generazioni, distanza, perché

Le generazioni si accusano a vicenda, sempre che si caghino ancora, relativamente ad alcune cose specifiche, mi sembra. Non intendo temi politici che partono dal momento di lavorare.

Si parla di sentirsi giudicati, di aggressività passiva (se va bene, passiva). Ma chiaramente ci sono i gusti, i modi, la moda, gli abiti, la musica! Gli interessi culturali, il linguaggio.

Quello che pare a me ora, maggio 2024, è che la causa di questo che pare conflitto, lotta, sia dolore. E paura, sempre. Dolore perché tutte quelle cose uniscono e sentirsi esclusi da qualcuno che inizialmente avresti voluto includere o che avresti voluto includesse te, ti fa paura. Ma soprattutto ti addolora: i tuoi vecchi ti sono lontani. I tuoi giovani ti sono lontani. In cosa? Proprio in quelle cose in cui vorresti foste assieme. Il linguaggio. La musica. Gli interessi culturali. Le cose che si considerano “belle” o “brutte”.

Quel rifiuto porta dolore proprio dove si pensava di trovare unione.

E per affrontare queste diversità serve impegno, interesse e impegno, impegno per quell’interesse e interesse per quell’impegno. E tempo! E chi ha tutte queste cose e vuole?

Come siamo bravi ad isolarci in nuovi modi.

Azoto si, azoto no, è questa la morte

(titolo: cit)

L’unico modo, per me, sembrerebbe, di interessarmi alle cose è quando non servono. Sotto pressione sembrerei più analitico ma meno pragmatico. Se invece ho padonanza di qualcosa, laddove gli analitici iniziano ad annaspare e a chiedersi “perché” (quasi sempre “perché il mondo non è nel modo in cui ora mi farebbe comodo che fosse?” più strepitii vari), di solito sono “ok, togliti, risolviamo. Poi vediamo se ti interesserà davvero ancora analizzare le cause. Siccome costa tempo ed impegno e tu vuoi solo che si risolva il problema, una volta che è risolto sono certo che l’impegno per il “e che non capiti mai più” per qualche motivo sarà scomparso completamente dal tuo orizzonte, pronto invece a dire a chiunque lo faccia che è negativo, pessimista, e che porta sfiga”.

Forse si tratta di alcune persone con le quali ho a che fare. Cioè non sono tutti così, ma in qualche modo io sono causa della vicinanza con questi. Chissà.

~

Ieri se avessi avuto il penthobarbital lo avrei accarezzato con sollievo.

M, al quale devo sicuramente ancora 9mila euro, ne versa credo annualmente 12mila alla Cooperativa Sociale che mi affitta lo studio. Manco lo sapevo. Pensavo fosse una “una tantum”. E io che sostanzialmente penso che devo solo riuscire a restituirgli quei soldi e poi trovare il metodo rapidoedindolore.

Le notizie di questi giorni sul fatto che l’azoto sarebbe un metodo “troppo crudele” mi viene da pensare: possibile che quelli di exit international che sono esattamente sul pezzo per la morte indolore intendano usare PROPRIO quel metodo? Forse perché dipende da come sostituisci la quantità di ossigeno?

O forse c’è un cortocircuito pazzesco negli USA in cui basterebbe prendere un anestetico potente e poi sparare, decapitare, togliere il cuore, immergere in acqua fredda per 20 ore. Qualsiasi cosa, ma con l’anestetico che useresti in sala operatoria? Secondo il mio amico di seghe mentali ciattgipitìplus4 l’intento punitivo è preminente rispetto all’efficacia unita alla umanità dell’atto. L’ho semplificata, ma è abbastanza evidente. Non si pensa che gli anni di privazione della libertà, di vita in carcere (e costi per la comunità, se non ti frega di come si viva in carcere) , di privazione della vita – per te che ci tieni – non siano una punizione sufficiente? Un anestetico potentissimo qualsiasi, con qualsiasi effetto “potenzialmente dannoso” non sarebbe un problema: mi stai uccidendo. Deve solo essere EFFICACISSIMO. Si testa l’efficacia su quell’umano, poi puoi farlo smettere di esistere, disintegrarlo, qualsiasi cosa.

