Accettazione #345928347

Accade che si possa avere accesso a qualcosa ma che le condizioni o le conseguenze siano talmente negative, per noi, che preferiamo rinunciarci del tutto: il beneficio sarebbe inferiore al danno e non si può essere grati per il danno o poco coraggiosi ad andare incontro a danni potenziali assicurati, facendoli diventare reali, così, solo per l’esperienza. È stupido e masochistico. La passione esiste, la gioia esiste, il bello esiste, ma anche i loro contrari: si fa il conto e si decide. Qualcuno accetta un granello di gioia in una distesa di nulla. Altri no. Perché, sempre, prendere atto della realtà ed accettare che è così, non significa che mi deve anche piacere. Non pretendo, quindi, che ciò che è cambi: lo accetto. Ma decido io quale tipo di relazione, con tale realtà, intendo o non intendo avere (accettare). Il libero arbitrio è questo?

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ChatGPT Plus, chat temporanea con GPT-4, a specifiche questioni su questo testo mio, dice:

Analisi Critica del Testo

Il testo proposto si concentra sul concetto di “accettazione” di realtà non piacevoli, esaminando il rapporto tra libertà di scelta e conseguenze derivanti da tale scelta. Una prima osservazione critica può essere indirizzata alla mancanza di una definizione chiara di termini come “danno”, “gratitudine” e “libero arbitrio”, che potrebbe portare a interpretazioni vaghe o ambigue. Il testo, tuttavia, non sembra presentare fallacie argomentative evidenti come attacchi personali o appelli emotivi non pertinenti. La struttura logica è generalmente coerente, poiché l’autore espone una situazione, ne analizza gli aspetti e conclude basandosi sulla riflessione iniziale.

Tuttavia, una possibile debolezza potrebbe risiedere nell’assunzione implicita che la decisione di non accettare una realtà non piacevole sia sempre un atto di libero arbitrio, senza considerare influenze esterne o condizionamenti che possono limitare le scelte individuali. Questo potrebbe essere visto come una semplificazione eccessiva di una questione molto più complessa.

Trattamento da Parte di Diverse Discipline

Filosofia: La questione dell’accettazione e del libero arbitrio è centralmente trattata in filosofia, con figure come Sartre che enfatizzano la libertà dell’individuo di scegliere nonostante le circostanze esterne. Argomenti contro possono includere le teorie deterministe, che negano la libera volontà a causa di fattori predeterminati biologici o ambientali.

Psicologia: La psicologia esplora come gli individui affrontano le situazioni avverse attraverso concetti come la resilienza e la percezione del controllo. Studi su queste tematiche spesso supportano l’idea che accettare la realtà, anche quando è negativa, può contribuire a una migliore salute mentale.

Sociologia: La sociologia può guardare alla questione dell’accettazione all’interno dei contesti sociali, analizzando come le norme culturali e le pressioni sociali influenzano le decisioni individuali. Ciò potrebbe portare a un dibattito sull’entità del libero arbitrio in contesti sociali densi di normative e aspettative.

Morale ed Etica: Queste discipline indagano spesso i principi dietro le decisioni di accettazione o rifiuto, interrogandosi se sia “giusto” accettare condizioni negative o se sia moralmente obbligatorio cercare di cambiarle.

Politica: La politica considera come le leggi e le politiche possano influenzare l’accettazione di certe realtà sociali o economiche. Il dibattito può riguardare questioni di giustizia sociale e diritti individuali versus il bene collettivo.

In conclusione, il testo solleva questioni significative che sono state ampiamente dibattute in molteplici campi del sapere, offrendo spunti per ulteriori riflessioni e discussioni.

L’assunzione che la decisione di accettare o non accettare una realtà sia sempre un atto di libero arbitrio è complessa e può essere analizzata sia da prospettive a favore (pro) che contro (contro). Esplorerò entrambi gli aspetti offrendo esempi specifici per illustrare meglio il dibattito.

