Buon un cazzo, un cazzo.

– Buon Natale!
– Buon natale un cazzo! Casini casini

– Buon giorno!
– Buon giorno un cazzo! Casini casini

– Ah.
Beh, allora possa la tua giornata grondare dolore, sofferenza, che tu possa dimenticare quelli che ora ti sembrano problemi perché nella mente, nel cuore e nella carne il dolore siano gradualmente sempre più intensi fino a farti desiderare la morte. Che dici, meglio?
– Oh ma sei matto?! Ma che già va tutto casinicasinicasiniricomincia
– Se ti auguro il bene, non va bene. Allora ti auguro il male: vedo che quello lo comprendi bene. Hai compreso che ti ho AUGURATO qualcosa, non che ne sto constatando la presenza, no?

Di solito non entri dichiarando lo stato di fatto: da un punto di vista temporale, a colpo d’occhio puoi avere una limitata conoscenza del momento presente. Quello che puoi fare, nelle tue intenzioni, che normalmente il saluto (“salute!” = ti AUGURO la salute, da cui: salutare) riassume in una formalità che però porta un contenuto sostanziale, è augurare che le cose migliorino, che vadano – da quel momento – bene o male.
Cioè quando entri in scena non si capisce come mai gli stronzi ivi presenti possano confondere la constatazione di uno stato di fatto con il buon auspicio.
Quindi “un cazzo” un cazzo, grossa testa di cazzo. Ti ho AUGURATO qualcosa a cui hai risposto “un cazzo”. Giacché non lo gradisci, passo al suo opposto, e naturalmente visto il precedente, dovresti fraintendere e considerarlo nuovamente uno stato di fatto. Ma guardacaso no. In questo caso tu capisci che si tratta di un malaugurio. Come mai? Perché sei uno stronzo maleducato antipatico?
Ma … io direi di si.
Quindi buon appetito no? Buona giornta un cazzo? Buon natale un cazzo? VAFFANCULO, entro nella stanza e VAFFANCULO. VAI (imperativo) A FARE (indica azione) ellissi che implica l’atto sessuale, IN CULO (sic).
La prossima volta che “buongiorno un cazzo” consideratevi maledetti, che vi sia augurato l’auspicio nefasto, nefando, siete ormai cadaveri che camminano.
Riguardo al natale, so bene che si tratta del Dies Natalis Solis Invicti. Quale che sia la sua storia, quale che sia il credo che professate, quello che vi si augura è che dall’istante dell’augurio fino alla mezzanotte, questo giorno sia FAUSTO piuttosto che INFAUSTO. Fine. Non va bene? Che allora vada male – ti maledico, merda rompicoglioni!
Meglio così?

Gioia et gaudio (da una riflessione dell’anno scorso nello stesso periodo).

Rock / una lunga moda passeggera

mosh pitQualche tempo fa ho osservato, forse 10 anni dopo averne sentito dire cose simili da Morgan da qualche parte, che il rock non era più qualcosa di attuale nella vita di chi è nato a cavallo dei decenni che definiscono questo millennio. Un po’ come osservare che fine hanno fatto tutti quegli stronzi che usavano le “K” nei messaggi e che ora risultano ridicoli SIA per vecchi e loro contemporanei che la hanno sempre trovata una cagata, sia per chi è venuto dopo, perché era una moda e non essendolo più suona solo vecchia e strana: imbarazzante, come ogni cosa oggi.
Che fine ha fatto dunque il rock? Dove si trova? È stata una fottuta moda. Lunga. Ma sempre moda, il colore di mezzo secolo, ribelle per un po’, poi normale stile espressivo, poi fastidioso per chi lo ascolta oggi proprio come lo fu quando nacque. Troppo forte, troppo casino, stride, urlano… Ascolto mio fratello ed un suo amico, che ricadono perfettamente nella definizione temporale di “boomer” e quello che dicono della musica è esattamente quello che avrebbe detto un vecchio a loro dei Led Zeppelin. Che non era musica, che fa schifo, che è rumore, che non sanno cantare, che la musica è un’altra cosa, che la capacità. Eccetera.
Ci sono un sacco di cose, un sacco di mix, non è che una chitarra distorta (un po’ e con un volume infimo) non esista. Ma è nicchia. Una nicchia che amo. I ragazzi ascoltano altro, raccontano sé stessi e ascoltano i racconti di altri con un altro stile. Suonare, saper suonare, apprezzare determinate complessità comprendendole, non è cosa di oggi per la maggior parte. Segue il flusso, come chi ieri ascoltava solo la radio senza sapere cosa ascoltasse, ma spesso senza neanche un sussulto per quello specifico pezzo. Forse una shazammata qua e là.