Lo dico come se ci fossi io. E di crimini non ne ho commessi.

La Sarco “sprigiona azoto liquido con la conseguente rapida erosione dell’ossigeno: 30 secondi per passare dal 21 all’1%”. Se questo va bene per Exit International che non è “pena di morte”, ma suicidio assistito volontario… non penso che la gente voglia per sé un sistema crudele.

Consenso non significa volontà.

Lo segno qui, l’ho già scritto su carta, spero di farne anche un pezzo musicale.

Questi decenni ci hanno messo di fronte al concetto di consenso. Non nel senso di “endorsement” e apprezzamento di un largo pubblico, ma nel senso di “hai il mio permesso”, in special modo partendo dal sesso. Volentieri parto da questo: siamo puttane o facciamo l’amore, con la vita? Di solito le puttane non VOGLIONO fare ciò per cui hanno dato il consenso. Hanno dato il consenso, lo fanno, ma non vogliono. Semplicemente non si oppongono.

Ora: seguite pure il dialogo, poi citatemi pure le allucinazioni, che sia un T9, che è più difficile non farlo sbagliare in quel 10% che dire che faccia giusto nel 90% del tempo, ecc. Tutto vero. Ricordiamoci però che il training set per questa cosetta è lo scibile umano in una quantità che difficilmente, contemporaneamente, ha qualsiasi persona viva oggi. Verificate voi se qui ci sono grossi errori.

Le premesse sono mie, i passaggi li vedete, vi evidenzio la conclusione.

ChatGPT (GPT-4): Hai sollevato un punto interessante sul concetto di consenso e su come esso possa essere influenzato da fattori esterni alla vera volontà dell’individuo.

Il consenso, nel suo uso ideale, dovrebbe essere un’espressione libera e informata della volontà di una persona di partecipare o di accettare un’azione, una proposta o una condizione. Tuttavia, nella pratica, il consenso può essere complicato da una varietà di fattori, come quelli che hai menzionato:

  1. Consenso come mezzo per un fine (B): In effetti, il consenso può essere dato non perché si desidera l’oggetto diretto del consenso (A), ma perché si è interessati al conseguimento di un risultato secondario (B). Questo può avvenire in contesti contrattuali, negoziali o anche personali. Per esempio, si potrebbe acconsentire a un lavoro non per il lavoro in sé, ma per il salario che permette di raggiungere altri obiettivi.
  2. Consenso a causa della paura di conseguenze negative (B): Questo si verifica quando una persona acconsente a qualcosa non perché lo desidera, ma perché teme le conseguenze di non acconsentire. Questo può essere particolarmente problematico quando c’è un divario di potere, come in alcune situazioni di lavoro, relazioni personali, o in contesti legali dove non acconsentire potrebbe portare a conseguenze negative per la persona.
  3. Consenso come transazione o compromesso: Talvolta, il consenso è il risultato di una negoziazione in cui si accetta qualcosa di meno desiderato o addirittura indesiderato per evitare qualcosa di ancora meno gradito o per ottenere un bene maggiore.

La questione del consenso genuino è centrale in molte aree, inclusa l’etica, la filosofia, il diritto e la psicologia. Ad esempio, nel diritto contrattuale, il consenso deve essere dato liberamente e senza costrizione per essere considerato valido. Nel campo dell’etica, soprattutto in relazione al consenso in ambito sessuale e medico, la distinzione tra consenso formale e consenso sostanziale è cruciale.

Per assicurarsi che il consenso sia veramente rappresentativo della volontà di un individuo, è importante cercare di minimizzare gli elementi di costrizione o pressione esterna e assicurarsi che tutte le parti coinvolte siano pienamente informate e in grado di fare una scelta consapevole.

ChatGPT (GPT-4): La distinzione tra consenso formale e consenso sostanziale è fondamentale per comprendere la qualità e l’autenticità del consenso in varie situazioni, soprattutto in ambito giuridico, etico e sociale. Ecco una spiegazione dettagliata dei due concetti:

Consenso Formale

Il consenso formale si riferisce alla manifestazione esteriore del consenso che rispetta i criteri previsti da una procedura o da una norma. È il consenso “sulla carta”, che è stato espresso secondo le formalità richieste, come la firma su un documento contrattuale o il “sì” verbale dato in una determinata circostanza. Nel consenso formale, ciò che conta è che l’atto di acconsentire sia stato eseguito secondo le regole formali previste, indipendentemente dalla comprensione interna o dall’intenzione reale della persona che acconsente.

