Accettazione #345928347

Accade che si possa avere accesso a qualcosa ma che le condizioni o le conseguenze siano talmente negative, per noi, che preferiamo rinunciarci del tutto: il beneficio sarebbe inferiore al danno e non si può essere grati per il danno o poco coraggiosi ad andare incontro a danni potenziali assicurati, facendoli diventare reali, così, solo per l’esperienza. È stupido e masochistico. La passione esiste, la gioia esiste, il bello esiste, ma anche i loro contrari: si fa il conto e si decide. Qualcuno accetta un granello di gioia in una distesa di nulla. Altri no. Perché, sempre, prendere atto della realtà ed accettare che è così, non significa che mi deve anche piacere. Non pretendo, quindi, che ciò che è cambi: lo accetto. Ma decido io quale tipo di relazione, con tale realtà, intendo o non intendo avere (accettare). Il libero arbitrio è questo?

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ChatGPT Plus, chat temporanea con GPT-4, a specifiche questioni su questo testo mio, dice:

Analisi Critica del Testo

Il testo proposto si concentra sul concetto di “accettazione” di realtà non piacevoli, esaminando il rapporto tra libertà di scelta e conseguenze derivanti da tale scelta. Una prima osservazione critica può essere indirizzata alla mancanza di una definizione chiara di termini come “danno”, “gratitudine” e “libero arbitrio”, che potrebbe portare a interpretazioni vaghe o ambigue. Il testo, tuttavia, non sembra presentare fallacie argomentative evidenti come attacchi personali o appelli emotivi non pertinenti. La struttura logica è generalmente coerente, poiché l’autore espone una situazione, ne analizza gli aspetti e conclude basandosi sulla riflessione iniziale.

Tuttavia, una possibile debolezza potrebbe risiedere nell’assunzione implicita che la decisione di non accettare una realtà non piacevole sia sempre un atto di libero arbitrio, senza considerare influenze esterne o condizionamenti che possono limitare le scelte individuali. Questo potrebbe essere visto come una semplificazione eccessiva di una questione molto più complessa.

Trattamento da Parte di Diverse Discipline

Filosofia: La questione dell’accettazione e del libero arbitrio è centralmente trattata in filosofia, con figure come Sartre che enfatizzano la libertà dell’individuo di scegliere nonostante le circostanze esterne. Argomenti contro possono includere le teorie deterministe, che negano la libera volontà a causa di fattori predeterminati biologici o ambientali.

Psicologia: La psicologia esplora come gli individui affrontano le situazioni avverse attraverso concetti come la resilienza e la percezione del controllo. Studi su queste tematiche spesso supportano l’idea che accettare la realtà, anche quando è negativa, può contribuire a una migliore salute mentale.

Sociologia: La sociologia può guardare alla questione dell’accettazione all’interno dei contesti sociali, analizzando come le norme culturali e le pressioni sociali influenzano le decisioni individuali. Ciò potrebbe portare a un dibattito sull’entità del libero arbitrio in contesti sociali densi di normative e aspettative.

Morale ed Etica: Queste discipline indagano spesso i principi dietro le decisioni di accettazione o rifiuto, interrogandosi se sia “giusto” accettare condizioni negative o se sia moralmente obbligatorio cercare di cambiarle.

Politica: La politica considera come le leggi e le politiche possano influenzare l’accettazione di certe realtà sociali o economiche. Il dibattito può riguardare questioni di giustizia sociale e diritti individuali versus il bene collettivo.

In conclusione, il testo solleva questioni significative che sono state ampiamente dibattute in molteplici campi del sapere, offrendo spunti per ulteriori riflessioni e discussioni.

L’assunzione che la decisione di accettare o non accettare una realtà sia sempre un atto di libero arbitrio è complessa e può essere analizzata sia da prospettive a favore (pro) che contro (contro). Esplorerò entrambi gli aspetti offrendo esempi specifici per illustrare meglio il dibattito.