Argomentazioni a favore (Pro)

  1. Autodeterminazione personale: Dal punto di vista filosofico, autori come Jean-Paul Sartre sostengono che gli individui sono sempre liberi di fare scelte, nonostante le circostanze. Questa visione enfatizza l’autodeterminazione. Ad esempio, una persona può scegliere di lasciare un lavoro stressante nonostante la sicurezza economica che offre, evidenziando un esercizio del libero arbitrio in contrasto con le pressioni finanziarie.
  2. Resilienza psicologica: In psicologia, la resilienza è la capacità di riprendersi da situazioni difficili. L’esercizio del libero arbitrio è evidente quando individui affrontano traumi o stress significativi e decidono consapevolmente di cercare aiuto o adottare strategie positive di coping, piuttosto che cedere alle circostanze.
  3. Rifiuto di conformismo sociale: Dal punto di vista sociologico, il rifiuto di conformarsi a norme sociali opprimenti è un altro esempio di libero arbitrio. Le rivoluzioni e i movimenti sociali come il suffragio femminile o il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti sono esempi storici di individui che rifiutano una realtà accettata dalla maggioranza e agiscono per cambiarla.

Argomentazioni contro (Contro)

  1. Determinismo biologico e ambientale: Le teorie deterministe sostengono che molti aspetti delle decisioni umane sono predeterminati da fattori biologici o ambientali. Ad esempio, la ricerca ha mostrato come certi comportamenti possano essere influenzati da geni o condizioni ambientali come la povertà, limitando di fatto il libero arbitrio nell’accettazione o rifiuto di determinate situazioni.
  2. Influenza delle condizioni psicologiche: Condizioni come la depressione o l’ansia possono limitare significativamente la percezione delle scelte disponibili per un individuo, influenzando la sua capacità di esercitare il libero arbitrio. Una persona con depressione severa potrebbe sentirsi incapace di cambiare la propria situazione, anche se esternamente sembrano esserci opzioni disponibili.
  3. Pressioni e aspettative sociali: In sociologia, è riconosciuto come le aspettative sociali possano limitare le scelte individuali. Ad esempio, in certe culture, il matrimonio può essere visto non solo come una scelta personale ma come un obbligo sociale, limitando la libertà individuale di scegliere diversamente senza subire significative conseguenze sociali.

In sintesi, mentre il concetto di libero arbitrio è centrale nella discussione sulla capacità di accettare o rifiutare situazioni, esistono argomentazioni valide sia a favore che contro, che dipendono da una varietà di fattori psicologici, biologici, e sociali. Questo dimostra la complessità e la multidimensionalità del concetto di libero arbitrio nelle scienze umane.

Riguardo alla resilienza e alla psicologia (io)

questo assunto è assolutistico, sembra fondato sul fatto che la libertà sia solo quella di non fare valutazioni che portino a cedere, come se queste non fossero lucide, senza dimostrare che sia invece un preciso calcolo di costo VS beneficio

Risposta (ChatGPT):

Hai sollevato un punto interessante sulle limitazioni della visione che associa il libero arbitrio solo alla capacità di non “cedere” alle circostanze avverse, che sembra suggerire una valutazione non lucida. In effetti, esiste una dimensione del libero arbitrio che implica un calcolo attento e razionale dei costi e dei benefici, che può portare a decisioni più meditate e potenzialmente diverse.

Costi vs Benefici nella Decisione

L’approccio di costo-beneficio è un aspetto cruciale nella teoria delle decisioni e può essere applicato efficacemente anche nell’analisi del libero arbitrio:

