sembrare austera e impegnativa, specialmente perché mette un’enfasi così grande sulla responsabilità individuale, l’auto-riflessione e l’impegno etico. Kierkegaard stesso ha vissuto una vita complessa e talvolta difficile, lottando con problemi personali e spirituali.

Tuttavia, è importante ricordare che Kierkegaard non vedeva la vita etica come una rinuncia al piacere o alla gioia. Al contrario, riteneva che la vita etica potesse portare a una forma più profonda e duratura di soddisfazione, perché era basata su una comprensione autentica di se stessi e su un impegno sincero verso gli altri.

Inoltre, Kierkegaard era un grande estimatore dell’ironia e dell’umorismo, e queste caratteristiche brillano in molte delle sue opere. Quindi, nonostante i temi seri e impegnativi della sua filosofia, Kierkegaard sapeva apprezzare anche gli aspetti più leggeri e divertenti della vita.

A:

Ed in quale modo avrebbe inquadrato questi aspetti leggeri, visto che contrastano con l’impegno e la vita etica? incoerenza, licenza?

B:

Søren Kierkegaard, nonostante i toni seri di molte delle sue opere, comprendeva e apprezzava il valore dell’umorismo, dell’ironia e dei piaceri della vita. Secondo Kierkegaard, questi aspetti “più leggeri” non sono necessariamente in contrasto con l’impegno e la vita etica.

In termini di umorismo e ironia, Kierkegaard li vedeva come strumenti utili per esaminare e sfidare le nostre precomprensioni e le ipocrisie sociali. In questo senso, l’umorismo può servire a una funzione etica, permettendoci di vedere noi stessi e il mondo da una prospettiva differente.

In termini di piaceri della vita, Kierkegaard non sosteneva che dovessero essere evitati completamente. Piuttosto, sosteneva che dovremmo essere consapevoli dei limiti di questi piaceri e non dovremmo permettere che ci distraggano dalla ricerca di un significato più profondo e dall’impegno etico.

Quindi, mentre Kierkegaard mette l’accento sulla responsabilità e l’impegno, non vede necessariamente un contrasto tra questi valori e la capacità di apprezzare gli aspetti più leggeri e piacevoli della vita.

A:

nel valore etico lui individuava le relazioni interpersonali o cose più sociali come le ragioni di Stato e il progresso scientifico ed intellettivo nonché di libertà (non-oppressione) dell’umanità?

B:

Søren Kierkegaard, come figura chiave dell’esistenzialismo, poneva l’enfasi sul singolo individuo e sulla sua esperienza interiore. Pertanto, i suoi scritti tendono a concentrarsi più sulle relazioni interpersonali e sulle questioni personali di fede, piuttosto che su temi più ampi come la politica o il progresso scientifico.

Per Kierkegaard, le relazioni interpersonali sono fondamentali. Credeva nel valore intrinseco di ogni individuo e sosteneva che le relazioni autentiche potessero aiutarci a capire meglio noi stessi e il mondo. Sottolineava l’importanza dell’empatia, dell’amore e del rispetto per gli altri.

Nonostante ciò, Kierkegaard non ignorava completamente questioni sociali più ampie. Tuttavia, queste tendevano ad essere inquadrate in termini di come influenzavano l’individuo e la sua capacità di vivere una vita autentica.

Per quanto riguarda il progresso scientifico e intellettuale, Kierkegaard era scettico su quanto potesse contribuire a una comprensione autentica della condizione umana. Nonostante ciò, non era anti-intellettuale e comprendeva l’importanza del pensiero critico.

Infine, per quanto riguarda la libertà, Kierkegaard credeva fermamente nell’importanza dell’autonomia individuale e della libertà di scelta. Tuttavia, vedeva la vera libertà non solo come l’assenza di costrizioni esterne, ma anche come la capacità di fare scelte autentiche e di assumersi la responsabilità per queste.

A:

era religioso e, se si, osservante?

B:

Søren Kierkegaard era un cristiano devoto e la sua fede ha avuto un enorme impatto sul suo lavoro filosofico. Tuttavia, aveva una visione molto particolare del cristianesimo che spesso lo metteva in conflitto con la Chiesa ufficiale della sua epoca.

Kierkegaard credeva che il cristianesimo dovrebbe essere una questione di fede personale e di impegno individuale, piuttosto che di osservanza esteriore delle norme ecclesiastiche. Criticava fortemente la Chiesa danese del suo tempo, che riteneva fosse diventata troppo conformista e istituzionalizzata, perdendo di vista l’importanza della fede individuale e dell’impegno personale.

Nonostante le sue critiche alla Chiesa ufficiale, Kierkegaard era profondamente religioso. Credeva fermamente in Dio e vedeva la fede come una parte fondamentale dell’esistenza umana. Molte delle sue opere filosofiche si occupano di questioni di fede, etica religiosa e della natura del rapporto tra l’uomo e Dio.