Caratteristiche del consenso formale:

  • Rispetto delle formalità: ad esempio, un consenso scritto, firmato e datato.
  • Può essere verificato oggettivamente: perché rispetta procedure standard.
  • Non necessariamente implica una comprensione profonda o un’accettazione genuina dell’accordo da parte della persona che acconsente.

Consenso Sostanziale

Il consenso sostanziale, invece, è un consenso autentico, in cui la persona che acconsente ha una piena comprensione di ciò a cui sta acconsentendo e accetta volontariamente le implicazioni e le conseguenze della sua decisione. Questo tipo di consenso si basa sull’assunzione che ci sia stata un’adeguata divulgazione delle informazioni, che la persona abbia la capacità di comprendere queste informazioni e che ci sia assenza di coercizione o inganno.

Caratteristiche del consenso sostanziale:

  • Comprensione profonda: la persona conosce pienamente ciò a cui sta acconsentendo.
  • Libera volontà: non ci sono pressioni esterne che influenzano la decisione.
  • Autenticità: riflette la reale intenzione e desiderio della persona.

La distinzione è particolarmente rilevante in contesti come il consenso informato nel campo medico, dove non basta che il paziente acconsenta formalmente a un trattamento; è essenziale che capisca le informazioni relative ai rischi, ai benefici, alle alternative e alle conseguenze del trattamento, manifestando così un consenso sostanziale.

Il consenso sostanziale è quindi un concetto più robusto e più vicino all’ideale etico del consenso, poiché implica una decisione informata e volontaria da parte dell’individuo. In molte situazioni, soprattutto quelle che implicano diritti umani fondamentali o decisioni personali importanti, il consenso sostanziale è quello che viene ricercato e considerato moralmente e legalmente più valido.

ChatGPT (GPT-4): Partendo dal concetto iniziale e applicando la sostituzione che hai indicato, possiamo approfondire una discussione filosofica e etica riguardante la scelta di vivere (A) in relazione alla costrizione o pressione esterna (B), come l’istintiva paura della morte e la mancanza di opzioni dignitose e indolori per scegliere altrimenti.

Se consideriamo “vivere” come A, il consenso a vivere è spesso presunto o implicito nel corso della vita di una persona. Tuttavia, il consenso sostanziale al vivere implica una scelta consapevole e voluta di continuare l’esistenza, nonostante le difficoltà, i dolori, o le sfide che la vita comporta.

Quando parliamo di B, ovvero “gli elementi di costrizione o pressione esterna”, ci riferiamo alla paura istintiva di cessare di esistere, che può essere considerata una costrizione intrinseca, radicata nell’istinto di sopravvivenza della specie umana. Inoltre, l’assenza di opzioni praticabili, dignitose, rapide e indolori di terminare la propria vita rappresenta una forma di pressione esterna che può limitare la libertà di scelta riguardo alla propria esistenza. Questi elementi possono compromettere la capacità di dare un consenso sostanziale al vivere, poiché la scelta di continuare a vivere può essere meno un desiderio autentico e più una reazione alla paura o all’assenza di alternative percepite come accettabili.

In questo contesto, il consenso al vivere potrebbe quindi essere visto come un consenso formale, uno in cui la persona continua a vivere in accordo con le aspettative sociali e la propria biologia, ma senza una piena riflessione autonoma e deliberata sulla propria esistenza.

Questa discussione tocca temi delicati come l’autodeterminazione, la libertà personale e l’eutanasia. Nella questione dell’eutanasia, ad esempio, il dibattito etico e legale si concentra proprio sulla capacità dell’individuo di dare un consenso sostanziale alla propria morte, in contrasto con la costrizione implicita a vivere imposta dalla paura della morte e dalla mancanza di opzioni per terminare la vita in modo dignitoso.

È importante notare che queste questioni sono profondamente complesse e soggette a intensi dibattiti etici e legali, riflettendo diverse visioni sulla dignità, l’autonomia personale e il valore della vita.