“non to tempo”

Tra il 1995 e il 1998 suonavo mediamente in due gruppi il basso elettrico o la tastiera. Faccio fatica oggi a dare credito ai ragazzi/e che dicono di non avere tempo ed essere troppo impegnati. Io posso essere stato un pessimo studente, ma M, F e C non lo erano affatto. Due sono laureati e con dottorati, ingegneri informatici, C che non si è laureato è semplicemente incastrato in un loop mentale da quando i suoi sono morti e ha deciso di non laurearsi a un millimetro dalla laurea. Ma non era perché non aveva tempo. Facevamo le prove, componevamo a casa, provavamo perché nessuno ha fatto il conservatorio: serve tempo, prove ed errori, collaborazione, provare e riprovare. Io lavoravo, loro studiavano all’università. Si usciva nei fine settimana e anche dopo le prove. Chi aveva e chi non aveva la morosa a seconda del periodo. Ma le cose le volevamo fare, quindi trovavamo il tempo per farle. Con un gruppo abbiamo fatto un disco in studio. Come mai non ci suonai più non ha praticamente niente a che fare con il tempo: certo, ci ho messo del ragionamento anche con il tempo, ma tutto mediato dalla insoddisfazione: con quelli del CD odiavo la musica ma amavo loro, mi stavano simpatici e semplicemente mi rendevo conto che non volevo farmi il sangue amaro, con gente che mi stava simpatica, per motivi musicali. Volevo sempre andare a bere e mangiare qualcosa con loro DOPO le prove. Quindi visto che stavo iniziando a convivere, la soddisfazione di quel gruppo non valeva il tempo tolto allo stare con lei. Ma se lo avesse valso, avrei fatto cose, come le faceva lei: era il motivo principale per cui se n’era andata ad abitare da sola.
Con l’altro gruppo i gusti musicali e le divergenze erano forza e motivo di rottura: per tutti eravamo troppo diversi e la cosa non durò, ma io sono convinto fosse la nostra forza, anche se ci si poteva innervosire. È talmente vero che a distanza di vent’anni se faccio sentire i pezzi, la gente che amò gli anni 90 dice sempre “hey!” come a dire “ma questa non è merda!” anche se il suono è da demo. E infatti voglio che la cosa mi sopravviva, è un obiettivo preciso.
Il terzo gruppo mi buttò fuori: eravamo troppo diversi: io amavo loro ma loro non amavano me… sostanzialmente ero troppo poco integrato, per loro potevo fare bene per i cazzi mia. Al di là delle mie brutte storie, come è chiaro se leggi, non si tratta affatto di non avere tempo: tutti trovavamo il tempo, correvamo a destra e manca, con macchine usate, pochi soldi, i primi mutui e con mezzo piede in case di genitori che sono molti diversi da quelli che oggi ti lasciano scopare a casa come se fosse normale. Avevo tre gruppi, non uno. Andavo a corsi di illustrazione. Tutto MENTRE lavoravo e avevo la morosa, anzi, due le ho trovate lì e una andando proprio a suonare, così, in stazione.
G ha la mia stessa età e va ad ogni mostra possibile, scopa in giro, si organizza le scopate in hotel, ed è sul pezzo lavorativamente, tantissimo: è una che scala e viene riconosciuta in un mondo di uomini per il suo valore, quindi doppia energia lavorativamente. Eppure il suo tempo se lo trova. Più che palestra fa body-building… quindi “non ho tempo” e “che ansia” … maddeché?