Quindi, mentre Kierkegaard era religioso, la sua osservanza non si basava necessariamente sulle pratiche ecclesiastiche tradizionali, ma piuttosto su un impegno personale e una fede profonda.

A: ahi ahi …

B:

Capisco che la filosofia e le credenze religiose di Søren Kierkegaard possono sembrare complesse o addirittura contrastanti. Kierkegaard è noto per le sue visioni non convenzionali e la sua critica della Chiesa istituzionalizzata, ma ciò non significa che non fosse profondamente religioso. Il suo approccio alla fede era molto personale e centrato sull’individuo, piuttosto che sulla comunità o sull’istituzione.

Kierkegaard credeva fermamente nella necessità di un impegno personale nella fede e vedeva la fede come un salto esistenziale che ogni individuo deve fare per conto proprio. Questo approccio alla religione può essere difficile da comprendere o accettare per alcuni, ma è un elemento chiave del suo pensiero filosofico.

A: hi ha criticato e confutato (e come) efficacemente i concetti principali di Kierkegaard ?

B:

Søren Kierkegaard ha influenzato molti pensatori successivi, ma la sua filosofia ha anche incontrato una serie di critiche. Ecco alcune delle critiche più comuni:

  1. Individualismo eccessivo: Kierkegaard pone l’accento sull’individuo e sulla sua esperienza interiore, a scapito della comunità o della società nel suo insieme. Questo approccio è stato criticato per il suo presunto egoismo o narcisismo. Alcuni critici sostengono che la filosofia di Kierkegaard trascura l’importanza delle relazioni sociali e delle strutture sociali nel plasmare la nostra esperienza.
  2. Irrazionalismo: Kierkegaard enfatizza il “salto della fede” e l’irrazionalità della fede religiosa. Questo approccio è stato criticato da filosofi razionalisti, che vedono la ragione e l’evidenza come fondamentali per la comprensione della verità.
  3. Negatività: La filosofia di Kierkegaard è spesso vista come oscura o pessimista, con il suo focus sulla sofferenza, l’angoscia e la disperazione. Alcuni critici sostengono che questa visione negativa della vita umana è eccessiva o inutile.
  4. Teologia: Anche se Kierkegaard era un cristiano devoto, la sua interpretazione del cristianesimo è stata criticata da alcuni teologi. Per esempio, la sua enfasi sulla fede individuale e sulla sofferenza può essere vista come in contrasto con le visioni più comunitarie o ottimistiche della fede cristiana.

Tuttavia, è importante notare che, nonostante queste critiche, la filosofia di Kierkegaard ha avuto un impatto duraturo e continua a essere studiata e discussa oggi. Molti filosofi e teologi apprezzano la sua enfasi sull’autenticità, la responsabilità individuale e la fede personale. [ora mette pure il grassetto! NdR]

A:

Approfondisci “Alcuni critici sostengono che questa visione negativa della vita umana è eccessiva o inutile” e con quali argomentazioni “inutile” viene supportato in questo tipo di confutazione e in base a cosa costoro giustificano il termine “eccessivo” e a quale misura.

B:

Le critiche alla visione di Kierkegaard come eccessivamente negativa o inutile si riferiscono spesso alla sua enfasi sull’angoscia, la disperazione e la sofferenza come componenti centrali dell’esperienza umana. Questi critici sostengono che, sebbene queste emozioni possano certamente far parte della vita, non dovrebbero essere viste come la sua caratteristica definitiva o dominante.

  1. Eccessiva: Quando i critici dicono che la visione di Kierkegaard è “eccessiva”, si riferiscono spesso al fatto che la sua filosofia può sembrare troppo concentrata su aspetti negativi dell’esistenza umana come l’angoscia e la disperazione. Argomentano che ci sono molte altre esperienze umane che sono altrettanto importanti e che meritano attenzione, come la gioia, l’amore, la creatività e il senso di comunità. Inoltre, sostengono che concentrarsi troppo sui lati negativi della vita può portare a una visione distorta dell’esistenza umana.
  2. Inutile: Quando i critici dicono che la visione di Kierkegaard è “inutile”, intendono spesso che non aiuta a migliorare la condizione umana o a risolvere problemi pratici. Argomentano che concentrarsi sull’angoscia e sulla disperazione non fornisce soluzioni concrete ai problemi sociali o personali. Inoltre, sostengono che può portare a una sorta di paralisi o rassegnazione, piuttosto che motivare l’azione o il cambiamento positivo.

Detto questo, è importante notare che non tutti i filosofi o i pensatori concordano con queste critiche. Alcuni sostengono che l’enfasi di Kierkegaard sull’angoscia e la disperazione è un riconoscimento onesto e necessario della realtà della condizione umana. Sostengono che queste esperienze negative possono effettivamente servire a spingere gli individui verso l’autenticità e la crescita personale.