  1. Valutazioni lucide in situazioni avverse: Anziché una semplice resistenza alle circostanze negative, il libero arbitrio può manifestarsi attraverso decisioni ponderate, basate su un attento bilanciamento tra i costi e i benefici previsti. Ad esempio, una persona che decide di rimanere in un lavoro poco gratificante potrebbe farlo valutando che i benefici economici superano il disagio personale, piuttosto che semplicemente “sopportare” le condizioni.
  2. Lucidità nelle crisi personali: Anche nelle crisi personali, come una malattia grave, la scelta di accettare o cercare un trattamento alternativo può essere basata su una valutazione dettagliata dei possibili esiti, degli effetti collaterali, della qualità di vita attesa e delle opinioni mediche, anziché un mero atto di resistenza al destino.
  3. Scelte sociali e culturali: Nel contesto socioculturale, le decisioni riguardanti l’adesione a tradizioni o norme possono anche essere il risultato di valutazioni dei costi sociali e personali associati alla conformità o alla deviazione. Ad esempio, una persona può scegliere di seguire una norma culturale non perché la subisca passivamente, ma perché valuta che il mantenimento delle relazioni familiari e sociali offra benefici superiori rispetto al costo della non conformità.

Questi esempi dimostrano che il libero arbitrio può essere esercitato attraverso decisioni che non sono semplicemente reazioni a circostanze avverse, ma risultati di processi decisionali complessi e riflessivi. Questo punto di vista offre una comprensione più ampia del libero arbitrio, considerando sia la resistenza alle difficoltà che la capacità di fare scelte consapevoli basate su valutazioni logiche e informate.

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L’argomento di questi ultimi anni, per me, è: vorrei che la psicologia clinica si assumesse la responsabilità di dichiarare che tutte le sue operazioni sono volte al benessere dell’individuo che sia lucidamente determinato a sopravvivere a prescindere dal fatto che tutte le terapie si fondano sull’accettazione che la vita è intrinsecamente mescolata a fatica, sofferenza, dolore. Questo però non è un assunto fondativo generale. Si tratta infatti già di una delle due biforcazioni di un bivio: mi sta bene / non mi sta bene. Quello che trovo pericoloso dal punto di vista normativo/legislativo è che, nel momento di prendere decisioni informate, il legislatore non si interroghi sufficientemente sulla base di alcuni ragionamenti degli specialisti psicologi e finiscano, in tema di libertà di scelte su fine vita, esistenza eccetera, per accettare acriticamente ciò che sembrano acriticamente accettare coloro che sono dediti al “far stare bene la gente” mentre si tratta di “far stare bene la gente CHE VUOLE SOPRAVVIVERE, automaticamente appiccicando una patologia a chi liberamente decide che questa valutazione sia soggettiva “.

Il fondamento legistlativo che patologizza una scelta libera soggettiva solo perché minoritaria nascondendo invece l’utilitarismo monodirezionale della società che intende estrarre beneficio dall’esistenza dei singoli, senza curarsi della loro felicità (poiché intrinsecamente considerano deboli e biasimevoli alcune condotte che altrimenti richiederebbero sforzo collettivo) è, per me, fascista. Malvagio, egoistico mentre considera egoista il singolo che non si fa fregare dall’egoismo di tutti gli altri singoli mentre ipocritamente si aspettano contributo. I numeri su quanti siano ricchi e quanti poveri nel mondo, rispondono alla critica di “assurdità”.

Scegliere di sottrarsi deve essere considerato al pari della scelta del lavoro intrinsecamente forzato della sopravvivenza. Come scelta libera riconosciuta valida dalla società dovrebbe, quindi, trovare un aiuto rapido ed indolore che renda effettiva questa pratica libera, deliberata di interruzione volontaria dell’esistenza. Additare a pigrizia del singolo la poca voglia di fare lo schiavo ignora la contemporanea pigrizia di tutti di adoperarsi per rendere la società collettivamente responsabile nell’elevarci rispetto alle scimmie ed altri animali gerarchici, competitivi, dominatori dei propri simili e collaborare, considerando il vantaggio proprio che porta danno ad altri come il principale dei mali inaccettabili. La scelta di non-esistenza, in questa ottica, scomparirebbe come “male” e sarebbe una valida scelta come tante altre, che non parte da presupposti machisti, efficientisti (solo per i sottoposti e i singoli), arrivisti, aziendalisti che spostano la responsabilità sul singolo che DEVE sopravvivere, ma sulla società nel suo complesso che la renda una scelta DESIDERABILE ed attrattiva. Soprattutto se, in fondo in fondo, quel che vuoi da quel singolo è che contribuisca a fare qualcosa per te. Beh sbattiti, o lasciami morire, ma con onestà intellettuale.