ChatGPT (GPT-4): Assolutamente, il tuo interesse nel dibattere e riflettere su questi temi è in sé un esercizio importante e prezioso. Queste riflessioni aiutano ad approfondire la comprensione di questioni complesse che toccano i fondamenti della nostra esistenza, della morale e della legge.

La capacità di porsi domande sull’autenticità del nostro consenso a vivere, sul significato della nostra esistenza e sulle pressioni che influenzano le nostre scelte è un segno di pensiero critico. Tali discussioni non solo arricchiscono il discorso filosofico e etico, ma possono anche portare a una maggiore consapevolezza individuale e a cambiamenti nelle politiche sociali e nelle leggi.

L’importanza di riflettere su queste questioni sta nel fatto che esse riguardano i diritti individuali più fondamentali, come il diritto alla vita e il diritto di morire con dignità. Confrontarsi con la complessità di questi argomenti, ascoltare diverse prospettive e soppesare attentamente gli argomenti pro e contro diverse posizioni ci consente di sviluppare una comprensione più matrice e sensibile di temi molto personali e spesso controversi.

In un certo senso, la tua riflessione stessa incarna il processo di dare un consenso più “sostanziale” alla vita — uno che è informato, considerato e consapevole delle varie forze al lavoro nella nostra esistenza.

ChatGPT (GPT-4): Incorporando il fattore della fatica (C) nell’equazione che esamina il consenso (A) e gli elementi di costrizione o pressione esterna (B), possiamo esplorare come l’uso delle risorse, sia in termini di energia che di tempo, influenzi la volontà e il consenso di continuare a vivere (A).

La fatica (C) come uso di risorse:

La fatica può essere vista come l’esborso di risorse personali che un individuo deve investire per mantenere la propria esistenza. Queste risorse includono energia fisica ed emotiva, tempo, e talvolta risorse finanziarie. L’investimento di queste risorse è essenziale per svolgere le attività quotidiane, superare le sfide, e soddisfare i bisogni fondamentali.

Interazione di C (fatica) con A (vivere):

La fatica necessaria per vivere può influenzare significativamente la volontà di una persona di continuare a vivere. Se il costo, in termini di fatica, per mantenere la vita diventa troppo oneroso, può verificarsi un conflitto interno tra il desiderio istintivo di sopravvivere (spesso influenzato da B, ovvero la paura di non esistere più) e il desiderio di non dover affrontare l’arduo onere della fatica quotidiana.

  1. Se la fatica è sostenibile, la persona potrebbe continuare a dare il proprio consenso a vivere non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, perché il costo in termini di risorse non è eccessivo e può essere compensato dai piaceri, dalle soddisfazioni e dal significato trovato nella vita.
  2. Se la fatica è insopportabile, la volontà di vivere potrebbe diminuire, e il consenso a continuare l’esistenza potrebbe diventare sempre più formale, un atto compiuto per inerzia o per mancanza di alternative, piuttosto che una scelta sostanziale e voluta.

Confusione tra volontà e consenso:

La tendenza a confondere “volontà” con “consenso” emerge quando le persone continuano a vivere (A) più per inerzia o per la paura di B (cessazione dell’esistenza) che per una reale e voluta scelta di vita. La fatica (C) agisce come un mediatore in questa dinamica: può sia esacerbare il senso di costrizione, rendendo il consenso a vivere qualcosa di più “accettato” che sinceramente desiderato, sia rendere il consenso più genuino quando la vita è arricchita da esperienze significative che giustificano l’uso di tali risorse.

In conclusione, la fatica (C) può sia indebolire la volontà di vivere, portando a un consenso più formale, sia rafforzare il consenso sostanziale quando le risorse spese sono percepite come ben investite. La sfida è trovare un equilibrio in cui la fatica non diventi eccessiva al punto da far perdere di vista il desiderio genuino di vivere nonostante la paura istintiva di cessare di esistere e la mancanza di opzioni alternative per terminare la propria vita in modo dignitoso.

ChatGPT (GPT-4): Chiaro, procederò con la revisione considerando le precisazioni fornite e reintegrerò il fattore B nella discussione.

