ciò che non potrà più essere fatto (così)

Una delle cose che può capitare, a livello di spesa, di acquisto, acquisizione, di voglia di avere, è quello che avresti voluto avere quando non potevi averlo. Il problema sorge per tutte quelle cose che devi fare quando è il momento di farle. Altrimenti resteranno irrisolte. Ad esempio tutte quelle che attengono alla creazione di relazioni e alla loro partecipazione in specifici momenti della vita. Idem dicasi per le attività. Potrai forse comprarti cose che avresti voluto da piccolo. Ma sarà più facile che abbiano senso solo se le hai vissute. Se le hai desiderate ma non vissute, averle dopo ti darà un senso di vuoto, di inutilità delle cose, del troppo tardi, senza alcuna speranza, voglia di buttarle via. Non puoi tornare indietro a fare quello che avresti dovuto fare a 13 anni nel modo in cui è giusto farlo a 13 anni. Non puoi più vivere certe cose. Le stesse identiche cose non sono affatto identiche ad età diverse quando sono prime esperienze. Alcune semplicemente non possono essere comparate pur se identiche nella sostanza perché il loro intimo legame con “all’età di X anni” è determinante. Giocare in un certo modo all’età di 6 anni. Giocare in un certo modo all’età di 10 anni. Giocare in un certo modo all’età di 13, di 15, di 18. Non è il “giocare in un certo modo” ma “giocare in un certo modo all’età di” che non puoi ripetere. Puoi ripetere il gioco, ma non puoi avere di nuovo quel tipo di interazione con gli altri, ad esempio, perché tutti non hanno più quell’età. I sentimenti e le sensazioni probabilmente sono diversi: sono nostri, personali, soggettivi. L’amore, la perdita, il lutto, la gioia, l’ebbrezza, il dolore della tristezza. Avranno forse nuove sfumature, ragionamenti sopra. Ma il nocciolo dell’emozione, della sensazione, del sentimento, per me non cambia molto: ami a 15 anni e a 90. Resta il problema che tutto ciò che coinvolge il corpo può modificare le semplici possibilità di accesso, di interazione. Devi farlo quando devi farlo, non perché non si possa più fare “per legge”, ma perché socialmente potremmo non accettarci in luoghi del tempo che non sembrano più i nostri. Non è vietato. Sono tutti benvenuti quelli solitari. Puoi fare quel che vuoi, essere giovane o vecchio dentro, da solo. Ma con gli altri l’esperienza cambierà, specialmente se non vi conoscete.

Posso sicuramente laurearmi ad 80 anni.

Posso imparare una cosa che si studia a qualsiasi età, se ho le facoltà intellettive integre. Cambierà il tempo e la fatica che ci metto.

Ma non posso dare il primo bacio come lo avrei dato a 13 anni. Non puoi fare l’amore come lo avresti fatto a 16 nemmeno quando ne hai 20. Non puoi giocare con gli amici in cortile come quando avevi 10 anni, anche se ne hai la facoltà.

Ecco dunque che se non ti viene dato lo spazio per quel tipo di attività umanissime e sociali che vanno elaborate nel momento giusto, qualcosa non potrà mai più essere vissuta, di certo non in quel modo. La sua scoperta, la sua crescita, la sua elaborazione e rielaborazione saranno irreparabilmente mancanti di alcune parti per il semplice fatto di non averle potute vivere con un corpo, una mente ed un gruppo sociale di una certa età della nostra vita.

Adesso devi studiare, adesso devi pensare ad altro, prima il dovere. Sono tutte cose che andrebbero pensate e governate con misura: che una persona sia colta o meno, abile o meno in un lavoro od altra attività pratica, cosa sarà in rapporto coi propri simili, con gli amici, gli amanti, la popolazione e la legge? Come si è formato, come ha elaborato? Certamente lavorare costituisce un mattone insostituibile della crescita per la comprensione della politica, soprattutto. Ma molto prima ci sono cose di cui invece il lavoro occuperà grandissima parte del tempo di qualsiasi persona non ricchissima.