Argomentazioni a favore (Pro)

  1. Autodeterminazione personale: Dal punto di vista filosofico, autori come Jean-Paul Sartre sostengono che gli individui sono sempre liberi di fare scelte, nonostante le circostanze. Questa visione enfatizza l’autodeterminazione. Ad esempio, una persona può scegliere di lasciare un lavoro stressante nonostante la sicurezza economica che offre, evidenziando un esercizio del libero arbitrio in contrasto con le pressioni finanziarie.
  2. Resilienza psicologica: In psicologia, la resilienza è la capacità di riprendersi da situazioni difficili. L’esercizio del libero arbitrio è evidente quando individui affrontano traumi o stress significativi e decidono consapevolmente di cercare aiuto o adottare strategie positive di coping, piuttosto che cedere alle circostanze.
  3. Rifiuto di conformismo sociale: Dal punto di vista sociologico, il rifiuto di conformarsi a norme sociali opprimenti è un altro esempio di libero arbitrio. Le rivoluzioni e i movimenti sociali come il suffragio femminile o il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti sono esempi storici di individui che rifiutano una realtà accettata dalla maggioranza e agiscono per cambiarla.

Argomentazioni contro (Contro)

  1. Determinismo biologico e ambientale: Le teorie deterministe sostengono che molti aspetti delle decisioni umane sono predeterminati da fattori biologici o ambientali. Ad esempio, la ricerca ha mostrato come certi comportamenti possano essere influenzati da geni o condizioni ambientali come la povertà, limitando di fatto il libero arbitrio nell’accettazione o rifiuto di determinate situazioni.
  2. Influenza delle condizioni psicologiche: Condizioni come la depressione o l’ansia possono limitare significativamente la percezione delle scelte disponibili per un individuo, influenzando la sua capacità di esercitare il libero arbitrio. Una persona con depressione severa potrebbe sentirsi incapace di cambiare la propria situazione, anche se esternamente sembrano esserci opzioni disponibili.
  3. Pressioni e aspettative sociali: In sociologia, è riconosciuto come le aspettative sociali possano limitare le scelte individuali. Ad esempio, in certe culture, il matrimonio può essere visto non solo come una scelta personale ma come un obbligo sociale, limitando la libertà individuale di scegliere diversamente senza subire significative conseguenze sociali.

In sintesi, mentre il concetto di libero arbitrio è centrale nella discussione sulla capacità di accettare o rifiutare situazioni, esistono argomentazioni valide sia a favore che contro, che dipendono da una varietà di fattori psicologici, biologici, e sociali. Questo dimostra la complessità e la multidimensionalità del concetto di libero arbitrio nelle scienze umane.

Riguardo alla resilienza e alla psicologia (io)

questo assunto è assolutistico, sembra fondato sul fatto che la libertà sia solo quella di non fare valutazioni che portino a cedere, come se queste non fossero lucide, senza dimostrare che sia invece un preciso calcolo di costo VS beneficio

Risposta (ChatGPT):

Hai sollevato un punto interessante sulle limitazioni della visione che associa il libero arbitrio solo alla capacità di non “cedere” alle circostanze avverse, che sembra suggerire una valutazione non lucida. In effetti, esiste una dimensione del libero arbitrio che implica un calcolo attento e razionale dei costi e dei benefici, che può portare a decisioni più meditate e potenzialmente diverse.

Costi vs Benefici nella Decisione

L’approccio di costo-beneficio è un aspetto cruciale nella teoria delle decisioni e può essere applicato efficacemente anche nell’analisi del libero arbitrio:

  1. Valutazioni lucide in situazioni avverse: Anziché una semplice resistenza alle circostanze negative, il libero arbitrio può manifestarsi attraverso decisioni ponderate, basate su un attento bilanciamento tra i costi e i benefici previsti. Ad esempio, una persona che decide di rimanere in un lavoro poco gratificante potrebbe farlo valutando che i benefici economici superano il disagio personale, piuttosto che semplicemente “sopportare” le condizioni.
  2. Lucidità nelle crisi personali: Anche nelle crisi personali, come una malattia grave, la scelta di accettare o cercare un trattamento alternativo può essere basata su una valutazione dettagliata dei possibili esiti, degli effetti collaterali, della qualità di vita attesa e delle opinioni mediche, anziché un mero atto di resistenza al destino.
  3. Scelte sociali e culturali: Nel contesto socioculturale, le decisioni riguardanti l’adesione a tradizioni o norme possono anche essere il risultato di valutazioni dei costi sociali e personali associati alla conformità o alla deviazione. Ad esempio, una persona può scegliere di seguire una norma culturale non perché la subisca passivamente, ma perché valuta che il mantenimento delle relazioni familiari e sociali offra benefici superiori rispetto al costo della non conformità.