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Svuotando lo scaffale del me stesso morto

Quella insopportabile gioia e l’amore, quanto dolore possono causare poi? Con The Music of the Spheres nelle orecchie che gira da ieri (ieri 10 volte, non concordo con Rolling Stones, del resto ho dei Jeans Skinny e le scarpe da ginnastica bianche e vado inesorabilmente verso i 50, quindi ci sta) ho preso di mira quello scaffale. Lo avete anche voi? Mio padre ce l’ha. Anche il padre di B, mi sembra. Un mobile, uno scaffale, in cui ci sono “quelle cose speciali” o “quelle cosine delicate”, magari un mucchio di cose piccole, qualche chiave che se la perdi, un documento importante, la scatola dell’ultimo cellulare? Non so. Mio padre ci teneva e credo ci tenga in effetti un sacco di piccole cianfrusaglie e un tempo anche dei soldi. Era li che mio fratello glieli ha fottuti lasciandogli credere che si stava rincoglionendo, avvilendolo molto per entrambe le cose. Credo un dolore che non posso comprendere perfettamente.

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Gli sfigati e i vincenti mentre adulescono

O mentre adulgono! – Una volta cresciuti, tra i 30 e i 40 almeno, e poi oltre, gli uomini, alcuni ancora ragazzi, sono interessanti da osservare. Siamo. Siamo interessanti da osservare.Un maschio umano vincente perché è un animale vincente lo è da quasi subito. Il suo corpo gli dona strumenti che altri non hanno: sono doni, appunto. Lo capisce velocemente e velocemente se ne avvantaggia: fisicamente e quindi anche socialmente, in quel tipo di socialità ravvicinata in cui si vince perché si è forti, attraenti, potenti nel poter dominare l’altro fisicamente. Chiunque altro sarà di meno. Sarà sfigato. Siamo umani, ma siamo bestie. Però appunto, siamo umani. Per scopare questa cosa serve tanto, funziona tantissimo. Forse anche in un certo tipo di rapporto amicale.

Ma col tempo gli sfigati imparano a non essere più sfigati, perché sono meno bestie e più umani in ciò che fanno: imparare. Imparare abilità che non sono doni. Conoscenza, ma anche tecniche che sono frutto di esperienza. Così ecco che singoli sfigati diventano singoli non-sfigati.

Ma in gruppo? Cosa diventano, come sono?

Sono uscito con un gruppo di perdenti socialmente, quel tipo di persona che devi conoscere profondamente per poter soppesare privilegi e difetti, devi poter srotolare intere vite, perché al volo solo alcuni hanno sviluppato anche abilità di socializzazione, sono meno goffi. Ma tutto sommato li vedi, vedi che funzionano come non-sfigati da soli. Ma insieme… per qualche motivo rivelano la loro natura di sfigati, di quel tipo di sfiga che se hai imparato nella vita una cosa, sai che per funzionare bene una cosa che puoi fare è semplicemente allontanarti. Bastano tre metri di distanza e tu sei tu, non sei loro.

