Alessandro Masala SHY ed il successo

Quando il tuo successo dipende da te … ” – dice in questa live Shy. E poi sento poco, ovviamente metto in pausa, me ne vado a riflettermi addosso nelle braghe, tornerò ad ascoltare dopo.

Quand’è che il tuo successo non dipende da te?

Il tuo successo dipende sempre da te, prima di tutto. La vogliamo più corretta, certo, insegnami la vita (cit). Nessun problema: non tutto quello che accade è una tua responsabilità, ma il principale responsabile di quello che ti accade sei tu. Bene, sette e mezzo.

Ma il successo?

Perché quello che intendeva dire non lo so, lo sentiremo, ma quello che arriva quando uno apre la bocca e dice “quando il tuo successo dipende da te” non sembra affatto qualcuno che tiene molto alla salute mentale. Eppure sappiamo che è così, che ci tiene, che porta avanti questo discorso pubblico: anche per questo lo seguo volentieri. Io ho quasi 50 anni e lo seguo perché dentro abbiamo cose molto simili, per come sento io, ovvio, non voglio offendere Alessandro. Ho tenuto ad ogni cosa a cui lui sembra tenere da quando lui non esisteva affatto. Ho seguito molti di quei percorsi prima che lui nascesse. E non era facile come ora. I vecchi sono gli stessi, e sono ancora vivi, gli stessi. Solo che avevano più potere, le cose si ottenevano con i loro mezzi, i soldi, il potere, lo smuovere.

I diritti, le battaglie, gli atteggiamenti, il provincialismo, la deferenza scambiata per rispetto e nessun rispetto dato. Tutta roba che è bene vedere in qualcuno che fa un telegiornale. Un “approfondimento critico serale post-fact checking” potremmo chiamarlo?

Ma alla fine:

“successo”

“dipende da te”.

Cioé, in sostanza, se non fai il dipendente. Questo arriva. E arriva il concetto di “successo”. Che, con sé, porta quello di fallimento. E queste due piccolissime cose insieme portano con sé il CONFRONTO, il giudizio, cosa sia fallimentare e cosa no. Sei un fallito, non sei un fallito.

Poi certo, partirebbe il maniavantismo, iointendevoche, nontigiudico, ionongiudico, ma è inutile. La prima cosa che facciamo è essere merdosamente umani. Attribuirci valore, in ragione di ciò che è importante per noi.

E siamo sempre quelli che guardano in alto, il più forte, che è salito in alto e ci piscia in testa pure se non vuole, pure se lo considera orrendo. Ma dentro di sé, il nucleo che ha, il sentimento, l’emozione e l’impulso incontrollato che ha, senza autocorreggersi … è quello.

Che non è affatto una critica a lui, sia chiaro. Ma un piccolo segnale di cosa sia la verità di ciò che valutiamo noi umani. Solo in totale solitudine, isolati, in nessun rapporto con gli altri, possiamo “accettarci”.

Segnalo, per i posteri (e per me che non l’ho ancora vista), questa intervista da lui stesso segnalata.

Buon un cazzo, un cazzo.

– Buon Natale!
– Buon natale un cazzo! Casini casini

– Buon giorno!
– Buon giorno un cazzo! Casini casini

– Ah.
Beh, allora possa la tua giornata grondare dolore, sofferenza, che tu possa dimenticare quelli che ora ti sembrano problemi perché nella mente, nel cuore e nella carne il dolore siano gradualmente sempre più intensi fino a farti desiderare la morte. Che dici, meglio?
– Oh ma sei matto?! Ma che già va tutto casinicasinicasiniricomincia
– Se ti auguro il bene, non va bene. Allora ti auguro il male: vedo che quello lo comprendi bene. Hai compreso che ti ho AUGURATO qualcosa, non che ne sto constatando la presenza, no?

