Broken people

MD, ragazzo che ho osservato crescere e diventare da studente universitario, ricercatore di punta, è stato bruciato dall’impegno e dalla mancata corresponsione di contropartita. Forse ingenuamente convinto che l’impegno dovesse essere giustamente essere scambiato con qualcosa di valore, un vantaggio reciproco, ha scoperto sfruttamento e menefreghismo. Tra l’altro l’ha scoperto laddove mi aveva raccontato di cose molto belle, di speranze per l’umanità, pensavo. Comunque ha dato molto e si è sentito semplicemente abbandonato, alla fine.

Per un secondo mi viene da pensare al fatto che il senso di abbandono, il non saper stare soli con sé è la differenza, che i problemi li hanno tutti, e gravi, che l’ingiustizia è la base, ma la differenza la fanno tutti quei soggetti che sanno combattere da soli, trovando certamente, di tanto in tanto, conforto in qualche alleanza, in un attimo di riposo mentre appoggiano armi e scudi, ma che poi rifanno un profondo respiro, caricano il peso del vivere solo su di sé, senza aspettarsi alcunché: loro, solo loro sono gli adatti, non noi.

Ma in fondo non è di questo che parlavo: di gente spezzata ce n’è tanta. Rotta dentro, con una crepa, una ferita che non li farà mai più tornare come prima. Azzoppati quando prima volevano – e potevano – correre. Troppo sensibili forse, troppo bisognosi di affetto senza abituarsi che no, non ce n’è sempre?

Non lo so. Penso di trovarli tutti in un club, un centro sociale. Reduci dai campi di concentramento del dolore intimo: persone che semplicemente capiscono, oppure “ora capiscono”. Sanno di cosa parli, sanno che in fondo si potrebbe fare, che in fondo sarebbe facile, ma che ora non lo è più, che ora non ne hanno più la forza, che vogliono solo che quel dolore abbia fine. Qualsiasi sia la causa di quel trauma, sono e sanno qualcosa che altri potrebbero non capire mai, né per esperienza né per ragionamento. Persone che potrebbero avvicinarsi, bersi una cosa, chiacchierare, farsi forza a vicenda… tanto quanto tirarsi giù a vicenda, invece. Come una grande mensa aziendale o scolastica, immagino donne e uomini, ragazze e ragazzi, cercare di buttar giù qualcosa, anche preoccupati di qualcosa sul cibo, sul corpo, sulla poca voglia, ma fondamentalmente seduti assieme, consapevoli gli uni degli altri e almeno miseramente confortati dal fatto di non essere esemplari unici di qualcosa che vorrebbero non fosse mai esistita.

Non essendo qualcosa con cui fare soldi resta certamente un’idea di fantasia. Non so poi se avrebbe una utilità o se sarebbe solo benzina sul fuoco del dolore, autoindulgenza quando è necessaria forza d’animo e disciplina, non stupido wishful thinking badate bene, ma solo alzarsi quando vorresti stare seduto, perché è necessario e perché potrebbe portarti qualcosa di buono, non per un senso di fascistissima volitività o di disprezzo verso il debole e una intima convinzione di inferiorità di quello stato, con colpa e magari dolo … semplicemente non so se troppo lenimento alla fine scioglie e diluisce quel po’ di entusiasmo che sappiamo tutti che potremmo avere prima che qualcosa o qualcuno lo polverizzi con qualche merdata.

chi si loda si imbroda (dolore)

Giorni fa ricevevo un messaggio meraviglioso da un’altra ragazza che, venuta a posare molto dubbiosa sul proprio fisico ed il modo di porsi, esce entusiasta, con un inizio di liberazione.

La mia cliente di SMM mi chiama entusiasta per dirmi in quanti posti la trattano come riconosciuto personaggio pubblico e mi ringrazia considerandomi “coach” (cosa che mi dice un’altra amica leggendo il messaggio che mi aveva dato tanta contentezza). E questo accade, recentemente, molte volte.

Ma chi si loda si imbroda, mi diceva la mi’ mamma. E magari non è che sia una fonte di saggezza generalizzata lei stessa, né questo detto una verità assoluta, ma… ti ricorda di non montarti la testa. Di stare all’erta, non dire di “rimanere umile” che fa già gasato; io resto sempre quell’umile ragazzo di Betlemme, lo sapete. O di Gotham City, chiamatemi pure Bruce.

No, poco fa, tre di notte, un’altra ragazza apre con dei complimenti, foto belle tutto meraviglioso, sei bravo ecc, ma non mi sento pronta […] non me la sento di fare una cosa che mi fa piangere alle tre del mattino […]  il problema in me è nato quando ho cominciato a guardare le foto, erano bellissime ma non mi sembravo io, nello specifico mi turba il mio sorriso nelle foto più o meno da sempre, ma nelle tue di più.