Però non sono mai stato animale da gruppo io. Solo che era diverso. Era per il mio sentirmi sfigato, non per il sentirmi “non devo mescolarmi agli sfigati”. Recentemente mi è capitato ed era tutto abbastanza triste come sempre, solo che ho pensato che presi singolarmente tutti questi maschi umani avevano sgomitato per fare qualcosa, che era… era lavoro. Era poco interessante quello che si diceva, come sempre in un gruppo. Era interessante però sapere qualcosa di ognuno di loro: uno di umili studi e lavori però, oltre al lavoro fisso ben retribuito, faceva un pacco di soldi su ebay perché sa vendere, sa commerciare. So per certo che ha un sacco di storie in giro, tradisce la moglie, ha due splendide figlie, si diverte molto, ha passato i 50 da qualche mese. Uno è un classico sfigato proprio con lo stampo, che sarebbe meglio che fosse buono. Ma vuole fare il cattivo. Solo che è un ciccione. Ma da buono fa davvero cose buone. Poi però vuol prendere la piega brutta, sentirsi forte. Ma quando è intelligente è meglio, funziona. Ed in gruppo è proprio un pesce fuor d’acqua. Eppure fa i soldi, sgobba. Ma è pur sempre uno sfigato. Un altro era più difficile da capire, ma aveva il classico aspetto del nulla. Ordinato, ordinario. Ma con battute talvolta idiote ma sempre ben piazzate, fulminanti, con tempistiche perfette, mi ha fatto sganasciare perché le battute arrivavano sempre nel silenzio, infilate tra un atomo e l’altro: zic! Ma sfigatissimo. Eppure onesto, senza fare lo sborone. Forse il migliore? Un altro era interessante: ex religioso, diventato agnostico perché…? Per i video di BIGLINO!!!!!! Non ci potevo credere. Questo si inserisce perfettamente nelle mie recenti osservazioni “no-vax world”, cioè in una certa forma-mentis che raggruppa tutta una serie di persone… in un altro gruppo ci sono i religiosi che sostituiscono una forma di credenza con un’altra. Poi ce n’era un altro che credo fosse li con un certo fastidio, ma perché invitato dal suo cliente-capo (il buono che fa il cattivo, che alla fine è un democristiano: false partite iva); doveva avere un certo gusto, un certo livello. Ma deve lavorà. E poi l’organizzatore, che conosco come direttore di un posto, che vedo ogni giorno. E che tutto sommato ha sempre mantenuto un livello di integrità e coerenza più che decente, mi pare: forse perché lui non è uno sfigato e non lo è mai stato. Fisicamente dev’essere sempre stato piuttosto prestante e ha deciso di unire, in tempo utile, questo lato a quello intellettuale. Chi lo sa. Padre di due tre figli, felicemente sposato. Credo che ci ripenserà prima di fare una cosa del genere tutto sommato.

Al di là di questo tipo di osservazione che lascia il tempo che trova, c’è quello più importante, che conferma ciò che sento sempre: in gruppo i maschi si riducono ad avere circa tra i 9 e gli 11 anni, ma con l’aggiunta dell’alcol. L’unico motivo per cui la cosa non mi ha fatto pensare fosse meglio starsene per i cazzi propri era che una cosa principale da fare c’era: andare a correre con i Kart. Una cosa che non avevo mai fatto: un’abilità inutile che affinerei volentieri quella di quel tipo di guida. Purtroppo costa, ma non esiste che un videogioco di auto possa darti neanche la minima intensità rispetto a questo, persino con un autoscontro avresti di più di un videogioco. Qui invece si corre sul serio, non ha nemmeno importanza se si corre “poco” visto il poco spazio e il terreno scivoloso. Derapata sempre, frenata in scivolata sempre, massima velocità 70/h in un rettilineo microscopico in cui comunque devi limitarti se vuoi prendere la curva successiva. Mi sono preso delle botte terrificanti, alcune autoinferte, altre per urti degli altri stronzi maledetti. Però divertente, almeno per me. E un po’ di cibo. Ma per il resto la conversazione di gruppo difficilmente funziona bene.

Ecco, un gruppo che risulta vincente credo sia davvero qualcosa di “santo”: un gruppo di maschi adulti che stanno bene insieme, che non sgomitano in nessun modo, mai, che sono in armonia, che ti fanno dire “umanità” senza tirare un sospiro rassegnato… boh, esiste questa roba?

Sono più per il no che per il si.

Nel luogo in cui poi abbiamo mangiato c’era un livello estetico differente. I maschi erano grossi. Tutti più o meno davano l’idea che ti avrebbero steso. Poi è arrivato un gruppo di tipi davvero molto maschi. Forti, muscolosi. Con delle ragazze che avevano sempre qualcosa di super. Una aveva un corpo davvero formoso, sodo, inguainato non per sostenere, ma per accompagnare… il viso faceva quel che poteva per competere con tutta quella roba. Palestra, impegno. Un’altra era una figa pazzesca e basta, tutto dono di natura e cura nel mantenerlo. Non avere i biglietti in quel momento mi rodeva il culo… ma il gruppo di guerrieri spaccamascelle con cui stavano mi avrebbe fatto un po’ dubitare dell’opportunità di avvicinarmi.

