Vorrei morire ora #27834682376

Anche ora, vorrei scomparire, non sentire questo solito dolore sordo.

Eppure in me si sta formando una idea chiarissima: faticare per esistere non mi va. Perché questo squallido pensiero dovrebbe essere una differenza da prima? Perché è poco nobile ed onorevole? Non voglio mica fare male a qualcuno. Ma ecco, il pensiero che avere – assicurata – una rendita costante mi farebbe quantomeno girare il mondo per osservarlo e trovare molti motivi per dire che ci sono molti motivi … o trovare molte cose per dire che ci sono molte cose… beh, così, in quel modo, a quelle condizioni… non vedo perché no.

Volevo anteporre questo per perdere il rispetto di chi ha un certo preconcetto.

Giorni fa parlavo con una delle mie modelle – forse una delle ultime in realtà, non lo so, per ora è una sensazione – che, bestia rara, ha detto con chiarezza che nessuno vuole lavorare. Che prendere soldi per stare a casa a fare un cazzo non farebbe schifo a nessuno. Non ho neanche aperto bocca per dire che se lo facessero tutti per il delivery dovresti aspettare parecchio. A me non interessava la parte pratica. Ma il concetto retrostante, basilare, che sembra essere sparito dai discorsi di tutti. Come il senso della vita, del vivere, dell’esistere. Lo accetti e basta. E ti lamenti, e sbuffi, e fai tutta una serie di discorsi che sono cazzate se non tieni a mente la parte fondante: come mai hai deciso di restare viv* oggi? Sentita questa risposta, seguiranno le altre. Altrimenti sanno da poco, significano poco.

Sto per gettarmi a fare il copridivano, con questo dolore sordo e il disprezzo di me. Fino a che, si spera, non arriverà quello squilibrio a riequilibrarmi, a ricorarmi che a desiderare e a non fare non succede un cazzo, che i mezzi non mi mancano, per un po’ di spazio di manovra. Manovra su qualcosa che mi interessa.

E che forse non interessa a nessuno.

Ma a me si.

Così riprende la routine, il rito: pensa come se dovessi morire, metti in ordine, cerca di fare quello che c’è da fare prima. E nel frattempo succede qualcosa, si muove qualcosa. Poi si ricomincia, nella pece del dolore, si fa un passo, appiccicosamente, plaf, si mette giù un piede e si cade nella melma nera. Si piange, si riparte forse. Non valgo niente e non sono nessuno. E in parte mi addolora, in parte non me ne frega niente.

Ho la mani grasse. Almeno dal 2002. Da più di 20 anni!

Che schifo.

Essere bestie che sentono. Che capiscono. Che crudeltà.

Broken people

MD, ragazzo che ho osservato crescere e diventare da studente universitario, ricercatore di punta, è stato bruciato dall’impegno e dalla mancata corresponsione di contropartita. Forse ingenuamente convinto che l’impegno dovesse essere giustamente essere scambiato con qualcosa di valore, un vantaggio reciproco, ha scoperto sfruttamento e menefreghismo. Tra l’altro l’ha scoperto laddove mi aveva raccontato di cose molto belle, di speranze per l’umanità, pensavo. Comunque ha dato molto e si è sentito semplicemente abbandonato, alla fine.

Per un secondo mi viene da pensare al fatto che il senso di abbandono, il non saper stare soli con sé è la differenza, che i problemi li hanno tutti, e gravi, che l’ingiustizia è la base, ma la differenza la fanno tutti quei soggetti che sanno combattere da soli, trovando certamente, di tanto in tanto, conforto in qualche alleanza, in un attimo di riposo mentre appoggiano armi e scudi, ma che poi rifanno un profondo respiro, caricano il peso del vivere solo su di sé, senza aspettarsi alcunché: loro, solo loro sono gli adatti, non noi.

Ma in fondo non è di questo che parlavo: di gente spezzata ce n’è tanta. Rotta dentro, con una crepa, una ferita che non li farà mai più tornare come prima. Azzoppati quando prima volevano – e potevano – correre. Troppo sensibili forse, troppo bisognosi di affetto senza abituarsi che no, non ce n’è sempre?

Non lo so. Penso di trovarli tutti in un club, un centro sociale. Reduci dai campi di concentramento del dolore intimo: persone che semplicemente capiscono, oppure “ora capiscono”. Sanno di cosa parli, sanno che in fondo si potrebbe fare, che in fondo sarebbe facile, ma che ora non lo è più, che ora non ne hanno più la forza, che vogliono solo che quel dolore abbia fine. Qualsiasi sia la causa di quel trauma, sono e sanno qualcosa che altri potrebbero non capire mai, né per esperienza né per ragionamento. Persone che potrebbero avvicinarsi, bersi una cosa, chiacchierare, farsi forza a vicenda… tanto quanto tirarsi giù a vicenda, invece. Come una grande mensa aziendale o scolastica, immagino donne e uomini, ragazze e ragazzi, cercare di buttar giù qualcosa, anche preoccupati di qualcosa sul cibo, sul corpo, sulla poca voglia, ma fondamentalmente seduti assieme, consapevoli gli uni degli altri e almeno miseramente confortati dal fatto di non essere esemplari unici di qualcosa che vorrebbero non fosse mai esistita.