Di solito non entri dichiarando lo stato di fatto: da un punto di vista temporale, a colpo d’occhio puoi avere una limitata conoscenza del momento presente. Quello che puoi fare, nelle tue intenzioni, che normalmente il saluto (“salute!” = ti AUGURO la salute, da cui: salutare) riassume in una formalità che però porta un contenuto sostanziale, è augurare che le cose migliorino, che vadano – da quel momento – bene o male.
Cioè quando entri in scena non si capisce come mai gli stronzi ivi presenti possano confondere la constatazione di uno stato di fatto con il buon auspicio.
Quindi “un cazzo” un cazzo, grossa testa di cazzo. Ti ho AUGURATO qualcosa a cui hai risposto “un cazzo”. Giacché non lo gradisci, passo al suo opposto, e naturalmente visto il precedente, dovresti fraintendere e considerarlo nuovamente uno stato di fatto. Ma guardacaso no. In questo caso tu capisci che si tratta di un malaugurio. Come mai? Perché sei uno stronzo maleducato antipatico?
Ma … io direi di si.
Quindi buon appetito no? Buona giornta un cazzo? Buon natale un cazzo? VAFFANCULO, entro nella stanza e VAFFANCULO. VAI (imperativo) A FARE (indica azione) ellissi che implica l’atto sessuale, IN CULO (sic).
La prossima volta che “buongiorno un cazzo” consideratevi maledetti, che vi sia augurato l’auspicio nefasto, nefando, siete ormai cadaveri che camminano.
Riguardo al natale, so bene che si tratta del Dies Natalis Solis Invicti. Quale che sia la sua storia, quale che sia il credo che professate, quello che vi si augura è che dall’istante dell’augurio fino alla mezzanotte, questo giorno sia FAUSTO piuttosto che INFAUSTO. Fine. Non va bene? Che allora vada male – ti maledico, merda rompicoglioni!
Meglio così?

Gioia et gaudio (da una riflessione dell’anno scorso nello stesso periodo).

Novax e nazismo: non diciamo cagate.

Per la giornata della memoria-dell’olocausto (che sia chiaro che è questo che ricordiamo, lo ricordiamo NOI, noi NON-ebrei, perché loro hanno già di che ricordarselo, siamo noi che abbiamo bisogno di promemoria) vedo un poster relativo a qualche iniziativa per la suddetta giornata imbrattato con del sarcastico “ingresso vietato a chi non è vaccinato”.

Come voi posteri forse avrete dimenticato, dovete sapere che c’era gente, in questo strano periodo, che non si fidava dei vaccini, che durante la pandemia di covid-19 questa posizione è diventata fazione, opposta all’impostazione del governo italiano di far guidare le scelte politiche principalmente alle evoluzioni delle evidenze scientifiche. In quel tempo, dunque, cari posteri, accadde un sacco di roba e vi consiglio di verificarla, se esiste ancora, in una delle fonti buone, come wikipedia INGLESE, cercando ad esempio “green pass” o “green certificate” o roba di questo tipo, la troverete.

Accadde, questo ve lo racconto io che ci vivo, che molte persone, che si sentivano oppresse dal governo come in una congiura ai loro danni, paragonarono la propria situazione con quella subita da varie categorie, come ad esempio gli Ebrei, durante il Nazifascismo nella seconda guerra mondiale.

La questione è ideologicamente, semanticamente, politicamente, logicamente e filosoficamente articolata, per non dire complessa, perché tanto complessa non mi pare affatto.