Quelli forse non erano delle gran cime, ma erano tutti prestanti, avvenenti. Maschi e femmine. La loro non sfigatezza era chiara ed immediata: dopo aver bevuto non con lo scopo di fare qualcosa nella serata, ma solo di scaldarla un po’, avrebbero scopato sontuosamente, donne con sontuosi uomini, uomini con sontuose donne o qualsiasi mescolanza desiderata.

Uno del nostro gruppo di sfigati si è poi rivelato in tutta la sua sfiga: felice solo per il cibo, lagna per qualsiasi cosa, viziato come un vecchietto, stanco tanto da perdere l’autocontrollo verbale. Ma se ci vedremo tra qualche giorno io credo che penserà che quello che dico ora sia “esagerato”. Ma io ho sempre percepito un bisogno di riconoscimento palese di valore in lui. Eppure lo ha, il valore.

Chissà come staranno le mie costole dopodomani. Se fosse gratis ci andrei anche da solo, anche ogni giorno. La cosa che ha preoccupato me è la mancanza di respiro, come se fossi andato in montagna, se avessi camminato intensamente con fatica. La panZa? Devo indagare.

Comunque confermo anche in viaggio verso i 50: per me vale solo il rapporto 1-1, niente altro.

Tasto rosso e VPN

Ascoltavo una persona, che parlava di una trasmissione radio, che parlava di quanto i giovanidoggi potessero velocemente trovare la morte per suicidio assistiti dall’internetz. Eh! La peppa, ma come? Io che lo cerco da mo’ faccio così schifo a cercare? Cerco il penthobarbital da che esisto. Una wikipedata e tra pento/nembu e cotillons, capisci circa cosa ti serve. Ma al massimo arrivo a roba messicana, non si capisce… e poi come so che non mi stanno inculando? Son soldi. A questo probabilmente non troverò grandi risposte neanche ora. Si spera che il mercato sia sempre dominante: fornisco un buon prodotto e i clienti torn… aspetta, ma se sono morto non torno. Si ma sono 500 euro a botta, non sterminano mica il pianeta. E poi c’è sempre gente che figlia come ricci conigliati. Avranno fatto i loro conti? Sto per comprare piscio di vecchia russa in bottiglietta?

Ad ogni modo faccio la mia ricerchina e BAM, trovo qualcosa. Alla quale non si accede, che strano. Avranno fatto il solito giochino del DNS, mi attacco alla prima VPN via prowser che trovo e infatti si accede al volissimo. Poi mi dico… ma i ggggiovani davvero si sbattono così tanto? Poi mi sveglio e scrivo le giuste parole su telegram e trovo almeno 4 gruppi. In uno di questi si fa riferimento a contatti con sistemi di messaggistica ancora più tosti, tipo wikr/me.

La via per il tasto rosso forse si avvicina.

Non me li vedo gli youtuber che seguo a dire che con le vpn dei loro sponsor puoi trovare più facilmente le sostanze per decidere tu se vivere o meno. Ma sarebbe un interessante momento surreale.

Benestock, lo stock benestante detta il politically-correct occidentale

La sensibilità di un mercato di ricchi ha influenza su ciò che viene prodotto, da Naomi Klein ad oggi almeno un soffio di consapevolezza è stato portato all’attenzione di chiunque. Molto probabilmente vogliamo toglierci da sotto il naso la puzza della merda che serve per produrre la roba che vogliamo, più che smettere di produrre la merda assieme alla cioccolata. Muore gente? La gente sta di merda per fare quello che vogliamo nel modo in cui lo vogliamo? Lontano dagli occhi. Ok. Ma quando la merda si ritorce contro di noi è interessante osservare il fenomeno. Come produttore di immagini ad un certo punto i dati di vendita, che certamente non sono tantissimi rispetto a quelli che ha l’agenzia nei confronti del fotografo, sono in ogni caso parecchi e sufficienti per fare certi ragionamenti. Ti chiedi “come mai non vendo qui?” guardando sulla mappa geografica. Una parte delle domande è commercialmente sensata: perché in Russia vendo meno? Perché in Finlandia/Scandinavia/Danimarca vendo meno? Queste domande possono avere un senso, se confrontate con centro Europa, Usa/UK/Australia. Certamente anche la Cina mi interessa, ma fino ad un certo punto e la risposta che mi do forse dovrebbe risolvere anche quella con la Russia: non credo ci sia modo di far rispettare e controllare gli interessi del CopyRight. Non ha molto senso in un paese capitalista dittatoriale, ma forse si: il diritto è solo quello dell’impero, gli altri devono battersela con la forza, che in Cina di certo non è alla portata del diritto e quindi del singolo.