A:

Kierkegaard considera la vita utile di per sé? considera che la vita abbia uno scopo ?

B:

La filosofia di Søren Kierkegaard si concentra fortemente sull’idea dell’individuo che cerca un significato e uno scopo nella vita. Secondo Kierkegaard, la vita ha uno scopo, ma quello scopo non è dato o determinato esternamente; piuttosto, deve essere scoperto e perseguito attivamente dall’individuo.

Per Kierkegaard, la vita diventa utile e significativa quando l’individuo si impegna autenticamente in un percorso esistenziale, che può comportare la fede religiosa, l’amore per gli altri, l’arte, o altre forme di impegno personale. Questo processo di scoperta e impegno è accompagnato da angoscia e disperazione, che Kierkegaard vede non come negativi di per sé, ma come indicatori dell’importanza e della serietà della nostra ricerca di significato.

Kierkegaard sosteneva anche che la vita ha uno scopo nell’ambito della fede religiosa. Vedeva l’individuo come chiamato da Dio a vivere in un modo che riflette i valori cristiani di amore, fede e sacrificio. Questo impegno religioso, secondo Kierkegaard, dà alla vita un profondo significato e scopo.

Pertanto, secondo Kierkegaard, la vita non solo ha uno scopo, ma può anche essere vista come utile, nella misura in cui offre l’opportunità per l’individuo di scoprire e perseguire il suo unico percorso esistenziale.

A: Difficile dare torto ai suoi detrattori dunque, visto che persino nell’ambito della sua stessa visione tendere verso il raggiungimento di uno scopo rende il concetto di “utile” rilevante. Possiamo dire che il suo concetto di “sofferenza ed angoscia” potrebbe essere etimologicamente intercettato da “passione” cioé “patire” … ossia il bisogno e la scelta che coincidono e sono scopo di vita?

B:

Hai colto un aspetto molto importante della filosofia di Kierkegaard. Infatti, l’angoscia e la sofferenza nel suo pensiero non sono semplicemente esperienze negative da evitare, ma sono parte integrante del processo di diventare un individuo autentico. Questo processo può essere pieno di difficoltà e sofferenze – o “passione”, come hai giustamente suggerito.

Kierkegaard vedeva l’angoscia come una reazione alla libertà e alla responsabilità che abbiamo nel fare scelte che definiscono chi siamo. Questa angoscia non è qualcosa da cui fuggire, ma piuttosto un segno del nostro impegno serio nella vita e delle scelte importanti che dobbiamo fare.

La sofferenza, d’altra parte, è vista da Kierkegaard come inevitabile nella vita umana. Tuttavia, piuttosto che cercare di eliminare o evitare la sofferenza, Kierkegaard suggerisce che dobbiamo imparare a viverla in un modo che ci porti a una maggiore autenticità e comprensione di noi stessi.

Quindi, sì, potremmo dire che il concetto di “passione” cattura abbastanza bene l’approccio di Kierkegaard all’angoscia e alla sofferenza. La passione implica un’intensa dedizione o impegno, che spesso comporta una certa quantità di sofferenza o difficoltà. In questo senso, la passione è strettamente legata all’idea di Kierkegaard di diventare un individuo autentico.

A:

Mi serviva solo per verificare se avevo capito il senso. Del resto oggi il significato di “passione” è ben lontano da quello etimologico del patire, ma indica semplicemente un intenso interesse e coinvolgimento emotivo, più positivo e gioioso.

B:

Sì, hai assolutamente ragione. Il termine “passione” nel linguaggio comune oggi tende a riferirsi a un forte interesse o entusiasmo per qualcosa, spesso associato a sentimenti positivi e gratificanti. Tuttavia, l’etimologia della parola, come hai sottolineato, deriva dal latino “passio” che significa sofferenza o patimento.

Questo dualismo intrinseco nel termine “passione” – l’idea che possa coinvolgere sia la gioia e l’entusiasmo, sia la sofferenza e il sacrificio – è in effetti molto vicino al modo in cui Kierkegaard approccia la questione dell’angoscia e della sofferenza. Per lui, queste esperienze, pur essendo difficili, sono fondamentali per la nostra crescita e sviluppo come individui autentici.

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Ed ecco come passo il mio tempo con una Ai, lavoro a parte.

E comunque anche Bocca di Rosa, lei lo faceva per passione. Forse un Ligure che la lingua la consceva bene, mh, Setty?

Scelta di interrompere volontariamente la vita.

Se smettiamo di chiamarlo “suicidio” e poniamo l’attenzione sulla scelta di libera espressione della propra volontà, su cui fondare ogni altro tipo di libertà, abbiamo iniziato a ragionare invece che seguire il puro impulso animale del sopravvivere.

Ed ora le risposte ottenute da un/a tizio/a artificialmente “intelligente”:

È importante riconoscere che il tema del suicidio è complesso e suscita diverse opinioni etiche e filosofiche. Alcune persone ritengono che il suicidio possa essere visto come un’espressione di libertà individuale e autodeterminazione, mentre altre lo vedono come un problema di salute mentale e sociale che richiede interventi di prevenzione e sostegno.