Cosa non sono

Ascolto Paolo Colombo leggere con ottima voce in un podcast, credo del 2020-21 :

“…L’essere coraggiosi non richiede nessuna qualità speciale, nessuna formula magica, nessuna speciale combinazione di tempo, luogo e circostanza, è un’occasione che presto tardi si presenta a noi tutti.
La politica fornisce semplicemente una delle arene che impongono speciali prove di coraggio.
In qualunque arena della vita possiamo incontrare la sfida del coraggio quali che siano i sacrifici che egli affronta seguendo la coscienza, la perdita degli amici, della fortuna, della contentezza, persino della stima dei suoi fratelli concittadini.
Ciascun uomo bisogna che decida da sé il corso che seguirà, i racconti del coraggio passato possono definire quell’ingrediente, possono insegnare, possono offrire speranza, possono fornire ispirazione, ma non possono fornire il coraggio stesso.
Per questo ogni uomo bisogna che frughi nella propria anima”.

Parole di JFK, dal suo libro “Profili di coraggio”.

Mi pare che un personaggio molto meno epico, di un nostro precedente autore, lo dicesse da un differente punto di vista: “Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare”.

Solo un trucco è quello di chi pensa di dire che tutti hanno paura ma chi decide di trasformarla BLA. Ecco, quello è coraggio, non è paura. Quella parte lì, quell’istante, quel superamento. E dunque torniamo sempre li: noi merde esistiamo. Pretendete, dichiarandolo, girandovi e andando via senza proseguire il discorso, di avere superato la brutale legge della natura, di sacralizzare e rendere assoluto il valore della vita. Noi però esistiamo. Non valiamo un cazzo, nel sistema di valori che ci misura tutti oggi. Uccideteci, no? Ci biasimate, vi facciamo schifo, siamo codardi, non abbiamo lo slancio vitale, la voglia di vivere “assoluta”, la grinta di considerare la fatica e la sofferenza come compagna di vita che si, dai, c’avrà pure i suoi difetti ma in fondo…

Il senso della vita non cambia. La speranza, per i giorni in cui decidi di vivere, può darla questa frasetta per bambini di cui ancora ringrazio Paolo Colombo per averlmela ricordata:

la paura bussò

il coraggio andò ad aprire

dietro la porta non c’era nessuno.

Una piccola ricerchina per non santificare nessuno, senza smerdare comunque nessuno.

SEI RIBELLE AL TUO PAESE

Sei ribelle se resti, se resti dove la merda della tua vita si svolge ogni giorno, dov’è iniziata. Non sei ribelle se te ne vai e non cambi un cazzo di quello che ti ha prodotto i lividi e tutto il resto. Te ne vai e li lasci li, eh? Te ne vai e fai quello che vuoi. Ma non dire che sei un ribelle, questo non puoi dirlo.

Puoi dire che se ne restino li nella loro merda io faccio altro. Ma non sentirti ribelle. Hai solo abbandonato. Probabilmente ogni giorno, ogni settimana in cui sei andato o andata via… loro hanno messo una radichetta in più, rafforzato un legame in più, ribadito un rapporto di forza in più, sottolineato che loro hanno e hanno sempre avuto ragione, potere, qualcosa. Che vince. Che ha vinto su te, sulla tua vita, su chi non è come loro. Vincono e mantengono la zampa sul territorio. Alla fine hanno vinto loro: ti hanno mandato via. O te ne vai o stai alle nostre regole.

Ma è un intero paese, un INTERO paese libero oppure sono libere dalla colonizzazione della merda provinciale solo le città? Che poi magari sono affette da altro.

Se resti dove sei e combatti lì, allora sei ribelle. Se fai il 68 nel tuo paesello. Se sei femminista, gay, contro, gender, anti. Qualsiasi cosa tu sia. Se lo sei dove sei, allora si. 