Questi esempi dimostrano che il libero arbitrio può essere esercitato attraverso decisioni che non sono semplicemente reazioni a circostanze avverse, ma risultati di processi decisionali complessi e riflessivi. Questo punto di vista offre una comprensione più ampia del libero arbitrio, considerando sia la resistenza alle difficoltà che la capacità di fare scelte consapevoli basate su valutazioni logiche e informate.

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L’argomento di questi ultimi anni, per me, è: vorrei che la psicologia clinica si assumesse la responsabilità di dichiarare che tutte le sue operazioni sono volte al benessere dell’individuo che sia lucidamente determinato a sopravvivere a prescindere dal fatto che tutte le terapie si fondano sull’accettazione che la vita è intrinsecamente mescolata a fatica, sofferenza, dolore. Questo però non è un assunto fondativo generale. Si tratta infatti già di una delle due biforcazioni di un bivio: mi sta bene / non mi sta bene. Quello che trovo pericoloso dal punto di vista normativo/legislativo è che, nel momento di prendere decisioni informate, il legislatore non si interroghi sufficientemente sulla base di alcuni ragionamenti degli specialisti psicologi e finiscano, in tema di libertà di scelte su fine vita, esistenza eccetera, per accettare acriticamente ciò che sembrano acriticamente accettare coloro che sono dediti al “far stare bene la gente” mentre si tratta di “far stare bene la gente CHE VUOLE SOPRAVVIVERE, automaticamente appiccicando una patologia a chi liberamente decide che questa valutazione sia soggettiva “.

Il fondamento legistlativo che patologizza una scelta libera soggettiva solo perché minoritaria nascondendo invece l’utilitarismo monodirezionale della società che intende estrarre beneficio dall’esistenza dei singoli, senza curarsi della loro felicità (poiché intrinsecamente considerano deboli e biasimevoli alcune condotte che altrimenti richiederebbero sforzo collettivo) è, per me, fascista. Malvagio, egoistico mentre considera egoista il singolo che non si fa fregare dall’egoismo di tutti gli altri singoli mentre ipocritamente si aspettano contributo. I numeri su quanti siano ricchi e quanti poveri nel mondo, rispondono alla critica di “assurdità”.

Scegliere di sottrarsi deve essere considerato al pari della scelta del lavoro intrinsecamente forzato della sopravvivenza. Come scelta libera riconosciuta valida dalla società dovrebbe, quindi, trovare un aiuto rapido ed indolore che renda effettiva questa pratica libera, deliberata di interruzione volontaria dell’esistenza. Additare a pigrizia del singolo la poca voglia di fare lo schiavo ignora la contemporanea pigrizia di tutti di adoperarsi per rendere la società collettivamente responsabile nell’elevarci rispetto alle scimmie ed altri animali gerarchici, competitivi, dominatori dei propri simili e collaborare, considerando il vantaggio proprio che porta danno ad altri come il principale dei mali inaccettabili. La scelta di non-esistenza, in questa ottica, scomparirebbe come “male” e sarebbe una valida scelta come tante altre, che non parte da presupposti machisti, efficientisti (solo per i sottoposti e i singoli), arrivisti, aziendalisti che spostano la responsabilità sul singolo che DEVE sopravvivere, ma sulla società nel suo complesso che la renda una scelta DESIDERABILE ed attrattiva. Soprattutto se, in fondo in fondo, quel che vuoi da quel singolo è che contribuisca a fare qualcosa per te. Beh sbattiti, o lasciami morire, ma con onestà intellettuale.

Luddista, ma tecnologico

Non sono le macchine a togliere il lavoro agli uomini. Sono altri uomini. Un numero inferiore di uomini. Questo lo rende “togliere”. Fino a qualche secolo fa gli spazi si muovevano, le possibilità c’erano, cambiavi, imparavi altro. Ma lo scopo della tecnologia è fare di più, permettere di fare di più ad un numero inferiore di persone, o meglio, con inferiore sforzo umano. Il che sarebbe bello, se facessi lo sforzo perché ne hai voglia. Per diletto.