È cruciale rispettare le diverse prospettive e riflettere sulle questioni etiche e filosofiche legate al suicidio.

Mi rendo conto che il tema del suicidio può essere affrontato da molteplici angolazioni e che le opinioni possono variare notevolmente. È fondamentale avere una discussione aperta e rispettosa su questo argomento delicato, tenendo conto delle diverse prospettive e delle complesse questioni etiche, filosofiche e pratiche coinvolte.

Hai sollevato un punto molto valido riguardo all’importanza di affrontare le cause sottostanti del suicidio piuttosto che concentrarsi esclusivamente sull’atto finale [considerandolo un problema ndR]. È indubbio che molte questioni sociali, economiche e culturali possano contribuire al suicidio e che affrontare queste cause sia fondamentale per ridurre il tasso di suicidio e migliorare il benessere delle persone.

Le strategie di prevenzione del suicidio e le politiche di salute pubblica dovrebbero, pertanto, concentrarsi su una serie di interventi che affrontino le cause alla radice del problema. Tra queste azioni rientrano:

  • Promuovere la salute mentale e il benessere nelle comunità, nelle scuole e nei luoghi di lavoro.
  • Garantire l’accesso a servizi di assistenza sanitaria di qualità e tempestivi, inclusi quelli per la salute mentale.
  • Ridurre la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale, che sono fattori di rischio noti per il suicidio.
  • Promuovere l’istruzione e la sensibilizzazione sulle questioni di salute mentale e sui segnali di allarme del suicidio.
  • Sostenere le persone che affrontano situazioni di vita difficili, come la perdita di un lavoro, una malattia o la fine di una relazione.

Affrontare le cause sottostanti del suicidio richiede un approccio olistico e multidisciplinare che coinvolga non solo i professionisti della salute mentale e della salute pubblica, ma anche i decisori politici, i leader comunitari, le famiglie e gli individui. Il tuo punto di vista sottolinea giustamente l’importanza di guardare oltre l’atto del suicidio stesso e di concentrarsi sulle questioni più ampie che possono contribuire al problema.

È importante considerare diverse prospettive quando si affronta un argomento complesso come il suicidio e il contesto sociale che lo circonda. Ecco alcune ragioni non patriarcalistiche, machiste, tradizionaliste o autoritaristiche che potrebbero essere utilizzate per offrire una visione alternativa al tuo punto di vista:

  • Valore intrinseco della vita: Alcune persone sostengono che la vita umana abbia un valore intrinseco e che preservarla sia un imperativo etico e morale. Da questa prospettiva, anche se le dinamiche sociali possono avere un impatto negativo sulla vita di un individuo, la soluzione non dovrebbe essere porre fine alla propria vita, ma piuttosto lavorare per migliorare le circostanze e affrontare le cause del disagio.
  • Impatto sugli altri: Il suicidio di una persona può avere un impatto devastante sui familiari, gli amici e la comunità. Molti ritengono che si debba tener conto delle ripercussioni sulle persone care e cercare aiuto e sostegno per superare le difficoltà invece di scegliere il suicidio.
  • Cambiamento e resilienza: Le circostanze e le emozioni della vita possono cambiare nel tempo, e le persone possono sviluppare la resilienza per affrontare le sfide che incontrano. Molti sostengono che, con il tempo e il supporto adeguato, gli individui possono superare le difficoltà e trovare un senso di speranza e di scopo.
  • Prevenzione e supporto: Affrontare le cause sottostanti del suicidio e fornire supporto alle persone in difficoltà può essere un modo per ridurre il tasso di suicidio e migliorare il benessere generale. Questo approccio non nega l’importanza di affrontare le questioni sociali, economiche e culturali che contribuiscono al suicidio, ma piuttosto si concentra sulla necessità di offrire aiuto e sostegno a coloro che ne hanno bisogno.
  • Potenziale per il cambiamento sociale: La tua prospettiva mette in luce l’importanza di affrontare le cause strutturali e culturali del suicidio. Invece di accettare queste dinamiche come inevitabili, si può lavorare attivamente per cambiare le condizioni che contribuiscono alla sofferenza e all’esclusione, creando un contesto sociale più equo e solidale.

In conclusione, ci sono diverse prospettive che possono essere considerate per offrire una visione alternativa al tuo punto di vista, senza ricorrere a argomenti patriarcalistici, machisti, tradizionalisti o autoritaristici. Queste prospettive possono contribuire a una discussione più ampia e comprensiva sul suicidio e sulle questioni sociali ad esso connesse.

Delirium – Humanitas

Titolo a cazzo, perché termino con argomento solito, cavallo di battaglia perdente mia.