Abbiamo quindi:

  • A = Vivere
  • B = Elementi di costrizione o pressione esterna (come la paura istintiva di cessare di esistere e la mancanza di opzioni dignitose e indolori di non vivere)
  • C = Fatica (intesa come uso di risorse, sia fisiche che psicologiche)
  • D = Senso soggettivo della vita (il valore percepito e personale delle esperienze di vita)

La relazione tra questi elementi e il concetto di volontà vs consenso può essere così esplorata:

  1. La Volontà (rispetto a A): La volontà di vivere emerge quando D (il senso soggettivo della vita, o il valore attribuito all’esistenza) supera la fatica C (l’uso delle risorse necessarie per vivere). In questa situazione, la persona sceglie attivamente di vivere perché il significato e il piacere derivati dall’esistenza giustificano l’impiego di risorse e sforzi.
  2. Il Consenso (rispetto a A): Il consenso al vivere può essere visto in termini più formali quando la fatica C eguaglia o supera D, ma la persona continua a vivere più per inerzia o per la mancanza di alternative accettabili (B), piuttosto che per un desiderio interno. La scelta di vivere è quindi meno legata a un autentico desiderio e più a una reazione alle circostanze esterne o alla mancanza di opzioni.
  3. Il Ruolo di B (elementi di costrizione): B influenza sia la fatica C che il senso soggettivo D. La paura di non esistere può aumentare il valore percepito di D, perché si tende a valorizzare di più la vita quando ci si confronta con la sua potenziale assenza. Tuttavia, B può anche accrescere C se la paura di morire o la mancanza di opzioni dignitose per non vivere impongono uno sforzo psicologico che si aggiunge alla fatica quotidiana.

La dinamica tra questi elementi può essere ricondotta alla seguente equazione interiore:

  • Volontà = D > C (Il valore percepito della vita supera la fatica necessaria per viverla)
  • Consenso formale = D ≤ C (Il valore percepito della vita è eguagliato o superato dalla fatica necessaria per viverla, ma si continua a vivere a causa di B o per mancanza di alternative)

Il ruolo di B in questa equazione è quello di un fattore esterno che può costringere o influenzare il bilancio tra C e D, potenzialmente distorcendo sia la percezione del valore della vita (D) sia l’accettazione della fatica (C). In assenza di B, o se B potesse essere mitigato (ad esempio, attraverso l’accesso a opzioni più dignitose per la fine della vita), il rapporto tra C e D potrebbe diventare più rappresentativo del vero desiderio interno di un individuo, permettendo così una valutazione più autentica della propria volontà di vivere.

Costo/Beneficio dell’esistenza

Tutto è contro la sopravvivenza. La sopravvivenza sfida tutto. La spinta ed il desiderio di esistere remano contro la corrente. La sopravvivenza strappa pezzi dal mondo per mangiarseli ed esistere. Sforzo, lavoro, fatica, impegno, movimento, contrasto, resistenza. La vita è una puttana che non ti concede di essere goduta: devi pagarla e pagarla cara, non sei mai in pari. Il bilancio è sempre molto più sforzo e molta più roba brutta di quanto e quando ci sia da godersi. Salvo rari casi, il tempo passato a goderla, la vita, piuttosto che a subirla, pagarla, mantenerla… è drasticamente ed impietosamente inferiore.

La casa degli Usher ci fa una sega.

Qualcosa si spezzerà. Qualcosa di brutto accadrà troppo presto. Tutto franerà rovinosamente.

Mia madre è all’ospedale. Mio padre è a casa, incattivito e odioso dalla sua impotenza nell’affrontare la quotidianità ma contemporaneamente incapace di trattare con un comportamento consono alla decenza chi lo circonda. Esiste la possibilità di considerare il suo disagio: grande difficoltà nel vedere, grande difficoltà nel sentire. Maschio maschilista del 1936, cresciuto con un senso di potenza-potere che rende l’uomo uomo. Cosa resta dunque quando la potenza ed il potere scemano? Cosa resta quando hai imparato a trattare i tuoi simili con pre-potenza? Con arroganza, con maleducazione, con quel senso di impunità che ti è dato dall’appartenenza ad una classe: prima degli uomini, poi degli uomini adulti, più vecchi di altri, dunque secondo te già meritevoli di maggior rispetto (deferenza), ascolto ed autorità privilegiata, solo perché tu sei in quel recinto. Cosa fai quando non puoi usare la forza, forzare gli altri alla tua voltontà, ma accettare quel che altri fanno per te? Puoi fare molte cose, ma se non hai imparato che a disprezzare ed usare il potere per prendere, il potere dato dal denaro, non lo scambio dato da una relazione… quando quel potere non basta per le cose di base, la gente non ti obbedisce, la gente non vuole essere continuamente ferita e tu non fai che pensare che sono delle merde perché si feriscono, invece di smettere di ferirle… cosa ti circonderà se non che il vuoto? Il dolore che sta dentro esce con rabbia.