Quel tale diceva “Quando ero bambino, parlavo da bambino, pensavo da bambino, ragionavo da bambino; ma quando sono diventato uomo, ho smesso le cose da bambino” … ma io non sono mai stato d’accordo. In primo luogo non è segno di “UOMITUDINE” smettere tutto o qualcosa. Ma mi conferma che non ha scritto SENTIVO e PROVAVO da bambino. La sensazione, il sentimento intimo, le emozioni, non si è azzardato a dire che non le provavi. Rielaborare, d’accordo, ma quel che provi è sostanzialmente lo stesso.

la regola del tergiverso

Quando il supremo maestro era solo un amico (e non maestro) si dialogava parecchio via e-mail. Tra i mille discorsi fatti c’era quello relativo al fatto che io (non ricordo più se anche lui) facevo troppe cose, ne iniziavo molte e non le finivo subito. Tergiversavo molto, mi spostavo da una all’altra. Perdevo tempo? Ad ogni modo, quasi circolarmente, facevo questo, poi quest’altro, poi quell’altro ancora. Ad un certo punto una di queste attività poteva avere una scadenza. Ma nonostante questo, con senso di colpa, brivido, un po’ di terrore, le mie chiappe comunque non si muovevano.

Era molto più potente il costante circolare tra una e l’altra cosa, un po’ avanti, un po’ avanti… finché ad un certo punto queste cose venivano completate.

La chiamammo la legge, la regola “del tergiverso”. Ovviamente poi nonsensando su un universo che arrivava su un altro unuverso per ripulirlo come un enorme tergicristallo sulle stelle e le galassie rendendo il secondo universo molto pulito ma con tutti i segni delle stelle strisciate su quello precedente perché non avevano cambiato i gommini.

se non ti ami tu, chi ti può amare? [cazzata]

Un noto psicologo, sulla solita scia – comedaoggetto – del “se tu non ami te stesso, come puoi aspettarti che lo faccia qualcun altro?”, ci propone la variante “se non rispetti tu la tua natura chi può rispettarla?”.

CHIUNQUE VOGLIA.

Questa è UNA delle migliaia di risposte che questa cosa illogica ha. Naturalmente se fosse posta in modo più articolato, ovverosia qualcosa come “se con gli altri non metti in luce i tuoi lati migliori, perché sei concentrato a lamentarti pubblicamente dei tuoi difetti, sarà difficile che notino le tue caratteristiche positive”. E qui ci potrei anche stare.

Ma il tartufo puzza, ce la mette tutta. Eppure è buono. E aggiungerò: il tartufo non piace a sé stesso. Eppure piace agli altri. E via dicendo con milioni di cose e persone che non si piacciono, ma piacciono AGLI ALTRI.

Ora, dopo aver detto questo, se siete dei veri pessimisticosmici-autodistruttivi-selfshitting Trademark(C) , allora, io lo so, perché sono qui anche io con voi, il ostro ragionamento sarà “e quindi se non piaccio comunque a nessuno, nonostante questo, allora faccio straschifo al cazzo per davvero”.

Ma siccome quando si tratta degli altri non funziona mai così, vi dico: forse solamente non avete trovato la persona a cui fa schifo la vostra puzzadimmerda perché anche se siete delle merde dovete andare fuori nella fogna del mondo e MESCOLARVI con il resto della merda. Esiste un’altra merda anche per voi, molto, molto probabilmente. Potreste essere stufi di aspettare. Ma se state aspettando a casa vostra, chiusi, senza avere nessun contatto di nessun genere con nessun altro essere umano… beh, siete un po’ come quelli che cercano lavoro guardando la TV x 24 ore sul divano e aspettando che il lavoro arrivi loro in faccia. Non succederà, ma non è colpa degli altri perché “fate schifo” o non avete caratteristiche interessanti. E non è che esponiate quelle brutte. No, non ne esponete nessuna. State nascosti. Nessuno sa che esistete. Questo rende divertente il lavoro del dio sadico che dall’alto vi vede nelle vostre scatolette a rigirarvi nel dolore fino alla morte. Ma è lui l’unico che vi vede. Gli altri… dovete aiutarli, uscendo.