BAM! BAM!!! BAM!!!!! Pugni nello stomaco. Non mi sono accorto di niente. Lei è arrivata una volta ed è stata benissimo. Sembrava. Lo ha anche testimoniato, Era tutto vero, mi sembrava. Sono cieco? Poi è venuta col moroso, di nuovo, gioia, sorrisi, sexy. Per qualche motivo le scappa sempre fuori una tetta, non ci fa mai caso, infatti sta molto bene, altro che. E se devo dirlo sembra Angelina Jolie da molto giovane, quando era ancora umana, non una Dea assoluta.

Si vede che prima non le aveva guardate? O da quando è iniziato questo casino?

Ma è il sorriso a turbarla, non il corpo. E cazzo… non ha nessun problema col sorriso, secondo me. E’ un po’ in carne, si, ma non è grassa affatto, sicuramente non nel visto. Ed è molto giovane. Separata dal padre, ha anche subito violenza (rapimento e stupro io li chiamerei; il suo ex ad un certo punto l’ha rinchiusa in casa e legata ed ha abusato di lei, quindi non era più consenziente) e poi ne è uscita. Dice che la cosa del non piacersi e non guardarsi allo specchio è iniziata dai 14 anni. Col padre ha un ottimo rapporto (a distanza).

Che cazzo?

Le ho solo detto: ok, parliamone. Non voglio forzarti a fare una sola foto se non abbiamo capito da dove viene questo problema, che non viene da fuori, non sono gli altri. Siccome quel sorriso è ok. Vorrei capire. A meno che stare li a capire non le provochi dolore. Quindi: se vai avanti per la tua vita, non guardi le foto e stai bene: vai avanti e fottitene, bruciale, distruggi il DVD. Se invece comunque il problema sta li, piangi, ti senti male … stai solo guardando da un’altra parte. Prima che tu ti perda la gioia del corpo dei vent’anni, il periodo più bello che esista, vediamo. Ma solo se vuoi guardare perché ti serve. Se non ti serve, se passi oltre e stai bene: voglio solo non essere quello che ha messo il muso nella tua vita e ti ha causato dolore dove prima non c’era.

Vedremo.

Certo siamo passati dal liberarne alcune a mettere gli occhiali ad alta definizione sul dolore di un’altra, per vederlo meglio. Questo mi dispiace. Certo, lei dice che non sono gli altri a dirle qualcosa. Potrebbe quindi essere che io mi trovi solo li. Aiuto? Mi scanso? Posso, soprattutto, aiutare?

Ora aiuto me steso e mi schianto a letto.

sbattersene e via

Di tanto in tanto mi faccio problemi. Mi PONGO problemi. Mi faccio domande. Mi espongo al confronto, al dialogo, con persone che hanno espresso opinioni rispetto ai campi di cui mi occupo professionalmente.

Cioé faccio una cosa per cui mi pagano in misura tale da non dover fare un altro lavoro per pagare l’affitto e sopravvivere.

Tempo fa era un lavoro, oggi è un altro.

In ogni caso ho sempre trovato chi mi ha fatto pensare di essere inadeguato. Le argomentazioni esposte mi si appiccicavano addosso. Avrei dovuto smettere o migliorare sensibilmente, spesso studiando molto per fare le stesse identiche cose ma essendo in grado di controbattere con una serie di nozioni a chi aveva studiato. Ma il mio lavoro sarebbe rimasto invariato: il servizio od il prodotto che soddisfacevano il mio cliente (fosse esso diretto od una funzione aziendale) non sarebbe cambiato. La mia sensibilità nel variare il mio modo di agire professionalmente provengono sempre dall’ascolto del cliente, se mi è possibile, oppure alla risposta in termini di vendite che rappresenta comunque l’espressione di una preferenza, di una scelta.

Spesso, parlando con colleghi, prima e anche ora, questi mi guardano e mi dicono “ma che cazzo di problemi ti fai? Fallo e basta!” Continue reading →

il silenzio su Matteo, ma non sulla sicurezza nel lavoro. Su quello bisogna restare vigili finché le cose non cambiano.

Signora Pausini,

apprendiamo dai giornali del “dramma” che l’ha colpita e della sua intenzione di dedicare a Matteo i suoi prossimi concerti.

Ognuno ha diritto ad esprimere il proprio lutto nelle forme che ritiene più opportune, ma aver letto le sue dichiarazioni, riportate persino sui giornali di gossip, non può non farci pensare che Lei, Matteo, non sapeva chi fosse. Certamente non è così che chi l’ha veramente conosciuto avrebbe scelto di ricordarlo.

Ci rendiamo conto che i meccanismi dello show business, di fronte ad una tragedia di questo genere, impongono di assumere un contegno simile di fronte ai media. Ma è proprio a causa dell’ambiguità di questo cordoglio che sarebbe opportuno che Lei evitasse di farsi portavoce di un dolore che non le appartiene.

Forse dovremmo arrenderci ai meccanismi pubblicitari e lasciare che la strumentalizzazione mediatica ci scivoli addosso.

Ma non possiamo farlo, non possiamo perché vogliamo e dobbiamo…

View original post 232 altre parole