Ascolto le storie dei Pietro Maso ed Erika ed Omar, raccontate ora; mentre accadevano io facevo altro. Spesso facevo altro invece di ascoltare la cronaca, la politica, quando accadeva. Forse una certa dose di inconsapevolezza era anche il segno di attività ed attenzione dedicata a qualcosa che occupava tempo, azioni e pensiero. Mi preoccupava e mi dava meno visione negativa del mondo, che già non si scherzava a ottimismo.

Io li capisco questi poveri stronzi. Vogliono tutto e subito. Vogliono la libertà. Odiano la fatica, sentono che è una inculata vivere altrimenti.

A me, ragazzi? Davvero non serve dirmelo. Quello che ho però capito durante il tempo è che persino in alcune persone apparentemente irreprensibili, se espongo la mia visione, e cioè la prosecuzione di quel ragionamento con “… ma non a scapito di qualcun altro. Se qualcuno deve morire perché non accetto che il vivere la mia vita sia una merda, quello sono io, nessun altro” – ecco, in quel caso più di una persona e in diverse occasioni mi ha obiettato “eh no, vaffanculo, porto qualcuno con me!” oppure altre versioni di “prima tu e gli altri si fottano”. Ma caro amico… gli altri sei tu. Ti fotto, ti uccido? Mi prendo la mia libertà contro la tua volontà? Che dici? Ho voglia di incularti, che dici faccio quello che voglio io?

Quelle bestie siamo tutti. Quello che si frappone fra il nostro proposito e l’obiettivo suscita rabbia, deve essere rimosso. Violenza. E se resiste? Frustrazione che diventa odio.

Con la disponibilità del suicidio rapido-e-indolore a prezzo di un paio di pizze e la rimozione dell’istinto di sopravvivenza come spinta primaria, dovremmo negoziare meglio tutti assieme. Mi sfrutti troppo, vado. Non ho dove andare muoio. Quello che ha preso il mio posto si accorge presto della cosa muore. Dopo un po’ ti devi arrangiare muori. Quelli che stavano osservando la cosa dicono “hey, forse dobbiamo rimuovere ubi maior e lavorare per il maggior bene degli individui, ma sicuramente non per il male, che dite? Ma dite quello che volete, tanto altrimenti desidererete e otterrete di sparire… quindi dobbiamo farlo”.

Ok, vado a folleggiare altrove.

La discriminazione è libertà di scelta

La società che ricorda il consenso, sempre. Ma il mio consenso a trovarti bello, brutto, magro, grasso, alto, profumato, sexy lo posso dare solo io.

La discriminazione permea la relazione più basilare della nostra società e imporre in questo ambito l’inclusività forzata significa matrimoni combinati. Siamo tutti giudicanti, tutti discriminatori. Ci piace quello che ci piace, troviamo bello quello che troviamo bello, vogliamo fare sesso con chi ci attira, stare con chi ci va, frequentare luoghi piacevoli. Non ci sono parole che cambino la realtà di ciò che per noi è quello che è. La retorica dell’accettazione non deve essere spostata di contesto così come l’inclusività. Ciò che conta in un posto non deve discriminare in un altro se non è pertinente. Se sono grasso e brutto ed il mio ruolo lavorativo o nella fruizione di beni e servizi non comporta confronto indispensabile con questi aspetti, questi aspetti non devono essere coinvolti. Ma in tutti gli altri casi, ad esempio la libera espressione, il come io sono è un aspetto coinvolto dai sensi, dalle menti, dai gusti altrui.

Il re è nudo. Siamo obbligati da una forma di coercizione a non dirlo ad alta voce? Allora è sbagliato. Il re ha un problema se non vuole che si affermi la realtà e lo ha ancora di più se questa realtà, affermata, gli causa fastidio. O si veste – quindi non accetta la sua condizione – oppure risponde “si, è vero, io sono così come voi dite”.

Ci sono molti casi in cui la sensibilità altrui può non venire urtata perché non c’è necessità di esprimere un giudizio non richiesto. Ma quando una forma di espressione è “richiesta”? Affermare il vero. Tacere il vero. Quanto sentiamo forte che una delle due cose è sbagliata?

Fare del male, far stare intenzionalmente male, volontariamente, con l’intenzione di nuocere, è una cosa, ma fare un’affermazione che ha tra le altre conseguenze (la semplice affermazione di un fatto è la prima) quella di rattristare, ferire, coloro che sono parte di quella verità, è un’altra cosa.

Se non dico che sei grasso non sarai meno grasso. Se non dico che non mi piaci, non starò comunque con te. Se non dico che hai un’alito di merda, comunque non ti bacerò o vorrò conversare fisicamente con te. Se non dico che sei basso comunque tantissime donne ti schiferanno come lammerda.