Ma certo che non sei li per far felice qualcuno. Sei li perché esisti. E quindi puoi andare via e fare altro. Ma non raccontarti che ti sei ribellato/a. Il capobranco ha fissato per bene il tuo culo e le tue spalle mentre te ne andavi. Poi si è girato e ha controllato se qualcuno alzava lo sguardo.

E poi non ci sei mai stato.

il nero pulsante dal nulla

Quale che sia la mia patologia, il mio malessere interiore, quando gliene dò la possibilità, il mio saggio maestlo inteliole lui dile “se vivi: vivi; altrimenti muori“. Molto semplice. Versione short. Versione long basta che leggiate tutti i vecchi post: se non ne avete voglia: o ti suicidi, oppure se resti vivo fai un passo e (cito) che ti porta solo in un posto diverso da dove sei ora, ma ne devi fare altri per arrivare dove vuoi.

Verso il 40° anno di età sono crollato, di tutto questo c’è testimonianza qui. Anche in questo caso, se ne avete voglia, la telecronaca della morte di un pezzo di me sta lì dentro. Circa da quel momento prendo uno psicofarmaco, che col tempo ho stabilito di prendere ad ogni mezzanotte, per praticità. Cosa fa? Mi riporta ai livelli normali di anormalità. Nkezzenzo scusa? Che chiunque mi conosca, simpaticamente, mi ha sempre detto pazzo, non sei normale, eccentrico, estroso, eccetera eccetera. Non l’ho mai considerata una cosa brutta. Diventa scomoda in relazione agli altri, come tante altre sul non essere conformi(sti).

Quindi diciamo che dopo aver dormito 10 ore (si, fortunato, privilegiato, fancazzista, si, ok: è solo danno per me: considerate che non vi licenzino ma non vi paghino per tutte le ore che non fate e che il vostro stipendio diminuisca dello 0,002% ogni settimana per ogni ora che non fate) più o meno, se non mi metto di buzzo buono a pensare al mio chiodo fisso (avere l’amore) sono normalmente anormale. Sono io. Cioè mi vesto, vado nel vento, vado però (cit), sul serio vado; dove sono nato io andare nel vento è normale. C’è sempre vento, sia qui, sia dove sono nato: il vento tira sempre tanto. Vivere in autunno era normale per me. Stare tranquillo, sentirmi a casa nel vento e nel grigio era la norma. Ora non più. Ma se tutto parte bene, ecco, esco di casa e sono così per il mio primo caffé. La pace dei sensi? Si, il dimenticarsi che sei un uomo, che esistono i sentimenti, le donne con cui stare (to stay with) e non solo quelle con cui avere a che fare (to deal with)… che ci sono cose nel mondo, che ti piace fare delle cose… così, la pace dei sensi, l’asessuato robot con intelligenza artificiale e il modulo per un carattere. E basta. Sotto come Big Jim e intorno come in un bosco di montagna e la neve: nessuno. Sei solo tu.

Se basti a te stesso, un piede va nella neve e l’altro lo segue. FRRRrrrrP frrRRRrrrrP ffrrrrrPh! Con calma e determinazione. Verso la morte, con il solo tragitto come vita.