Non essendo qualcosa con cui fare soldi resta certamente un’idea di fantasia. Non so poi se avrebbe una utilità o se sarebbe solo benzina sul fuoco del dolore, autoindulgenza quando è necessaria forza d’animo e disciplina, non stupido wishful thinking badate bene, ma solo alzarsi quando vorresti stare seduto, perché è necessario e perché potrebbe portarti qualcosa di buono, non per un senso di fascistissima volitività o di disprezzo verso il debole e una intima convinzione di inferiorità di quello stato, con colpa e magari dolo … semplicemente non so se troppo lenimento alla fine scioglie e diluisce quel po’ di entusiasmo che sappiamo tutti che potremmo avere prima che qualcosa o qualcuno lo polverizzi con qualche merdata.

se non sapete photoshopparvi il culo, non fatelo

Ok, hai scoperto “fluidifica” oppure col cellulare un effetto “goo”. Fantastico. Ok, ma devi sempre tenere conto della vera anatomia.

Il culo, la coscia, il muscolo, il femore, il bacino, il tendine. Fotoritoccare ti impone di conoscere l’anatomia tanto quanto Michelangelo. E la pelle come un’estetista. Non è divertente. Non è facile. E’ un lavoro.

questo culo è fatto così davvero

Se non fosse solo questo, le chiappe sono DUE, le cosce sono DUE. Non puoi avere una chiappa soda (e subito dopo una linea che evidenzia che non hai completato il lavoro perché la coscia non segue armoniosamente) e l’altra no. Se non hai la chiappa soda, lascia fare questo lavoro ad un/a professionista o magari NON fotografartil il culo. O magari impara a fotografare. O magari impara a posare. O magari chiedi a qualcuno come fare. Perché il culo è bello, è magnifico, ma il culo flaccido, moscio, ciccione, non a tutti piace.

Ma a molti si! Quindi: perché fingere? Vuoi esporre il culo? Esponilo as it is. Anzi, sinceramente una cosa che deforma molto la forma del culo è la biancheria. Quindi se proprio vuoi esporre le rotondità del tuo culo per estetica ed erotismo, togli le mutandine. Troverai un modo per girarlo in modo da non incorrere in censure. Oppure semplicemente puoi esporlo: il buco non è meno bello del resto. SE SAI FARE LA FOTO. Continue reading →

cambiare lavoro ogni giorno? davvero?

Ovvero “il debole soccombe”.

immagine di un leopardo con la preda tra le fauci

un effetto della competizione

“Adapt and survive” dicono molti anglofoni… penso siano americani, ma non ho approfondito. Certo, sembra che questa antifona venga ripetuta volentieri negli ultimi 20 anni… quando ti presenti ad un colloquio con 40 lavori però il tuo datore di lavoro stranamente sembra non essere d’accordo.E forse nemmeno il tuo cliente, se gli dici che sei stato programmatore, fotografo, ragioniere, imbianchino, chitarrista, che hai lavorato al supermercato, fatto l’autista, il meccanico, il falegname, il grafico, lo scrittore, il giornalista, l’imbianchino, lavorato all’autogrill, fatto il barista, il presentatore, il venditore di questo, quello e quell’altro, il lavapiatti e il cameriere, sarà felice della cosa che gli proponi ora. Tutti ti chiederanno esperienza.

E come fai a farti esperienza se devi cambiare lavoro ogni 10 anni (questo ti suggeriscono per non fossilizzarti, quanto meno di cambiare posto) ?

Molti parlano di evoluzione e adattamento, dimenticando che questi vocaboli nascono da una scienza che i cambiamenti li vede su una scala che si muove come minimo di centinaia di anni, oppure di intere generazioni (so che troverò il bastardo che mi cita i batteri), ma normalmente di migliaia di anni.

Cambiare lavoro quando un lavoro non c’è più non è una cosa possibile in un mondo di lavoro di qualità, specializzato, specialistico … dove un tecnico (di qualsiasi cosa) non viene valutato di più di un manager. Come fai? Devi imparare una cosa specifica, con molti dettagli, pratiche, abitudini o accorgimenti… dopo averne imparata un’altra ed eseguita per… quanto? 10 anni? EH no! Devi essere pronto al cambiamento ogni qual volta si presenti questa possibilità, ma tipo subito. Domani.

Cioé mentre stai ancora capendo come funziona quella attuale. If you can’t stand the heat get out of the kitchen ti dicono i più duri, giusto? E in effetti questo è, sempre più forte, il messaggio che ci da il mercato. Questo è la competizione: la competizione ha come effetto secondario che il debole soccombe. E se tanti deboli debbono soccombere significa che c’è scarsità per una quantità elevata di individui: mettere al mondo consapevolmente nuovi individui in un meccanismo che gli triterà l’anima è semplicemente perverso. Continue reading →