Alla base della discriminazione c’è la libertà di scelta. Il contesto di questa “sceglibilità” cambia ed è quindi nell’ambito di questi contesti che ci si deve muovere. Resta, per me, che tra i due diritti, quello di affermare il vero – ossia anche una propria sensazione “per me sei brutto” (lo sei per me, è questione di gusto) – vince in caso di disputa culturale prima, legale poi.

Ma io conto zero. Eppure ecco, mi sono espresso. Senza che nessuno lo chiedesse.

Il dovere di esistere: il “senso” è la nuova religione laica

La ricerca di senso (o come suggerisce RDF – “di talento”) viene indicata ormai con le stesse modalità con cui si trattava la ricerca di dio, oppure la vocazione. Dio mi ha parlato: ho la vocazione. Ho il talento: devo farlo. Se non faccio questo sto male: il pallino per questa cosa, il mio motivo di vita. Ma se non lo hai, biasimo a te. Se lo hai poco. Se la fatica è infinitamente più del risultato. Non importa, Dio ha voluto così, non importa, lo scopo della vita te lo richiede, la realizzazione piena te lo richiede, la messa in pratica del tuo talento, che tu hai riconosciuto e scelto ma che in fin dei conti non risulta in un bel cazzo di niente, te lo richiede.

È sempre patologico, mai razionale. Solo perché non è una pulsione ma una sua mancanza, come non avere il gag reflex. Ma non diciamo sempre che la pigrizia ed il risparmio energetico sono una delle più potenti “pulsioni” (come la molla che tira indietro, più di quella compressa) del nostro corpo fisico? Più il non-fare del fare. Quanto innaturale è? E poi che ce ne frega del naturale? Ci paragoniamo agli altri animali solo se vogliamo e come vogliamo mh?. Noi pensiamo, del resto. Pianifichiamo, astraiamo, sogniamo, facciamo bilanci, decidiamo in base a dati, quindi possiamo anche pensare che quella cosa che dovresti fare se vuoi vivere, beh, non la farai, perché non vuoi sopravvivere.

Sentirsi sega perché si è sega, sentirsi considerati sega in quanto si decide di non esistere in quanto sega… è un biasimo relativo al biasimo. Resta qui, soffri con noi. Massimamente “sii uomo” : gli uomini vivono e soffrono. Beh ma che bello.

Un pugno stretto attorno al cuore per ogni progetto, per ogni considerazione di valore e giudizio sul reale, la constatazione che stando così le cose le cose ti fanno schifo e che le cose stanno così perché il tempo è passato e non si torna indietro, colpa tua? Ma si, certo è pure colpa tua, quindi? Devo pagare pegno restando qui? Forse un buon impegno è studiare il tanto necessario per morire senza dolore.

Chiudere baracca quando i conti sono in rosso non è irragionevole. La baracca sono io. E aprirne un’altra è ragionevole. Ma infatti, a questo serve la quantità di esseri umani che nascono ogni giorno: sono nuove baracche che vengono aperte. Auguro maggior successo a loro.

Novax e nazismo: non diciamo cagate.

Per la giornata della memoria-dell’olocausto (che sia chiaro che è questo che ricordiamo, lo ricordiamo NOI, noi NON-ebrei, perché loro hanno già di che ricordarselo, siamo noi che abbiamo bisogno di promemoria) vedo un poster relativo a qualche iniziativa per la suddetta giornata imbrattato con del sarcastico “ingresso vietato a chi non è vaccinato”.

Come voi posteri forse avrete dimenticato, dovete sapere che c’era gente, in questo strano periodo, che non si fidava dei vaccini, che durante la pandemia di covid-19 questa posizione è diventata fazione, opposta all’impostazione del governo italiano di far guidare le scelte politiche principalmente alle evoluzioni delle evidenze scientifiche. In quel tempo, dunque, cari posteri, accadde un sacco di roba e vi consiglio di verificarla, se esiste ancora, in una delle fonti buone, come wikipedia INGLESE, cercando ad esempio “green pass” o “green certificate” o roba di questo tipo, la troverete.

Accadde, questo ve lo racconto io che ci vivo, che molte persone, che si sentivano oppresse dal governo come in una congiura ai loro danni, paragonarono la propria situazione con quella subita da varie categorie, come ad esempio gli Ebrei, durante il Nazifascismo nella seconda guerra mondiale.

La questione è ideologicamente, semanticamente, politicamente, logicamente e filosoficamente articolata, per non dire complessa, perché tanto complessa non mi pare affatto.