E ripeto: io sono uno che sta cercando la bombola di monossido puro, eppure ho visto casi di gente che si lamenta di non piacere a nessuno, ma restando chiusa in casa. Li conosco solo perché dall’infanzia qualcosa mi ha dischiuso la loro casa. Fine, tutto qui.

Io attualmente sono sempre alla ricerca del modo di morire rapido-e-indolore.

MA

Mentre sono qui, ogni giorno, la fatica principale è alzarsi, ingranare, cercare di fare. Ecco, FARE è quello che bisogna … fare. Il non-fare, non porta un po’ da nessuna parte. Inazione totale. Restare a non fare nulla, non interessarsi a nulla, non leggere, non appassionarsi, non provare niente da fare… questo porta a poco a poco al peggio. Non si resta statici.

Ma per tornare a bomba: se non ti piaci, non è affatto detto che tu non piaccia a qualcun altro. Magari non gli piacerai tanto da succhiarti il cazzo, leccarti la fica, baciarti, avere il tuo corpo o desiderare di procreare con te. Forse nemmeno di venire al cinema con te. Ma magari di chiacchierare con te persino 30 minuti, ogni tanto, potrebbe darsi. E vi assicuro che ad alcuni livelli di solitudine questo non è affatto male. E non parlo dei poveracci ad un angolo di strada. Ma di persone vere, interessanti. Carine.

Puoi lamentarti. Oppure puoi fare qualcosa.

Ho appena letto un botta e risposta in uno dei soliti gruppi specialistici: questo è sul microstock; questi gruppi essenzialmente (non si sa perché: nel mondo di usenet questo capitava, ma molto meno: o forse so perché: c’erano regole ed in alcuni casi moderatori intelligenti) sono zeppi di lamentele. Tutti si lamentano: alcuni sono allarmistici (shutterstock chiudeeeee, istock chiudeeeeeeeee, tutti falliremooooooooooo ) mentre la maggior parte si lamenta della infima percentuale che guadagna. E’ vero. Non sei però obbligato a stare a quelle regole. Metti su un symbiostock tuo e vediamo se guadagni come con la agenzia che in quel momento ti sta sulle balle.

E’ vero che ti danno poco. E lo sai da subito, da prima. Fai il fotografo? Prova: prova nel mercato tradizionale. Ce la fai? Fai l’illustratore? Ce la fai? Riesci a farti pagare (e in Italia poi) per quello che fai? Il giusto? Fai il videomaker? Il musicista? L’animatore grafico? Modellatore 3D ? e RIESCI a guadagnare? Ottimo! non ci riuscivi e con lo stock si?

E allora chi deve cosa a chi?

Questa conversazione – circa – l’ho letta e mi ha ricordato quanto duramente ho dovuto combattere con questa decisione. Guadagnare nel microstock non è affatto facile. Oppure si: alcuni meccanismi sono facili. Ma produrre sempre guadagno, continuativamente, non è facile.

Ma lamentarsi non produce alcun cambiamento. Fare. Questo produce cambiamenti. Certo, sarebbe ottimo riuscire ad organizzarsi globalmente in un sindacato dei produttori di materiali frutto dell’ingegno ed avere protezione. Ma … guarda un po’: le major discografiche non sono riuscite a produrre i loro interessi nonostante fossero dei colossi. E qualsiasi organizzazione dal basso deve fare i conti con un crudissimo individualismo sottostante, che è il contrario del “lavorare per noi”.