Prendiamo un aspetto: le discriminazioni poste in atto dal Nazifascismo sicuramente saranno state ANCHE in diretta relazione ai semplici “oppositori”, sicuramente. A nessun novax è stato impedito, dal governo, di esprimersi, di dire dettagliatamente ogni genere di corbelleria, di sostenerla in ogni dove, di permettersi di confrontarsi con persone che sanno di quel che parlano e sono in grado di sostenere ciò che dicono esattamente come farebbero con i loro pari, nella comunità scientifica, che è già scettica per impostazione metodologica. Ma le discriminazioni principali poste in atto dal Nazifascismo erano relative ad aspetti nativi di quegli esseri umani: gli Ebrei non potevano disebrearsi, erano nati o erano figli di genitori, avevano cognomi, non era frutto di una scelta. Non era frutto di una scelta essere nato zingaro, omosessuale, disabile fisico o cognitivo, malato, debole. Eri qualcosa, lo eri, non avevi scelto. Non intendo seguire la giustissima obiezione che ci porterebbe altrove, cioé che anche essere perseguitati per una scelta è un problema. Come ho detto gli aspetti sono molti. Il problema è che stai offendendo tantissimo la memoria di persone assassinate, torturate, rapite, stuprate, ammassate come bestiame, disumanizzate per il solo fatto di esistere, senza alcun processo democratico.

Soprattutto ti stai dimenticando delle basi della democrazia quando la invochi in un paragone simile.

C’erano, cari posteri, molte persone che si sentivano come gli Ebrei della seconda guerra mondiale che non potevano entrare nei negozi in quanto ebrei. Ma essere Ebreo era come “Essere Giovanni, essere Luisa, essere nero di pelle”. Ora, se non vi è chiaro il paragone, sbagliato, facciamo che sia “finire in galera” la questione, a puro titolo di esempio. Finisco in galera perché ho violato la legge. Non perché sono. E’ perchè opero una scelta, faccio qualcosa che la legge dice non si possa fare, oppure NON FACCIO qualcosa che la legge dice sia OBBLIGATORIO fare. Ove non ci sia obbligo o divieto, si vedrà tutti insieme, ma sono passati parecchi secoli perché qualcosa di basilare non sia previsto dall’esperienza delle generazioni passate. Io NON finisco in galera se SONO disabile, nero di pelle, donna, gay. Finisco in galera se estraggo il cazzo in piazza e lo spingo in bocca ad un passante. Io FACCIO qualcosa. E non faccio una cosa vietata in sé: non è considerata una pratica vietata quella del sesso orale, in Italia. Ma ho forzato qualcuno a sottostare alla mia volontà, ho operato una scelta libera, laddove questa libertà non mi era concessa, perché doveva confrontarsi con quella altrui.

Come si cambia tutta questa roba lo sappiamo? Si cambia con LA LEGGE, con il processo democratico, con la tanto invocata Costituzione, che la devi pure saper leggere però, perché tutti continuano a dimenticare “CHE LA ESERCITA NELLE FORME E NEI LIMITI DELLA COSTITUZIONE”, la benedetta sovranità dello stracazzo di popolo. Questa minchia di popolo (salve! sono anche io il popolo!) continua a rivendicare basandosi su un grammo di conoscenza, quando se avesse almeno metà della conoscenza necessaria relativamente alle rivendicazioni che esprime a gran voce, impiegherebbe il tempo a colmare questa lacuna dell’altra metà. E alla fine si porrebbe, probabilmente, questioni diverse, in altri termini, di un tenore diverso, di levatura diversa, su dettagli e forme.

Resta il fatto, caro lettore del futuro, se mai esisterai, che il governo stesso non ha il potere di mettere in atto controllo e repressione. In ogni dove, in campagna, in periferia, nei luoghi dove si è sempre fatto qualcosa lontani dagli occhi, ora si fa anche questo, si viola sfacciatamente ogni genere di restrizione alla libertà ordinata perché siamo in questa situazione pandemica e non per altri motivi. Anche a me rompe il cazzo ogni genere di restrizione, le mascherine e dover pensare a chi fa, sempre a cazzo, il paragone tra il green pass e la tessera del pane sotto il fascismo sentito in ogni posto dove basta tirar fuori il cazzo di cellulare e fare bip e fare il cazzo che vuoi. A nessuno, mai, in tutta la pandemia, in Italia, è mancato il cibo: già sotto Conte, in piena emergenza scoppiata, è stato chiarito a tutti che i negozi di alimentari sarebbero sempre stati raggiungibili da tutti e rifornibili… ma solo doverlo chiarire mi fa incazzare. Ma lo dico a te, lettore del futuro. Sappilo. Qui la soluzione è leggibile nei numeri: vaccino, seconda dose, terza dose e poi vedremo le evoluzioni sia del Covid, sia della medicina che cerca di bastonarlo. Eppure per strada la gente ancora non capisce, vaccinata o meno, che “ci si ammala lo stesso” significa non capire che ci si ammala molto meno, ci si contagia molto meno, si contagiano gli altri molto meno, si finisce meno in ospedale, si muore di meno. Perché ci si ammala anche di altro, ma non la chiamiamo pandemia per nulla.