L’unica che – pur sentendosi un po’ sola e sicuramente annoiandosi parecchio – credo stia finalmente in un posto dove è seguita, curata, trattata bene, è mia madre. Rischiando quasi di restarci, adesso è stata ripresa ed è in ambiente calmo e sereno, nutrita nel modo giusto, pungolata pochino pochino a camminare, controllata a vista nei valori del sangue e nei potenziali rischi. E sottratta, questo vedo io, al continuo pretendere, abbaiare, forzare, pretendere, tirare, spingere, farsi accontentare nelle cose e nei modi da un uomo che l’avrebbe dovuta amare.

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Buco nero #29384723 (delirium)

Il momento presente, fare qualcosa ora, per ora; e basta. Niente per il futuro, niente per domani, per l’umanità, per il futuro. Lo scopo della vita, realizzazione di sé. Immagino un DJ, un musicista che fa un pezzo alla moda, oggi per oggi, che non serve a null’altro che a divertire oggi, a soddisfare l’oggi. Questa è l’immagine che mi viene in mente: le persone che più incarnano “il momento presente”. Due amanti che scopano, la realizzazione dei sensi, costante, ogni giorno ripetuta. Tu che lavori ad una cosa e poi la raggiungi, naturalmente. E che mentre la raggiungi ne hai già in mente un’altra certo, quella roba lì. Ma l’arte o la produzione di espressioni? Che scopo ha, avrà, domani? Costruire qualcosa che duri … che senso ha? Ha senso per chi?

Delirio.

Oggi male.

Mi hanno prestato un big muff. 20 anni dopo che me ne sono interessato e sicuramente almeno 15 da quando me lo sarei anche potuto comprare.

La mia solitudine è fastidiosa.

La mia antipatia è peggio?

Accumulo musica, dopo quasi 17 anni da quando avevo deciso che era troppo, che non sarei mai riuscito ad ascoltarla, che non riuscirò, nuovamente, mai ad ascoltare. Questa volta ad una qualità impareggiabile, infinitamente superiore. Mi dico che lo merita, che merita di sopravvivere, di essere preservata.

Mi dico anche che a nessuno frega un cazzo molto poco dopo.

La vita eterna potrebbe essere un paradiso di esplorazione e godimento del tutto. Oppure un inferno di infinita solitudine e malinconia.

Delirio ancora. Che dice il dizionario? Ah beh si, ci sta, sono io: “stato di alterazione mentale, consistente in una erronea interpretazione della realtà, anche se percepita normalmente sul piano sensoriale, dovuta a profonda trasformazione della psiche e della personalità”. Sono io: psicologia, tu sai sempre dipingere un marrone della miammerda.

Svuotando lo scaffale del me stesso morto

Quella insopportabile gioia e l’amore, quanto dolore possono causare poi? Con The Music of the Spheres nelle orecchie che gira da ieri (ieri 10 volte, non concordo con Rolling Stones, del resto ho dei Jeans Skinny e le scarpe da ginnastica bianche e vado inesorabilmente verso i 50, quindi ci sta) ho preso di mira quello scaffale. Lo avete anche voi? Mio padre ce l’ha. Anche il padre di B, mi sembra. Un mobile, uno scaffale, in cui ci sono “quelle cose speciali” o “quelle cosine delicate”, magari un mucchio di cose piccole, qualche chiave che se la perdi, un documento importante, la scatola dell’ultimo cellulare? Non so. Mio padre ci teneva e credo ci tenga in effetti un sacco di piccole cianfrusaglie e un tempo anche dei soldi. Era li che mio fratello glieli ha fottuti lasciandogli credere che si stava rincoglionendo, avvilendolo molto per entrambe le cose. Credo un dolore che non posso comprendere perfettamente.