Purtroppo il modo in cui le macchine e la tecnologia diventano negative è quando rendono le persone come pezzi di un macchinario, soggetti al trattamento che si riserva alle cose, agli strumenti, alle risorse non-umane. Ad togliere il lavoro ad un uomo è un altro uomo che fa uso di una macchina, o meglio, anzi, questa è la realtà più pericolosa, che ne possiede l’accesso esclusivo. Che ha i mezzi economici per accedere a quel mezzo, escluderne altri e, nel senso più letterale della parola, avvantaggiarsene.

Non sono le macchine nè la tecnologia ad essere il male, ma la necessità di un modo di progettare la vita della comunità di esseri umani improntata alla necessità di un vantaggio competitivo, per il semplice fatto che questa competizione esiste. Devo competere per vivere. Devo meritarmi di vivere. Ma se è già faticoso farlo senza competizione e senza che lo si consideri un dono, perché mai, a parte che il tuo obiettivo non sia di per sé “esistere” ?

Una vita desiderabile per tutti, non detestabile, non faticosa, non conflittuale, non competiva, in cui essere felici di aver aperto gli occhi la mattina e con un sacco di voglia di mettere giù i piedi ed alzarsi… per tutti gli esseri umani , questo potrebbe essere un obiettivo dell’umanità.

E la tecnologia ha tutte le potenzialità per offrircelo. Quindi non sono un luddista “perché si”. Sono un luddista perché i proventi dell’eliminazione dei lavoratori da ogni settore progressivamente, mentre la demografia mondiale aumenta, non sono a favore della popolazione, ma di una microscopica, esigua, minoranza.

In una qualsiasi altra società animale credo che 8 miliardi di persone sarebbero riuscite a sbriciolarne un miliardo che li stanno facendo strisciare a terra.

Evidentemente siamo schiavi per natura? Schiavi si, della paura di morire, dell’esistenza “in quanto tale”. Di quello siamo schiavi e pochissimi trovano la forza per liberarsi da questo imperativo biologico. Di cui raramente i vantaggi sono godibili per la maggior parte dell’esistenza.

Nel frattempo: https://www.lastampa.it/cultura/2023/07/18/news/io_obama_vi_dico_basta_proibire_i_libri_di_neri_e_lgbtq-12951467/

Cosa non sono

Ascolto Paolo Colombo leggere con ottima voce in un podcast, credo del 2020-21 :

“…L’essere coraggiosi non richiede nessuna qualità speciale, nessuna formula magica, nessuna speciale combinazione di tempo, luogo e circostanza, è un’occasione che presto tardi si presenta a noi tutti.
La politica fornisce semplicemente una delle arene che impongono speciali prove di coraggio.
In qualunque arena della vita possiamo incontrare la sfida del coraggio quali che siano i sacrifici che egli affronta seguendo la coscienza, la perdita degli amici, della fortuna, della contentezza, persino della stima dei suoi fratelli concittadini.
Ciascun uomo bisogna che decida da sé il corso che seguirà, i racconti del coraggio passato possono definire quell’ingrediente, possono insegnare, possono offrire speranza, possono fornire ispirazione, ma non possono fornire il coraggio stesso.
Per questo ogni uomo bisogna che frughi nella propria anima”.

Parole di JFK, dal suo libro “Profili di coraggio”.

Mi pare che un personaggio molto meno epico, di un nostro precedente autore, lo dicesse da un differente punto di vista: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.

Solo un trucco è quello di chi pensa di dire che tutti hanno paura ma chi decide di trasformarla BLA. Ecco, quello è coraggio, non è paura. Quella parte lì, quell’istante, quel superamento. E dunque torniamo sempre li: noi merde esistiamo. Pretendete, dichiarandolo, girandovi e andando via senza proseguire il discorso, di avere superato la brutale legge della natura, di sacralizzare e rendere assoluto il valore della vita. Noi però esistiamo. Non valiamo un cazzo, nel sistema di valori che ci misura tutti oggi. Uccideteci, no? Ci biasimate, vi facciamo schifo, siamo codardi, non abbiamo lo slancio vitale, la voglia di vivere “assoluta”, la grinta di considerare la fatica e la sofferenza come compagna di vita che si, dai, c’avrà pure i suoi difetti ma in fondo…

Il senso della vita non cambia. La speranza, per i giorni in cui decidi di vivere, può darla questa frasetta per bambini di cui ancora ringrazio Paolo Colombo per averlmela ricordata:

la paura bussò

il coraggio andò ad aprire

dietro la porta non c’era nessuno.