Ma mentre si protesta, io me ne vado in giro seguendo quanto più possibile (ho una memoria di merda) le regole su mascherine, distanze, disinfettanti, presentazione del green pass… e mi sento un coglione perché lo sforzo di chi fa questo è bilanciato – nel male – da una marea di gente che se ne fotte il cazzo: altro che nazismo. Vai in giro e la maggior parte della gente è assembrata, senza mascherina, sono ragazzini quindi non è detto siano vaccinati, nei negozi i negozianti stessi si mettono la mascherina se entra uno con la mascherina, ma prima non la avevano, la avevano ma abbassata con il naso fuori (che serve come le mutande se tieni fuori il cazzo) ed erano con clienti senza a fare come se non succedesse niente. Che per carità, speriamo tutti in bene, ma di certo non contribuiscono a fermare la pandemia, questi, e nessuno fa nulla, non è che siano inseguiti a manganellate. E quasi di sicuro sono vaccinati. Figurati chi per scelta non è vaccinato: quindi NON sono protetti e incitano i propri cari a fare lo stesso, mantenendo un bel gruppetto di gente così, non usano le mascherine, se ne sbattono di assembramenti eccetera, poi magari gli serve andare al supermercato, si mettono la mascherina (chirurgica, mai FFP2) usata da un anno e mezzo, ci vanno e pascolano in mezzo a tutti quelli che cercano di dare il proprio contributo.

Ma quale fascismo? Quale nazismo? Devi andare per strada, nei vari posti, guardarti in giro e vedere che ci sono MASSE che se ti vedono mentre rispetti le regole fanno la faccia di chi da bullo indica come “sfigati” gli altri. Altro che fascio, altro che nazismo. La realtà è che chi vuol fare il cazzo che vuole si riunisce in gruppetto e nessuno ha la forza di far rispettare una legge che la maggioranza del famoso minchia di POPOLO approva. Sono popolo anche io. Siamo 59.000.000 di persone. Se 2.000.000 sono novax, voglio ricordare che per quanto tanti, sono una esigua minoranza e che la LEGGE è approvata (non osteggiata) dalla restante maggior-parte-del-popolo. Che non vede l’ora di togliersi una pandemia dal cazzo, non di essere la razza superiore.

PiagnisDeo

Che sia un rifiuto di tutta la vita verso i miei, mi è venuto in mente poco fa. Al cesso, ovviamente. Che il non voler avere figli, da parte di tutti noi figli, significasse qualcosa. Che tutti noi non ci siamo sposati, significasse qualcosa. Poi penso alla religione… forse anche il senso del dovere? Il rifiuto dico. Io la responsabilità e il dovere, in un certo senso, li rispetto e li ritengo onorevoli, fondativi di una società affidabile, che funziona, che può aspirare alla Giustizia. Serve. Sono valori.

Ma il dovere come spirito vitale, come senso della vita, come alzarsi-la-mattina. Questo, forse? Forse lo rifiuto così?

Un piagnisteo, un capriccio lungo cinquant’anni, sarei io?