Io ho problemi. Tu hai problemi. Lamentarsi è possibile. Dire che le agenzie esistono perché noi esistiamo è vero… ma anche che senza le agenzie noi dovremmo competere in un mercato molto locale è vero. Oppure imparare competenze, pagare server, web agencies, imparare cose diversissime. Già così è vero: fotografo, illustratore, musicista: comunque se vuoi vendere stock devi fare molto altro oltre a produrre il tuo materiale. Ma se l’agenzia non facesse la sua parte che faresti? Non voglio affidare loro tutta la mia sicurezza, ma nemmeno considerarli sfruttatori. Ci dobbiamo usare a vicenda: è giusto. E’ uno scambio. Proprio come il denaro e il lavoro.

per noi sono esigenze, per gli altri sono fisime

disappunto

disappunto

Se tutti rompessimo un po’ meno il cazzo sarebbe, in molti casi, un po’ meglio. Perché oggi noi siamo aggressivi e domani noi siamo aggrediti. Oggi il mio modo di fare le cose è una merda, intollerabile, ma comecazzosifaafareinquelmodo, eccetera. Domani sarai tu a dover fare una cosa, a dover IMPARARE a farla, magari. E allora succederà a te.

Se fossimo un po’ più decisi nell’insegnare come si fanno le cose ma un po’ meno duri durante il processo di apprendimento e soprattutto in generale fossimo un po’ meno stronzi nel continuare ad emettere giudizi su tutto, credo ne potremmo guadagnare. Sapere che cosa sia il meglio ma contemporaneamente non esigerlo da ogni cosa ci renderebbe più sciolti.

Certo, ovviamente così si fa media al ribasso, si tende al peggioramento generale. Certo dare il diploma ad un ignorante non è quello che intendo. E certo non è quello di conferire titoli, attestati o riconoscimenti ufficiali. Sto parlando dei rapporti basilari interpersonali e di cose normali. E del modo con cui ci rapportiamo al processo di apprendimento ed anche di applicazione quotidiana diverso da quello nostro.

Ma non so: non sarebbe meglio SAPERE come si fa al meglio e contemporaneamente dire “ok, ma non richiedo questo a tutti” ? Sarò più specifico, perché è chiaro che generalizzare il processo non va bene: genera diffusione di ignoranza, lassismo, e peggiora le stesse cose che intendo migliorare.  Continue reading →

Sul discorso di Marchionne alla Bocconi

Bocconi, 30 marzo 2012 – Avete forse avuto modo di leggere l’intervento di Sergio Marchionne presso l’università Bocconi. Se non lo avete fatto, fatelo. Potete farlo presso queste fonti (CLICK) ed è importante perché si tratta di quel genere di discorso alla Jobs che molti poi prendono ad esempio come se fosse una verità da santone; meglio dunque conoscerlo. Il discorso è molto bello, non lo metto in dubbio. Ecco cosa scrissi a mio padre nonappena me lo sottopose, dopo aver smesso di risentire dell’effetto-commozione:

Sono belle e sono sicuramente condivisibili, ma come sempre si rivolgono solo ai cosiddetti “maschi-alfa-del-branco” e non al branco intero. Ti sferzano a “darti da fare”, ma le due categorie di persone come possono metterlo in pratica, nella realtà? Certamente non hanno le stesse possibilità e quindi non si può pretendere ed aspettarsi lo stesso comportamento da entrambe le parti.

Immagine raffigurante lavoratori, un po' inquietanteLe uniche parole che si riferivano alle persone comuni sono “…spronare la nostra rete produttiva italiana ad adeguarsi agli standard necessari a competere a livello internazionale e a produrre per…“. Un buon vecchio “taci e sgobba – e di più”.

Nel nostro caso nella sostanza, a mio avviso, significa perdere i diritti che Marchionne, nel discorso, ha identificato come provenienti dal ’68 e “non più adeguati”; ovvero dare la possibilità di trattare le persone come ingranaggi di una macchina, da accelerare, velocizzare, spegnere, accendere, staccarne alcuni pezzi e metterli da parte, riprenderli quando serve, ecc. Certamente, a parole, pensando ad ogni mossa “con responsabilità verso il paese”, certo… E’ anche probabile che tutta questa responsabilità, magari in termini di introiti e gettito fiscale, esista. Ma non siamo tutti ingegneri, tutti inventori, designer, attori, tutti in prima fila a scuola. Magari abbiamo figli che lo saranno, come magari lo furono i nostri genitori, ma noi no. E stiamo mantenendo noi quei figli e il loro benessere. E lo facciamo ora e domani. Continue reading →