Una piccola ricerchina per non santificare nessuno, senza smerdare comunque nessuno.

“Lealtà e bisogno” (meh)

Mi rendo conto che molti usano le iA per questioni pragmatiche. Ma ecco una testimonianza, tra le mie tante, di quello che ci faccio io, oltre a farla sgobbare per il keywording.

A:

“lealtà e bisogno non sono la stessa cosa” dice qualcuno; “la dedizione a qualcosa, data come scelta, è diversa dal darla per bisogno”.
A mio avviso tutto si gioca sul concetto di “bisogno” che in questo contesto mi risulta ambiguo oltre che in vari casi scelta e bisogno corrispondono.

B:

Hai sollevato un punto interessante e complesso. Infatti, la distinzione tra “lealtà” e “bisogno” può essere molto sfumata, a seconda di come interpretiamo il termine “bisogno”.

Se per “bisogno” intendiamo una necessità fondamentale, un impulso primario, allora la lealtà può sembrare qualcosa di diverso. La lealtà è spesso vista come una scelta, un impegno voluto e mantenuto verso una persona, un ideale o una causa. In altre parole, la lealtà presuppone un certo grado di agenzia e decisione consapevole.

Tuttavia, potrebbe esserci un “bisogno” di un altro tipo, un bisogno emotivo o psicologico. Ad esempio, potremmo sentire il “bisogno” di essere leali a qualcuno o qualcosa perché ci dà un senso di appartenenza, identità o sicurezza. In questo caso, “bisogno” e “lealtà” possono sembrare molto più interconnessi.

Come hai detto, la chiave è come interpretiamo il concetto di “bisogno”. Se lo vediamo solo come un impulso primario, allora la lealtà e il bisogno possono sembrare molto diversi. Ma se lo consideriamo in un senso più ampio, includendo bisogni emotivi e psicologici, allora la lealtà e il bisogno possono effettivamente sovrapporsi in molti casi.

Ovviamente, queste sono solo alcune delle possibili interpretazioni. La relazione tra lealtà e bisogno può essere interpretata in molti modi diversi, a seconda della prospettiva che si adotta.

A:

Ottimo, ti ricodo che in italiano “agency” come lo hai tradotto tu, ossia “agenzia” non è corretto.

B:

Hai perfettamente ragione, mi scuso per l’errore. Il termine “agency” in inglese viene spesso utilizzato in psicologia e filosofia per indicare la capacità di un individuo di agire in modo autonomo e fare scelte personali. In italiano non esiste una traduzione diretta di questa parola in questo contesto. Una migliore traduzione potrebbe essere “autodeterminazione” o “capacità di agire autonomamente“. Grazie

La portinaia. (Il mio angelo della morte?)

Forse l’ho trovata. La mia farmacista. Come la chiamerebbero in un poliziesco qualsiasi, di una serie qualsiasi, magari vecchia, magari scontata come tante, per indicare uno spacciatore.

Quando mi sono risolto a parlarci e chiedere, lei sembrava fosse abituatissima. Ma abituatissima a roba che si considera droga, immagino.

Le ho chiesto di parlare un attimo, ma era ovvio che era “importante”. Dopo un paio di settimane siamo riusciti a trovarci dieci minuti al mac e mi fa “farmacia, immagino”. Siccome avevamo – è una mia modella – parlato di DJ Fabo e della nostra visione della vita e del diritto di decidere di morire e farlo decentemente (oltre al fatto che non vedeva di buon occhio mettere al mondo bambini suoi in un mondo di merda, quando invece sarebbe stato utile diventare madre di altri già nati ma senza risorse – cosa che mi è piaciuta tantissimo)… le ho solo ricordato che non scherzavo. Mi ha detto che avrebbe fatto una ricerchina per il rapido-e-indolore, ma che c’erano un sacco di trucchi per usare sovradosaggi di roba quasi normale. Poi mi è venuto in mente il fatto della scadenza: mi conferma che si, i farmaci scadono, tutti. Quindi averlo li “pronto uso” all’infinito non è praticamente possibile. Esiste la natura, ovviamente. Ma in sostanza l’ho trovata, mi può aiutare, non si scandalizza, credo sia persino dello spirito di aiutare anche mettendosi nei guai. Cosa che non voglio, ovviamente. Ma apprezzo, molto, lo spirito di chi cerca di fare comunque ciò che ritiene giusto, in modo altruistico e rischiando, per te. Continue reading →

A chi serve un fotografo?