Che mica bisogna sposarsi come si sono sposati i miei. Mica bisogna far figli e tirarli su come loro. Non che poi abbiano fatto un pessimo lavoro… ma qualcosa chiaramente dice che non è andato benissimo. Per i miei dev’essere chiaro. Uno è un conto. Ma tre… tutti e tre? “Abbiamo sbagliato qualcosa” si saran detti?

Speriamo di no.

Certo che io cagare e basta no eh?

Che già sto ascoltando Brian Eno e cercando di leggere fantascienza.

Ma no, io devo mettermi ad avere epifanie cessuali.

Mah. Del resto, sono la decadenza di uno sfigato; fare autoanalisi è bullismo.

Eh ma

Dovremmo chiedere critica solo da parte di coloro dai quali le accetteremo. Non hanno nessun altro senso, altrimenti. Forse si, se siamo statistici, se siamo distaccati: avere una base numerica di sensazioni e impressioni di chi riceve ciò che di nostro gli viene sottoposto. Ma tutto qui. Siamo poi in grado di elaborare e fare nostro o comunque utilizzare noi in modo costruttivo la critica? Di per sé la critica è una critica, non è distruttiva o costruttiva. “Fa schifo” non è una critica. “E’ scuro” è una critica. “è troppo zuccherato” “eccede il livello” “ha troppi bassi” “manca di spessore” “è scomodo e ti mostro quando”. Queste sono critiche fattuali, ti dicono cosa succede. Tu puoi o puoi non prendere provvedimenti. Puoi considerarli o meno.

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bad vibrations

Rancore, risentimento, muso, fastidio, “uffi uffi”. Mi hanno chiamato a fare un discorsetto, un racconto, un bla, come vi avevo detto, presso un’associazione fotografica, un classico fotocineclub di provincia. Li ho sentiti prima di partire per la luna, ho visto la sede, abbiamo chiacchierato… alla fine vado a braccio, chiacchiero, sono a casa mia, non ho problemi. Unica cosa era il lato tecnico: vogliono fare evento Facebook? Ci sono proiettori o cosa in sala? Devo per forza portare le mie foto? Le avrete già viste no, altrimenti che vi frega di me?

Evento: non ci avevano pensato ma anche si.

Foto: devi portarle.

Ok allora ricordo che nella stanza c’era un televisore di quelli che accettano le chiavette USB: risolvo i problemi di test, profili colore, calibrazione e impostazioni varie.

Volete lo stock o i nudi? Vogliamo tutto, se non ci sono problemi con le ragazze. Miraccomando non si vede la mia faccia, mai, in foto in giro. Solo e sempre il logo.

Quindi mi accingo a preparare l’immagine di testata per l’evento Facebook: approfitto di una sessione di scatti non consegnata in corso, prendo una cosa dove si capisca chiaramente un po’ di quel che faccio. Poi ne cerco una dove esagerare un po’, dove c’era una tipa splendida. Ma guarda che ti riguarda e mi incazzo sempre di più. La vedo un po’ grassa, più imperfetta di quel che ricordavo, ma in modo che non mi va tanto… ma non tanto per la forma del corpo quanto per quella che percepisco come una protezione continuativa, un nascondersi, una serie di compromessi, un percorso per arrivare a qualcosa… che non è arrivato, che poi abbiamo smesso. Che ok, lei è bella, ma le foto forti, quelle giuste, sono castrate, private della loro vera forza, un gradino sotto, censurate. In una c’è la forma, nell’altra la spudoratezza, nell’altra la bellezza, nell’altra la giovinezza acerba, nell’altra ancora il tirarsela, nell’altra la nudità di precisi punti del corpo, in un’altra la luce o il mood. E vaffanculo quasi sempre quelle giuste non sono nudi totali. Io BANDISCO L’ESISTENZA DELLE MUTANDINE. BASTA cazzo! Basta! Fanculo. E’ stata una delle più belle. Ma alla fine credo che “pancia piatta” sia forse il punto “se non so un cazzo di te e devo scegliere: pancia piatta, si, dubbio, no”. Perché se c’è quella, di solito, assieme ci sono altre caratteristiche. Ma l’atteggiamento… quello è diverso.