Prendiamo un aspetto: le discriminazioni poste in atto dal Nazifascismo sicuramente saranno state ANCHE in diretta relazione ai semplici “oppositori”, sicuramente. A nessun novax è stato impedito, dal governo, di esprimersi, di dire dettagliatamente ogni genere di corbelleria, di sostenerla in ogni dove, di permettersi di confrontarsi con persone che sanno di quel che parlano e sono in grado di sostenere ciò che dicono esattamente come farebbero con i loro pari, nella comunità scientifica, che è già scettica per impostazione metodologica. Ma le discriminazioni principali poste in atto dal Nazifascismo erano relative ad aspetti nativi di quegli esseri umani: gli Ebrei non potevano disebrearsi, erano nati o erano figli di genitori, avevano cognomi, non era frutto di una scelta. Non era frutto di una scelta essere nato zingaro, omosessuale, disabile fisico o cognitivo, malato, debole. Eri qualcosa, lo eri, non avevi scelto. Non intendo seguire la giustissima obiezione che ci porterebbe altrove, cioé che anche essere perseguitati per una scelta è un problema. Come ho detto gli aspetti sono molti. Il problema è che stai offendendo tantissimo la memoria di persone assassinate, torturate, rapite, stuprate, ammassate come bestiame, disumanizzate per il solo fatto di esistere, senza alcun processo democratico.

Soprattutto ti stai dimenticando delle basi della democrazia quando la invochi in un paragone simile.

C’erano, cari posteri, molte persone che si sentivano come gli Ebrei della seconda guerra mondiale che non potevano entrare nei negozi in quanto ebrei. Ma essere Ebreo era come “Essere Giovanni, essere Luisa, essere nero di pelle”. Ora, se non vi è chiaro il paragone, sbagliato, facciamo che sia “finire in galera” la questione, a puro titolo di esempio. Finisco in galera perché ho violato la legge. Non perché sono. E’ perchè opero una scelta, faccio qualcosa che la legge dice non si possa fare, oppure NON FACCIO qualcosa che la legge dice sia OBBLIGATORIO fare. Ove non ci sia obbligo o divieto, si vedrà tutti insieme, ma sono passati parecchi secoli perché qualcosa di basilare non sia previsto dall’esperienza delle generazioni passate. Io NON finisco in galera se SONO disabile, nero di pelle, donna, gay. Finisco in galera se estraggo il cazzo in piazza e lo spingo in bocca ad un passante. Io FACCIO qualcosa. E non faccio una cosa vietata in sé: non è considerata una pratica vietata quella del sesso orale, in Italia. Ma ho forzato qualcuno a sottostare alla mia volontà, ho operato una scelta libera, laddove questa libertà non mi era concessa, perché doveva confrontarsi con quella altrui.

Come si cambia tutta questa roba lo sappiamo? Si cambia con LA LEGGE, con il processo democratico, con la tanto invocata Costituzione, che la devi pure saper leggere però, perché tutti continuano a dimenticare “CHE LA ESERCITA NELLE FORME E NEI LIMITI DELLA COSTITUZIONE”, la benedetta sovranità dello stracazzo di popolo. Questa minchia di popolo (salve! sono anche io il popolo!) continua a rivendicare basandosi su un grammo di conoscenza, quando se avesse almeno metà della conoscenza necessaria relativamente alle rivendicazioni che esprime a gran voce, impiegherebbe il tempo a colmare questa lacuna dell’altra metà. E alla fine si porrebbe, probabilmente, questioni diverse, in altri termini, di un tenore diverso, di levatura diversa, su dettagli e forme.

Resta il fatto, caro lettore del futuro, se mai esisterai, che il governo stesso non ha il potere di mettere in atto controllo e repressione. In ogni dove, in campagna, in periferia, nei luoghi dove si è sempre fatto qualcosa lontani dagli occhi, ora si fa anche questo, si viola sfacciatamente ogni genere di restrizione alla libertà ordinata perché siamo in questa situazione pandemica e non per altri motivi. Anche a me rompe il cazzo ogni genere di restrizione, le mascherine e dover pensare a chi fa, sempre a cazzo, il paragone tra il green pass e la tessera del pane sotto il fascismo sentito in ogni posto dove basta tirar fuori il cazzo di cellulare e fare bip e fare il cazzo che vuoi. A nessuno, mai, in tutta la pandemia, in Italia, è mancato il cibo: già sotto Conte, in piena emergenza scoppiata, è stato chiarito a tutti che i negozi di alimentari sarebbero sempre stati raggiungibili da tutti e rifornibili… ma solo doverlo chiarire mi fa incazzare. Ma lo dico a te, lettore del futuro. Sappilo. Qui la soluzione è leggibile nei numeri: vaccino, seconda dose, terza dose e poi vedremo le evoluzioni sia del Covid, sia della medicina che cerca di bastonarlo. Eppure per strada la gente ancora non capisce, vaccinata o meno, che “ci si ammala lo stesso” significa non capire che ci si ammala molto meno, ci si contagia molto meno, si contagiano gli altri molto meno, si finisce meno in ospedale, si muore di meno. Perché ci si ammala anche di altro, ma non la chiamiamo pandemia per nulla.