A risposta di questo articolo, tra le varie altre, trovo “Tutti sono capaci di cucinare, ma gli chef esistono ancora”

E io sono quel fotografo?

non lo so davvero.
Quello che mi chiedo è : a chi serve un fotografo? Avete tutti un cellulare. Pressoché ogni cellulare ha una fotocamera più che decente, di sicuro permette di ottenere risultati migliori di qualsiasi compatta del pre-digitale.
Quasi tutte ormai hanno una messa a fuoco dignitosa. Colori, veri o meno, accettabili, così l’esposizione media.
Ma questo discorso dovrebbe essere valido per chi si occupa(va) di sviluppo e stampa da negativo. La stampa non si usa più, è un vezzo. Uno splendido vezzo, il desiderio di tangibilità. Ma resta marginale rispetto al mostruoso numero di immagini che ogni giorno ognuno di noi cattura: la fotografia, dunque, come tutti dicono con un minimo di obiettività, è più viva che mai. Non si tratta della pittura. E’ strumento quotidiano. Grandi foto di gente in pantaloncini davanti a qualcosa si facevano tra gli anni 80 e i 90 e si continuano a fare anche oggi. Oggi magari sono riapparse le foto di festa, tante foto di gente che si sta divertendo. Ogni bevuta, ogni momento di incontro felice, di coppia di amici e amiche, di fidanzati, di infiniti animali da compagnia. Non è morta.
Ma un fotografo è un’altra cosa. Un … cosa? Fissato di un’estetica? Di una qualità di un certo dettaglio? Dello scatto immediato? Di una vecchia tecnologia piena di grossi cristalli pesanti? Della consapevolezza che quei due scatti sono diversi anche se non se ne accorge praticamente nessuno?
O come sempre la foto si fa senza fotocamera, prima, e poi si fa CON. E quello è il fotografo? Il fotografo è qualcosa di diverso, che ha a che fare con un pochina meno nonchalance con ciò che fotografa. Gli interessa di più, assapora di più e quindi poi lo fa assaporare di più anche a te?
Io col cellulare non ho abbastanza controllo. Le mie foto col cellulare fanno cagare. Mi fanno cagare. Penso che le mie foto con una compatta (digitale) siano un’altra cosa. Forse perché anche in quel caso cerco uno strumento che faccia quello che dico io. Ecco, forse. La foto col cellulare la fa molto più il soggetto del fotografo, a prescindere dal tipo di foto.
La tristezza nel pensare che fai una cosa senza senso se non che per te, come mestiere, ti rende ridicolo, fuori tempo, assurdo. Cosa devo fare, l’artista?
Questo tipo di pensiero mi viene in mente solo ogni tanto, quando vedo qualcuno che ha lasciato del tutto per motivi economici. “non te le paga nessuno” “il reporter non esiste più” “si può fare col cellulare” “a chi interessa?” sono tutte cose sensate. Vere. Forse però proprio la possibilità, l’onore, la fortuna di poterlo fare oggi, momento in cui tutti possono creare immagini in qualsiasi momento senza alcuna fatica, competenza o dispendio economico specifico (vogliono il cellulare, poi ok, c’è dentro anche una discreta fotocamera) , dovrebbe farmi respirare di nuovo.
Come sempre bisogna essere anche realistici, guardare i guadagni.
Ma l’impegno? Quanto impegno?
Però il mio programma mi tira su, quando mi sento sprofondare. Non è il programma di una vita felice a farmi andare avanti: non ho vere speranze in quello. Non posso più dirlo in giro. Fa male a tutto, persino come calcolo, non è opportuno. Me lo tengo per me: devo pagare dei debiti, uno grosso, uno meno, e suicidarmi.
Nel frattempo, mentre vivo, ci sono cose che mi fanno anche piacere e cerco di farle. Ora devo aggiungere “cercando di non ascoltare la gente che mi chiede perché, se sia sensato, se sia lavoro”.
Assolto il compito di sopravvivere ogni giorno, la fotografia di nudo la farei comunque. Con soldi da buttare nel cesso a prescindere dall’interesse del mondo, farei anche mostre ovunque, con stampe, gigantografie: riempire di bellezza il mondo, che la si consideri arte o meno. Non sai che fare, entri in una mostra in cui ci sono foto decenti di splendidi esseri umani nel fiore della vita. Ti ho migliorato la vita anche di poco?
Certo, una stampa decente costa parecchio.
Ora sono troppo giù. Per fortuna Fear Inoculum sembra fatto apposta per stare in cuffia a ripetizione all’infinito, lungo, lento, atmosfera, suono ottimo, di tanto in tanto uno schizzo di violenza sonora.
Dopo il secondo ascolto credo che comprerò il CD, appena sarà disponibile in formato standard. Le follie intermedie non aggiungono qualcosa di davvero imperdibile. E visto che mi ci hanno costretto, me lo sono già procurato, per cui lo dico a ragion veduta.
Secondo qualcuno a loro* di noi non frega un cazzo, anzi, forse li infastidiamo un po’. Ma a me migliorano la vita. E diosolosa quanto io abbia bisogno di poterla chiamare vita.
*i Tool