Allora opto velocemente per lei. Soffro poco, molto poco. Sorrido per quel momento, ora mi fa meno male. Ma anche lei, stessa cosa, ad un certo punto non ha “obbedito ai comandi”. Questa cosa la dovrò tenere più sotto controllo. Alla fine magari ho migliaia di scatti e un grande sciacquone da tirare. Ho messo due nudi – bianco e nero – in tutto, censurati ovviamente, per FB. Ci ho farcito tanti mini riquadri di vecchia roba stock e schiaffato il logo. Seguito le indicazioni sul formato del 2019. Seguito le indicazioni che dicono di fare quelle, con quella ratio, ma di farle pure più grandi. Ok, raddoppio. Altro? Basta.

Ma questa cosa mi ha tirato giù. Mi sono messo io in un gorgo di relazioni difficili. Ma questo è. Se vuoi la modella coin-operated, poi però il tuo cervello lo sa. Se invece è la modella “facciamolo insieme” … insieme significa che lei fa parte della cosa. E’ un equilibrio bello difficile quello che mi sono scelto eh.

Per questo è importante andare avanti e fotografare ancora. Ho molte foto mie che sono solo un promemoria di “rifare”, rifarla meglio, rifarla con, senza, che si veda questo, che sia più, che sia meno, ricordati di. E poi dovrò di nuovo guardare un po’ di anatomia in altre foto. Forse chiedo troppo a corpi che non sono giusti? O forse semplicemente il momento di vederle bene arriverà.

Comunque memo: mentre tornavo dalla luna ascoltavo la radio: intervistavano una ragazzina che fa uno sport spettacolare, molto da esibizione, in stile pattinaggio artistico, per capirci. Dicono di dov’è: assolutamente a portata, chilometraggio da casa mia: molto bene. La cerco su Instagram, la trovo, la contatto. Mi ha risposto, sembra positiva. Vedremo.

Poi mi è venuto in mente che la mia modella smilza e splendida va a qualche chilometro dalla luna, all’università, quando ci andrà. Forse posso combinare dei viaggi condivisi e chiacchierare, ma molto, molto meglio: quando avrò tempi morti ad un’ora c’è lei, se per caso si può… la location è splendida… e magari potrò fare shooting pure lì! 🙂 GH! Se stai positivo di solito le cose arrivano meglio, si sa. Sei più aperto. Ovvio, anche a far entrare i cazzi roventi con le punte eh. Ma magari sei più attento.

Nel frattempo il tagliando ha previsto un bel “DISCHI DEI FRENI USURATI” e un conto totale di 480 europorcodduecazzommerda.

Devo

assolutamente

fare

quel

fottuto

lavoro dove hanno già i soldi in mano da darmi. E con quelli non mi godrò la vita: semplicemente salderò un conto. E sempre sia santo il mio meccanico che mi permette di pagare rateale. Santo sempre.

violenze lessicali

Conosco una donna. Questa donna ha rotto col suo ex. Hanno dei figli. La separazione non si è svolta in maniera liscia. Ora lei cerca di essere asciutta nelle comunicazioni e lui non perde occasione per rompere i coglioni. Ok, storia già sentita, mi direte.

Un dettaglio non indifferente è il lessico. Questione irrilevante, direte. Quando subisci angherie, violenza verbale (violenza è qualcosa contro la quale non ti puoi opporre, ci dice il dizionario – ed è verità perché se ci sono di mezzo i figli non puoi bloccare ogni cosa), direte, che sarà mai un congiuntivo sbagliato?

Ultimamente cerco, con chi ha affinità con me, di spiegare una cosa in cui io credo: che si possa parlare con la logica anche dei sentimenti.