Ma il resto? Googlo “mappa della ricchezza nel mondo” e ovviamente la risposta è: il mio mercato è quello dei paesi ricchi, che se la passano proprio bene.

Quindi la loro sensibilità si rivolge a sé stessi: la bellezza delle persone, la diversità e l’inclusività, tutte le istanze più libertarie arrivano perché la massa ha potere d’acquisto tale da dire “se non mi tratti come si deve non avrai i miei soldi”. Posso considerarlo totalmente un disvalore? In fondo è una faccia dell’economia di mercato che democratizza: quando entro nella maggioranza posso farmi sentire. Certo è una democrazia a pagamento, non ci sono dubbi. Il mondo che mi viene chiesto di rappresentare, sempre in versione ripulita, è comunque il riflesso di una sensibilità che non necessariamente rappresenta il vero, ma rappresenta qualcosa che questa gente vuole per sé stessa, il mondo che desidera rappresentato al meglio per sé, che li attira, che li fa sentire meglio.

Non vedrò certamente la vita quotidiana degli stati del continente africano: non ci sono acquirenti interessati in Africa, a vedere rappresentati sé stessi al meglio: non possono proprio permettersi di fare promozione di qualcosa del proprio mondo indirizzata al proprio mondo. Quello che rappresenteremo, quindi, sarà sempre la visione di chi ha i soldi: il lato turistico, folkloristico, colorato e fico. Non che non lo sia, ma di certo non saremo interessati a vedere una classe di scuola vera o idealizzata ma esistente almeno in un caso, che so… in un paese *stan. La sensibilità di chi ha i soldi per comprare richiede la rappresentazione di un mondo visto con quegli occhi. E ora va di moda il più politicamente corretto possibile. Qualche ciccia di più, qualche difetto (ma figo) qua e la, un po’ meno conformità tra le morfologie … una mescolanza multietnica che figurati se esiste davvero in quei termini, generi reali o percepiti che si incrociano in tutti i modi sposandosi, anche se la gente non si sposa o divorzia più di quel che si sposa. Ma che nelle menti dei benestanti acquirenti esiste, è un po’ più a portata di ieri ed è nei loro desideri. E quindi noi vi diamo la merda che volete mangiare.

Sul vivere utilmente #239482

La band qui sotto finisce di suonare una cover di Ligabue, pezzo forte de finali dei suoi concerti, Urlando Contro il Cielo, tenuta più su con la forza della canzone stessa che dalla fiacca della coverband. Mi emoziona perché sono vecchio, perché il pubblico la pompa bene. La band all’improvviso, in modo assolutamente non-rock, finito il pezzo, smette del tutto, saluta, inizia a smontare.

A questo punto il pubblico

da solo

canta.

La canta stonata come sempre, come sempre si è fatto da quando l’ho sentita, quasi male come la canta Vasco, con quella cadenza da pulmino della scuola, capisco che la so ma ancora non riesco a ricostruire e … all’improvviso

Albachiara.

È appena terminato un concerto di una coverband che al 90% fa Ligabue, finale moderatamente riuscito, ma ottimamente riuscito a giudicare dal casino del pubblico e cosa fanno immediatamente dopo, ebbri di energia della musica, que sti del pubblico? Cantano Vasco, una canzone di trent’anni almeno, come abbiamo sentito – circa – poco prima dal buon vecchio Liga. Ma sono 42, gli anni passati.