Ecco, a parte questo sarcasmo nero, fatto per volontà, quello che non accade per volontà lo potete visualizzare così: stai vivendo la tua vita, stai sulla scala mobile, sei disteso sul letto a occhi aperti, sei dove fai quello che fai; improvvisamente in mezzo al chiaro si apre una nuvola di scuro, come in un Fontana aperto e slabbrato e il buio che tu non stavi guardando guarda te. Ti parla, d’improvviso, di quello che ti manca. Di quello che è bello e non è ipotetico, non è un sogno: lo hai avuto e non lo hai più. Te lo ricorda dal nulla. Con la voce di un adolescente ti dice che vali un cazzo e sei uno sfigato, perché non ce l’hai. Con la voce normale della ragione ti chiede conto della tua Vita, che ora è sopravvivenza senza quello che sai. Come mai, come mai quei tre tipi che ti sembrano delle merde, al bar, che cianciano dell’eleganza di quel calciatore ingollando alcol e protendendosi gli uni verso gli altri col petto e minacciandosi scherzosamente di venire alle mani… come mai loro hanno una donna ? Hanno qualcuno che li ama, che li aspetta, aspetta proprio loro. Ti senti tanto migliore? Fai qualcosa di meglio? Non mi pare – dice la voce incolore – che tu faccia meglio. Sei solo snob, sei solo disadattato sociale. Non ti bevi una birra e non sai chi gioca e come. Non ti ubriachi e non racconterai delle tue sbronze epocali. E tutta questa gente che ti sembra divertirsi, si, ma divertirsi in un modo che non ti diverte… comunque non è sola. Solo tu lo sei. Il problema lo hai tu – esce dallo squarcio – che pensi di essere selettivo, mentre invece sei stato scartato; da tutti.

Maaaaa… senti squarcio? … io volevo solo uscire e tirare innanz. Bere sto cazzo di caffé e poi darci sotto che l’affitto non si paga a orgasmi.

Ma la mia vita pulsa tra il cercare di andare avanti e questa ondata che mi viene a ricordare che sono un sopravvivente. Che chi è inconsapevole sta così bene. Fa il suo passettino, arriva a domani, riposa, va avanti di nuovo. Tranquillo. Senza porsi nella prospettiva, nel confronto.

Ogni istante è così. Credo io, sarebbe così anche se fossi un riccone con i miGGGGLLLiaWWWdi di migliaAAWWWWWdi. IL mare di solitudine che contemplerei forse avrebbe un tramonto più carino, dopo aver visto una parte del mondo interessante. Ma da solo.

Di amici ne ho, selezionati, certo; li vedo. Alcuni regolarmente. Ma la gente non ha tempo. Non se lo vuole dare. I social aiutano molto a svelare questa balla: la gente dice che non ha tempo, ma se guardi come lo usa, sta solo selezionando cosa fare, che priorià dare al “non fare un cazzo per un tot” rispetto al fare un’altra cosa. Sono quelli li a cui bisognerebbe curarsi di uscire un attimo dalla bara, al priorio funerale, con una licenza appositamente fornita dalla Morte, alzarsi e sputargli piano del verde catarro nell’occhio se si dispiacciono dicendo o pensando “avrei dovuto trovare il tempo”. Non per me, badate: io ogni tanto prendo la rubrica a caso e vado a trovare qualcuno. Mi dico solo “ti frega di questo? si? ok, andiamo a trovarlo/a”. E hop. Chiacchieri, bevi un caffé. Non è un grosso impegno. E se riesci ad andare a fare i raggi prendendo appuntamento ed aspettando quello che c’è da aspettare, riesci anche ad andare a chiacchierare con qualcuno.

Temo di essere passato dal parlare del concetto del mio personale orrore che spunta dal nulla ad una chiacchiera da bar di quelle che euh!…. marò!

“e i marò?” (cit – ora non più di moda).

Ah, interessante: Ambrosoli ci dice “cedere alla paura è non volere vivere“. Ed eccomi qua.

quanta paura ho? #201306242026

Non auguro a nessuno… oppure si? Oppure glielo auguro? – di provare paura, ansia, quanta ne ho io adesso – dico non so… potrei anche augurarlo perché così un po’ di gente capirebbe cosa significa. Che le parole “dai tirati su” “non puoi mica fare così” “datti una mossa” e tutte queste altre belle figate non valgono niente… se hai la somma: ho paura perché faccio schifo, allora ancora di più.