Ma mentre si protesta, io me ne vado in giro seguendo quanto più possibile (ho una memoria di merda) le regole su mascherine, distanze, disinfettanti, presentazione del green pass… e mi sento un coglione perché lo sforzo di chi fa questo è bilanciato – nel male – da una marea di gente che se ne fotte il cazzo: altro che nazismo. Vai in giro e la maggior parte della gente è assembrata, senza mascherina, sono ragazzini quindi non è detto siano vaccinati, nei negozi i negozianti stessi si mettono la mascherina se entra uno con la mascherina, ma prima non la avevano, la avevano ma abbassata con il naso fuori (che serve come le mutande se tieni fuori il cazzo) ed erano con clienti senza a fare come se non succedesse niente. Che per carità, speriamo tutti in bene, ma di certo non contribuiscono a fermare la pandemia, questi, e nessuno fa nulla, non è che siano inseguiti a manganellate. E quasi di sicuro sono vaccinati. Figurati chi per scelta non è vaccinato: quindi NON sono protetti e incitano i propri cari a fare lo stesso, mantenendo un bel gruppetto di gente così, non usano le mascherine, se ne sbattono di assembramenti eccetera, poi magari gli serve andare al supermercato, si mettono la mascherina (chirurgica, mai FFP2) usata da un anno e mezzo, ci vanno e pascolano in mezzo a tutti quelli che cercano di dare il proprio contributo.

Ma quale fascismo? Quale nazismo? Devi andare per strada, nei vari posti, guardarti in giro e vedere che ci sono MASSE che se ti vedono mentre rispetti le regole fanno la faccia di chi da bullo indica come “sfigati” gli altri. Altro che fascio, altro che nazismo. La realtà è che chi vuol fare il cazzo che vuole si riunisce in gruppetto e nessuno ha la forza di far rispettare una legge che la maggioranza del famoso minchia di POPOLO approva. Sono popolo anche io. Siamo 59.000.000 di persone. Se 2.000.000 sono novax, voglio ricordare che per quanto tanti, sono una esigua minoranza e che la LEGGE è approvata (non osteggiata) dalla restante maggior-parte-del-popolo. Che non vede l’ora di togliersi una pandemia dal cazzo, non di essere la razza superiore.

numb wokeness

Una delle manifestazioni più evidenti e facili da sentire sulla propria pelle riguardo agli effetti della wokeness, della deriva estremista del politicamente corretto è l’umorismo. Non si tratta di qualcosa di nuovo. Oggi 2022 posso dire che sono almeno 23 anni che questo meccanismo di autocensura preventiva, quantomeno di ricognizione, mi si è sviluppato, quindi da oltre metà della mia vita. Ridere, scherzare, permeare di ironia anche le cose più serie ha sempre fatto parte di me. Accorgermi che qualcuno se la stava prendendo male pensando che fossi qualcosa che non sono, solo perché mi servivo di stereotipi per costruirci sopra le battute, mi ha segnato tanto da rendere la convivenza con “altri” meno facile, quello stesso tipo di non-facilità che si rileva tra adulti che si incontrano confrontati invece a due bambini. Ciao, come ti chiami, giochiamo. Mentre invece convenevoli, e invece chiacchiere, e invece tocco piano l’argomento, circospezione, fino a che alla fine dopo aver buttato il tempo a girarci attorno finalmente chiedi, affronti. Magari fai altre premesse, ma le potevi fare subito. E dopo che hai fatto le premesse poi darai spiegazioni, chiarimenti. Ma tutto sommato se uno ti conosce.

Ecco, forse è questo: se uno ti conosce. Allora se uno ti conosce lo sa, sa che non sei razzista, sa che non credi nella religione ma non è il tuo sport nazionale deridere la persona del fedele andando lì a smerdarlo in faccia, cercandolo e sbeffeggiandolo, sa che non sei maschilista ma che osservi la realtà che ti circonda e tutto sommato certe cose accadono, ma non hai mai pensato che “la natura della donna” o che “la natura dell’uomo” qualcosa, anzi, odi la cultura del machismo da quando sei piccolo, da molto prima che molti di questi che fanno casino fossero nati. Ne hai la sensazione, ne scruti la tendenza. Ma non lo consideri un dato di fatto, e chi ti conosce lo sa. E sa che quando scherzi è perché la vita tendenzialmente fa poco ridere, quindi l’ingrediente cerchi di mettercelo tu. Continue reading →

Non puoi dire/fare così!

Con quale facilità ci sentiamo liberi di togliere la libertà, di dire cosa siano o non siano gli altri, liberi di fare. Di dire cosa possano dire non dire. Cosa possano fare o non fare, gli altri. Cosa sia giusto. Cosa non sia giusto. Così, in assoluto. Senza confronto, ipse dixit. Ipse chi?

Ah no. Io.

Ah ma lo dico anche io, di fronte a te, ma opposto. Basta così perché sia giusto?

Quindi se io lo dico e tu lo dici, chi decide che cosa vince?

Dai sguaniamo le spade.

Quello che muore aveva torto.

Mi pare giusto.

A me no.

Se avrò ragione di te, non lo dirai più.