Cosa provi? Provo questo. Allora questo è un dato di partenza che funziona così, lo si può trattare con logica. E non sono Odifreddi eh.

Come persona fatta in un certo modo, tu incontri e fai entrare nella tua vita anche persone che si comportano in un certo modo, che si atteggiano in un certo modo. Possono essere oneste ed integre, coscienziose nell’economia ma essere ombrosi e scorbutici, sbattere ogni porta possibile, urlare e tirare su col naso sempre. Magari sono adorabili, ma in qualche modo non li vorreste nella vostra vita. O magari si, magari proprio per questo. Vi piacciono o no, ma per questo. Ora questo per me è un dato di fatto. Può sembrare , di primo acchito, ininfluente in una relazione che si sfascia ed in cui gestire la prole ed il futuro (ma soprattutto il presente) di piccole persone che crescono, che ami, il modo in cui il tuo ex partner compone una frase.

Ma quella persona ha fatto parte della tua vita. Forse proprio quella parte ti ha ricordato che qualcosa non andava, ogni giorno. O forse, ancora peggio, il tuo ex partner è regredito nel comunicare, apposta o inconsciamente. Ma comunicare con te. E ogni volta oltre al dolore sostanziale, c’è anche quello formale, come sentir pronunciare parole di odio nei tuoi confronti si, ma con una voce che gratta le unghie sulla lavagna, che stride, che stona ed è sgradevole per qualche motivo di superficie.

Una lettera di insulti che prima sia stata intinta negli escrementi, per puzzare quando la riceverai.

Se ami la lingua italiana magari trascuri questo dettaglio quando ami il tuo partner ed anteponi il suo bene e tutto il bene che quella persona è. Lo hai messo da parte, magari glielo hai anche detto, che non importa, perché nel bilancio totale conta di più quella persona. Non senti le stonature, non odori la puzza, passi sopra a tutto perché arriva un raggio di luce.

Quando quella luce non c’è, il resto si vede ancora. E se è usato volontariamente od involontariamente può colpirti, se hai quel genere di sensibilità. Ora, che tu ne faccia un’arma, un motivo di scherno o simile, sta a te: qualifica te.

Io cerco di non armarmene mai, ma a volte ammiro chi ci riesce sempre. Perché a volte è necessario capire. Devi. Devi chiarire, e quindi devi chiarire “non ho capito”. O spiegati meglio, oppure “hai detto lascivo, intendevi dire permissivo?” (caso di ieri con la benzinaia che mi ha detto che era troppo lasciva con me… ehm, no signora, non è lasciva, le assicuro).

Cazzate. Mattoncini. Io scrivo, sento. Non voglio arrivare da nessuna parte ora. Solo mettere giù la sensazione.

#nondirloalfotografo – così fai qualche foto

Salve salvino! La serie #nondirloalfotografo spiegata al grande e meraviglioso pubblico dei quattrogatti oggi prevede la mia personale pignainculo fastidiosa:

porta la reflex così fai qualche foto #nondirloalfotografo

porta la reflex così fai qualche foto #nondirloalfotografo

Eh ma che permalosi che sono questi fotografi eh! Madonna! Non si può mai dire niente eh?! Ecco, io inizierei a chiedermi se sia necessario attingere niente meno che alla libertà di espressione o di parola per difendere l’incapacità di contenersi dal blaterare a caso, dall’essere indelicati, e tentare invece di osservare con un po’ di rispetto l’altro-da-noi come se fossimo noi stessi (biblico eh?) oppure il nostro lavoro o la nostra passione. Cosa ne sappiamo davvero?