Non affermo che non ne si possa uscire. Ma se non senti questa sensazione, se la tua mente non ha questa malattia che proietta orrore dove ancora non c’è scritto nulla e te lo mostra come ineluttabile (questo si, il bicchiere mezzo vuoto) senza ombra di dubbio… allora non puoi capire. Oppure per capire davvero devi fermarti, dire “voglio capire” e quando hai capito allora non spari più quelle cagate tipo “eh  ma non devi”. Che grazialcazzo lo so anche io che non devo. Eppure mi batte il cuore in un modo che sono certo il mio fisico tra 30 anni ringrazierà con un bell’infarto o qualche altra roba. Non è che adesso lo guardo e gli dico “calmati” o che la mia respirazione lenta-e-pesante (che invece credo sia respiri  brevi ed apnea) risolverà tutto e che un bell'”ohmmmm” mi farà calmare la mente.

Ogni cosa mi terrorizza. Ogni cosa positiva non è più divertente… ogni interesse è una perdita di tempo e ogni cosa che vorrei fare è sempre quella sbagliata e mentre la faccio la mia mente mi dice che sarebbe meglio e più produttivo per il mio comunque merdoso futuro – farne un’altra. Non c’è tregua. Un po’ di tempo fa bastava rifugiarsi nel dormire… era una fuga, ma funzionava. Non più. Ora comunque la mia mente vaga tra terrori vari, pensieri ossessivi inutili e barbosi, problemi irrisolvibili (o ritenuti tali nel pensiero che mi si forma e si ripete ossessivamente) rovinando anche il riposo che sia anticipato, che sia rubato la mattina. Quasi solo alcuni quarti d’ora in macchina prima o dopo qualcosa … quelli hanno la parvenza del trasporto del sonno vero.

Questa paura è una merda gigante! Uno schifo assurdo. Giuro che invidio i palloni gonfiati, pieni di sé anche se non sono nulla, che non si accorgono di fare schifo, che comunque sono fighissimi anche se fanno schifo, che hanno sempre il petto in fuori: io li invidio perché quel loro atteggiamento forse farà stare male migliaia di persone, ma loro non stanno male (“ma si sentono meglio” cit.). E sto così male che inizio a considerare quelle persone davvero migliori di me. Dal punto di vista dell’evoluzione sicuramente.

Il coraggio, uno, se non ce l’ha, mica se lo può dare

Frase di Manzoniana memoria, pronunciata dal pavido Don Abbondio, divenuto per questa triste caratteristica, esemplare.

Eppure le indicazioni di tanti benpensanti, ottimisti, volitivi, religiosi e coraggiosi… più o meno, ricondotte al succo di ciò che contengono, dicono “eh, non devi avere paura”, “devi essere coraggioso”, “devi fare quello di cui hai paura” … eccetera, ovverosia cose tanto sensate quanto ciò a cui si rivolgono… ovvero che se uno ha paura, ha paura e basta.

Dir loro “ma non devi averne” non cambierà le cose. Le persone sono lasciate sole ad affrontare il cambiamento da ciò che conoscono a ciò che non conoscono. Chi non fa altro che dire “questa è la vita, o mangi ‘sta minestra o salti la finestra” non sta risolvendo il problema di chi ha paura… non ha la ricetta, non sta aiutando in alcun modo. Si trova nella condizione di chi la cosa l’ha già risolta, non ce l’ha (ora), o non ce l’ha forse mai avuta… se ce l’avesse (ora) davvero non la saprebbe affrontare, perché la vera paura è quella che queste persone non riescono ad affrontare: nel momento in cui ci riuscissero, la condizione non sarebbe più quella descritta. Sembra cervellotico, sembra insensato. Cercate di rileggere e capire: quella paura che non si risolve, quel terrore, quella condizione. Una volta risolta non c’è più, non è più conoscibile, forse non è mai stata quella comprensibile, dunque.

E allora? E allora è chi mostra la via con l’esempio che scioglie le paure, che contribuisce … se il coraggioso apre la pista ma lascia chiaramente vedere che il possibile era possibile ed in che modo, alcuni paurosi saranno tali forse per meno tempo e tanti semplicemente lo saranno meno. Qualcuno starà dicendo che “è troppo facile” che “si, questi vogliono la pappa pronta” eccetera. Ma si, avete ragione. Questo tipo di persona, quella che risponde così, non è il destinatario di questo testo. Continue reading →