Mi immagino un vecchio Rossi, più invecchiato di quel che è, come un vero vecchio, che passa ingobbito dal peso della sua panza da birra, vecchio sul serio, senza nascondere più alcun pelo grigio, con le braccia dietro come i vecchi, che passa uscendo dal bar dove si ubriaca, qui al paese, e sente che dopo il pezzo di chiusura di un altro Grande Vecchio fatto dalla band, la gente, il popolo-popolo che è il suo pubblico, spontaneamente, canta la SUA canzone. E magari, mi immagino, pensa che non ha vissuto invano. Perché… si vive per qualcosa, si?

Perché sono ancora vivo?

Non sono vivo perché ho un motivo tosto. Devo soldi a M. Ho iniziato a restituirglieli. Devo soldi a B. Glieli ho restituiti quasi tutti.

Avendo preso (involontariamente, direbbe un INCEL) le distanze dall’amore, soffro molto meno, se non ci penso troppo, se non porto dentro di me la sensazione desiderabile, vissuta, intensa, splendida e felice. Se la vedo come un film di qualcuno, con la sensazione di fantasia, posso sopportarlo. Quando, paradossalmente, qualcosa tocca le corde giuste in un’opera come un film, una foto, un racconto, un piccolo video o una canzone, potrei scoppiare a piangere e provare un intenso dolore che trapana il cuore.

Sono ancora vivo perché mi sono posto il limite: massimo 75 anni. Ho una data di scadenza, la so, la pongo io. Questo richiede sempre la ricerca di uno strumento adeguato a morire. E vorrei fosse disponibile anche per domani, non per così tanti anni a venire. Non sono un uomo ricco di nulla di cui godere così intensamente da dimenticare che del resto ho goduto molto poco rispetto a ciò che avrei voluto quando era il suo momento.

Le cose non vanno bene. Ho comunque alcune cose che devo al ragazzo che sono stato e che oggi possono essere fatte senza considerarle sogni inarrivabili. Certo sono fuori tempo massimo. Certo non significano quasi nulla per nessuno. Ma vedi mai… alcuni di quegli ex-ragazzi un po’ si sono mossi, un po’ si sono emozionati. Continue reading →

Depressione, orario, cibo?

Mi alzo normale, vado sul gruppo FB di nota associazione fotografica profesionale mentre sono sul cesso, leggo la testimonianza di un tipo: riporta quella di una ragazza che è stata in stage da un altro fotografo e hanno fatto matrimoni col cellulare. Chiede opinioni.

Naturalmente si finisce sempre per citare frasi e aforismi di famosi fotografi del pre-digitale. Credo che il mezzo fotografico di espressione non sia sufficientemente vissuto dalla popolazione tutta per poter essere guardato come la scrittura o la musica. Qualcosa che, in un modo o nell’altro, diventa alla portata di tutti. Eccomi qui, io scrivo. Ma non vivo di scrittura. Una appassionata scrittrice, di quelle che fanno la scuola di scrittura, sicuramente più preparata, competente, colta di me, mi fece tanti complimenti che porto con me. Certo, era innamorata, quindi: posso crederle? Non lo saprò mai. Ma non scrivo per mestiere, nessuno paga per avere il privilegio di leggere ciò che produco, per averne una copia, per riconoscermi il valore monetario della mia fatica e proprietà intellettuale. Evidentemente non ce n’è motivo, mica è taccagneria. Se puoi cucinarti “du’ ova” da solo, lo fai, mica aspetti Cracco: anche se dopo aver visto come le prepara, su youtube, mi levo il cappello e respect to you. Non mi pagano per scrivere testi per qualcuno. Non ho intrattenuto né cambiato la vita a qualcuno con i miei testi. Eppure in qualche modo, come tanti di voi, so scrivere. Ecco, questo fa di me uno scrivente ma non uno scrittore. E così, citando Smargiassi, il fotografare rende molti “fotografanti” ma pochi “fotografi”. Al di là di chi ha passione per questo genere di approfondimento però, esiste il mestiere.

Chi fa questo mestiere è stato prima appassionato e poi lavoratore. Magari ha mantenuto la pasione ed accresciuto la cultura.

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