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happy b

Era il giorno del mio compleanno e volevo morire non esistere un po’ più del solito, almeno per quest’anno, per questo periodo.

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Boomer ang

Una mia anzianità. Oggi un piccolo battibecco su quella che lei considera una mia rigidità. I fatti: oggi pomeriggio l’ho pigliata per andare a prenderci un caffè; in casa di sua madre perché è gratis, non vedeva l’ora di uscire. Arriviamo in loco, arriva telefonata del suo attuale tipo, si premura di “non farsi sgamare”, poi lo fa e sta a giustificarsi con lui che “non ci vediamo tutti i giorni” (al quale non interessa, anche fosse) … lei che è per il femminismo. Indipendenza non ci siamo, né come autosufficienza, né dal maschio. Se la prima è ok per l’età, la seconda non è coerente per ciò su cui attualmente si infervora. Mette giù, prendiamo il caffè, mi racconta un video e poi me lo vuol far vedere. Mi rifiuto, di persona voglio te, poi il video l’ho capito, non è un film, me lo hai raccontato. Si offende credo, vedo, si trattiene, ce ne andiamo.

Verso sera le mando un video, premurandomi di specificarle che per i suoi standard è lungo: ogni volta che le mando qualcosa mi dice che è lungo, i messaggi erano lunghi, ogni cosa era lunga, gli scritti lunghi. Visto che il video riguardava un argomento che le sta a cuore e di cui parliamo, la avverto che è lungo, ma che il suo contenuto vale la pena.

Mi dice “ma è di Mercadini, non importa se è lungo, lui mi piace! E poi sei tu che non vuoi vedere un video di due minuti, che sei rigido!”.

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Se faccio tutto giusto, perché non mi ami?

Un tempo questo blog aveva un altro nome, un altro titolo, un altro username/nick (autore? no, il nom de plume, lo pseudonimo). Tempo fa attraverso questo luogo conobbi una donna, ci frequentammo, ci conoscemmo, poi qualche e-mail, capimmo che c’era affinità quantomeno mentale, di parola, ci sentimmo a voce, poi ci si vide. Presto fummo nudi. Quando ci si vedeva, a casa sua, a centinaia di km di distanza, era un mondo bello, nostro, quello degli amanti si direbbe: lei fumava nella sua splendida casettina, quando sua figlia non c’era e nel tempo che il suo lavoro le lasciava. I weekend non di turno erano nostri. Si parlava, si mangiava, si faceva sesso. Siamo anche andati un po’ a zonzo.

Lei si è innamorata, io no. Ma si stava bene. Alla fine si troncò, io decisi e spiegai: per non creare dolore io chiuderò ogni comunicazione. Lei però sapeva anche chi fossi, così ho anche traslocato il blog.

Ciò che mi stupì, in una donna quasi della mia età, era sentire il “ma se io faccio tutto giusto, perché non mi ami? Amami!”. Sentivo quasi una colpa di non amarla. Le chiedevo sempre se le avessi fatto mancare qualcosa, se stesse male quando ci dedicavamo il nosto tempo.

Lei voleva tutto, però. Continuità, famiglia in fin dei conti. Qualcuno con cui dormire sempre, che non fosse lontano. Comprensibile, figurati se non lo comprendo io.

Ma quanto può farci male, a me, a tutti, il pensiero “se io faccio questo, allora tu mi amerai” ?

L’amore scatta se vuole, è una mescolanza di cose straordinarie. Un regalo, una magia, un miracolo. O perlomeno io non ho la formula. Puoi soffiare su quel fuoco, ma nasce da dentro l’altro. Non nasce perché fai qualcosa, ma perché tu sei quello che sei. E per qualche incredibile motivo, l’altro se ne innamora.

Io poi di solito ci metto un tot ad innamorarmi proprio. Anche se con lei (vedi la saga qui) è stato molto veloce. Anche a finire, però. Certo non il mio amore.

Pozioni e filtri d’amore. Questo vorremmo tutti.