ognuno per la propria strada

Il distacco che di tanto in tanto sento perché ognuno deve andare per la propria strada ed il tempo che ci dedichiamo gli uni agli altri sembra sempre dover essere commisurato con il tornaconto od una contropartita mi fa male. Perché il tornaconto e la contropartita sono quello. Ci sono, sono già lì. Non fai quello che fai per avere altro. Quello che hai li, in quel momento, è già quello che è bello avere, per cui vale la pena vivere.

E’ allora che dici… quindi preferisci percorrere, forse anche dolorosamente, la tua via solitaria nel perseguimento di? Di cosa? Piuttosto che affiancarti anche solo un po’ a me, sapendo che questa via non porta a qualcos’altro?

Sai che non diventerà il tuo ragazzo allora non perdi tempo a parlare con me? So che non ti scoperò allora non chiacchiero con te? So che non mi farai un lavoro gratis allora non mi fermo al bar o al parco con te? Non vengo a trovarti?

Saper stare da soli. Non aver paura del vuoto. Alcuni la mettono su questo piano.

Eppure.

Scegliere a tavolino prima? Davvero? La vita è ORA, in questo momento, questo qui.

Schopie: fottiti.

Lei, inconsapevolmente, ed in modo errato, mi cita il pendolo di Schopenhauer. Ma al posto di “dolore” dice “desiderio”. Ed elide del tutto la parte della gioia (fugace), che, citata, liquida (lei, non Schopie) come illusione. Ok, ok, respiro. Siamo così noi idealisti. Vogliamo che ci dimostriate che è il contrario di quella brutta cosa che diciamo. Quella che vediamo è brutta. Voi dite che sia bella. Dimostratecelo, diciamo. E lei non è da meno.

Ma no, caro Schopie. La vita vera è la permanenza nel soddisfacimento del desiderio, nella consapevolezza del suo valore, nel suo godimento. La sopravvivenza senza tensione al raggiungimento del senso o scopo che ci siamo prefissi si, potrebbe (ed è comunque qualcosa) svolgersi tra quelle due oscillazioni.

il dottor schiattarelli

Oggi c’è una grossa novità!

Voglio morire.

Scherzavo, non è una novità, figurati grossa. E come mai? Nessun motivo diverso in particolare. I giorni strani, ormai, sono quelli in cui ho il privilegio di potermi lasciar  vivere senza pensare all’insensatezza di tutto questo. Il mio nucleo sta sul cazzo agli altri. E per essere felice io ho bisogno del mio pezzo mancante. Queste due cosette vanno d’accordo quanto i risultati dei sondaggi di Pornhub: i maschietti cercano sottomissione e le donne ANCHE, oppure mega orge classiche, ma insomma dove il ruolo maschile è classico. Queste due cose non di incontrano tanto.

Oggi così tutto il giorno. Metereopatia? non potrei dirlo, oggi c’era pure il sole. Ieri forse, ieri si. Ma oggi no. Oggi mi sarei schiattato in piena luce del sole. Continue reading →