Il motivo per cui questi signori hanno elencato nei tormentoni questa frase da non dire è la richiesta interessata. Giuro che io non ci avevo pensato. Mi dà talmente fastidio in sé che mi si dica cosa fare (e dopo, sotto vi spiego il mio motivo) che non avevo pensato che fosse una richiesta maliziosa, interessata, opportunista. Lo dimentico. Quindi di solito dimentico la fotocamera a casa perché non me ne frega una sega, porto il cellulare e se qualcuno mi dice “eh ma non hai portato la fotocamera?” dico “no, vuoi delle foto? te le faccio con questo se non le fa nessun altro”. E di solito, se proprio sono stupidi, la risposta è “eh ma allora così me le facevo anche io” – “e infatti, cara testina di cazzo, è proprio quello che fai quando non vuoi pagare un professionista per il suo lavoro ma fai finta di offrire quando invece vuoi richiedere del lavoro gratis”.

Giuro, non ci penso mai. Vogliono delle foto di quella cosa che dovreste condividere e allora fanno finta di fare appello alla tua passione e offrirti una splendida opportunità di fotografare qualcosa che se tu avessi voluto, visto che stavi già andando lì, avresti fotografato per tua scelta, senza suggerimenti non richiesti visto che, è noto, sei un fotografo e quindi non serve suggerirti di fare una foto. Continue reading →

mi piacevi

Tra i vaffanculi che salgono ai cieli in canti di giuoia ci sono quelli dedicati al “mi piacevi”. Al passato. “Una volta mi piacevi”.

In particolare ricordo quelli di uno dei capodanni peggiori della mia vita. Ne ricordo alcuni, ma questo è sempre scolpito nella mia mente (età attorno ai 18 ma non so quanto prima e quanto dopo).

Per questa volta non ve lo racconto tutto. Ma in quella festa mi ritrovai con tre, ho detto TRE tipe diverse che mi rivelarono “sai quando eri a scuola mi piacevi“.

inni di gioia si elevano al cielo

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mi esprimo fastidiosamenPERMALOSO

Nel meraviglioso articolo di Tiasmo riguardante ” Cinque frasi motivazionali che mi hanno rotto le palle. ” avevo immediatamente provato senso di empatia, immediato, viscerale: che vadano affanculo, ahahah rido.

LOL.

Ieri ho visto per una giornata persone che, senza andare dai motivatori, di quelle motivazioni vivono. Una per una. Persone semplici, non pompate, non esaltate. E mentre parlavo con questa donna che alza la testa da una vita durissima, di ogni passo, ogni faticoso abbandonare la comfort zone, ripensavo a quanto facilmente ho crassamente riso. Ma ancora una volta, è ridere del prof che ti dice cosa fare, senza ricordare che a lui non gliene frega un cazzo se lo fai. Sono tutti fatti tuoi: non vuoi motivarti? Non vuoi uscire dalla comfort zone? Non vuoi splendere? Non vuoi godere delle piccole cose? Trovi mille modi per rendere ridicolo quello che potrebbe essere il tuo appiglio? Accomodati, a me che te lo dico non cambia di una virgola: nella comfort zone ci sei già, non devi fare nulla per cambiare. Ma ci si domanda: che sia sarcasmo o non usi questa modalità, la critica che muovi è valida, sensata?

Ecco, quando passo dal “sono d’accordo con te” al “ma quello che dici ha anche questo aspetto non-condivisibile e ti dico come mai” … ecco che la gente mi manda affanculo mentalmente, fisicamente, direttamente, indirettamente. Si indispettisce, si chiede “ma cosa vuoi?”. O “ma perché mi dici questo?” senza pensare che il primo atto comunicativo sul “ma perché dici questo?” lo hanno prodotto loro: tutti noi potremmo chiedere subito “ma perché dici questo?” a ciò che hanno detto. Ma di solito o tacciamo o manifestiamo assenso. Io di solito, se c’è da ridere, rido. E poi ci ragiono. E di solito non sto muto. Cosa che dovrei fare. Dovrei ragionarmela per i cazzi miei senza comunicarlo, perché da fastidio, suona sempre da bastiancontrario e me ne rendo conto. Eppure io non lo faccio per dare contro, ma semplicemente per ragionare sui molteplici aspetti dello stesso concetto. Continue reading →