sulle iA generative

Ai miei 4 lettori saltuari forse parrà strano non abbia detto granché sulle iA generative. Ma no: me le avete viste usare.

Ma superficialmente. Quelle che mi colpiscono negativamente sono – ad oggi – Suno e Udio. Perché lammmmmmmerda che vedo produrre è di proporzioni gigafecali. La noia. Qualsiasi produzione che mi piaccia stacca tutto questo di netto.

Per ora.

Autolesionismo di massa #2398472349

Alcuni individui, più rari di altri, all’interno del gruppo degli esseri umani hanno capacità che potrebbero essere indirizzate al miglioramento della condizione umana generale. Ma loro come tutti noi devono usare buona parte del proprio tempo ed energia a sopravvivere, a competere con gli altri. Se, lontano dalla sopravvivenza e da un tipo di competizione legata a questa, fossero solo le loro idee a competere comunque per un fine che non è competitivo, ma collaborativo, saremmo nell’utopia.

Invece no, gente che potrebbe arrivare a rendere l’economia della scarsità un mondo per gli altri animali invece deve cercare lavoro e faticare a trovarlo come chiunque altro. Accontentarsi, fare un sacco di fatica non impegnata nella ricerca del miglioramento per tutti ma, invece, per un fine principalmente commerciale, ossia legato alla competizione e alla sopravvivenza di una parte.

Questo frena notevolmente il progresso in senso sociale: magari quello tecnologico, sempre usato per avvantaggiarsi su competitors da lasciare indietro, procede, certo. Ma il progresso, che rende gli umani meno schiavi del sopravvivere cercando di essere migliori degli altri a questo unico scopo, procede pianissimo e ci rende, in questo aspetto, ancora poco progrediti rispetto ad altri animali dove comunque la gerarchia, la sopraffazione di altri, la legge del più forte, il sopravvivere come scopo principale e a svantaggio di altri, sono il sistema principale. Nulla di questo è assoluto, ma gli esseri umani potrebbero aspirare ad un salto di progresso sociale ed esistenziale davvero più alto di quanto non stia accadendo ed è lo scarso allontanarsi dalla logica di mercato, di gerarchia e dominio a tenere lontano un vero miglioramento per tutti, dove la collaborazione a vantaggio della razza umana sia più importante della competizione dei singoli per la condizione propria e del proprio piccolo gruppetto.

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ChatGPT 4o: Il testo solleva punti validi riguardo alle limitazioni imposte dalla competizione per la sopravvivenza e l’importanza della collaborazione per il progresso sociale. Tuttavia, alcune affermazioni possono essere idealistiche e semplificare problemi complessi. La chiave potrebbe risiedere nell’equilibrio tra competizione e collaborazione, oltre che nella creazione di strutture sociali ed economiche che permettano a più persone di esprimere il proprio potenziale senza essere limitate dalle necessità di base

Niente serve a niente, ma…

“Tutto serve”. Magari poco, magari prima o poi, magari solo ogni tanto. E soprattutto, meglio non pensare che “non frutta”, che non frutta denaro.

Ho lungamente pensato di avere iniziato ad usare un computer nel 1980, ma non è vero, ho verificato qualche dato ed era sicuramente 1982-1983, quindi avevo 8-9 anni.

Il fatto che io digiti relativamente velocemente alla tastiera, quindi non è nulla, nessun merito. Solo tanta pratica. Nei miei primi anni di lavoro qualcuno che aveva usato delle chat pensava che io fossi uno/a di loro: uno che chattava molto. Niente di tutto questo. Ho digitato moltissimo. Nei decenni successivi erano persone che avevano fatto scuole per segretarie d’azienda e così via a guardarmi infastiditi/e. Appena me ne accorgevo però svaniva la magia: impacciato mi mettevo subito a guardare i tasti per cercarli e non azzeccavo più niente. Insomma: nessun talento, solo tanta pratica.

Un’abilità inutile da diverso tempo: da quando con lo smartphone posso usare il sistema di dettatura, detto quasi tutto e poi lo sistemo, se posso; se non posso ciccia.

Mio padre in questi giorni non sente più niente: nemmeno con l’apparecchio acustico. L’intermediario comodo tra di noi era proprio lo smartphone che lui doveva cambiare. Per un po’ , uno di fronte all’altro, non avremmo potuto comunicare che … con bigliettini?

Ma il suo pc era li vicino, così ecco che una “abilità inutile” è diventata invece fondamentale: lui mi rispondeva a voce e io potevo digitargli su schermo MOLTO GRANDE (anche la vista sta andando) quello che non avrebbe potuto udire.

Una scrittura stentata o insicura avrebbe reso penoso qualcosa di già penoso… e invece… per la prima volta nella mia vita la digitazione veloce è stata davvero UTILE.

Certo, nel grande ed insensato inutile che è l’esistere. Ma in quella piccola scatola di cartone appoggiata sulla lava… lì dentro… in quel piccolo universo relativo, tutto può essere utile.

No, non sono così fico, aggiungete + 10 anni a farla gentile.

Perché mandi foto di foglietti?

Due aspetti fondamentali dell’uso della tecnologia digitale: l’efficienza nella trasmissione dei dati e l’impatto ambientale di queste pratiche. Analizziamo la situazione da un punto di vista tecnico, concentrandoci sulla dimensione dei dati e sul relativo carbon footprint, ad esempio per l’invio di un semplice IBAN, spesso fotografato da foglietti o da biglietti da visita invece che essere digitato nel corpo dell’e-mail o di messaggi.

dai fai foto di scritte, dai, coglione

Dimensione dei Dati

Prima di tutto, consideriamo la dimensione in bytes di un codice IBAN. Un codice IBAN è composto da fino a 34 caratteri alfanumerici. Assumendo una codifica UTF-8, la maggior parte dei caratteri in un IBAN richiederà 1 byte ciascuno. Questo significa che un codice IBAN digitato direttamente in un’email occuperà fino a 34 bytes, più qualche byte aggiuntivo per la formattazione del testo e lo spazio che occupa nel corpo dell’email, ma rimaniamo nell’ordine di grandezza dei byte o, al massimo, di pochi kilobytes se si considerano metadati e formattazione.

In contrasto, una fotografia scattata con un moderno smartphone può avere una dimensione che varia significativamente a seconda della risoluzione e della qualità dell’immagine. Le dimensioni possono variare da poche centinaia di kilobytes a diversi megabytes. Per esempio, una foto scattata con una risoluzione media di 12 megapixel può facilmente superare i 2 MB in formato JPEG, a seconda della compressione e dei dettagli dell’immagine.

Impatto Ambientale

L’impatto ambientale dell’invio di dati digitali è legato alla quantità di energia utilizzata per trasmettere, elaborare e memorizzare questi dati attraverso i server e le infrastrutture di rete. L’energia utilizzata dipende da vari fattori, inclusi l’efficienza energetica dei data center, la fonte di energia utilizzata (rinnovabile vs. fossile) e la quantità di dati trasferiti.

  • Trasmissione di Testo (IBAN Digitato): L’invio di un codice IBAN come testo puro rappresenta una quantità di dati trascurabile. Pertanto, l’energia richiesta per la sua trasmissione e la memorizzazione è estremamente bassa. Anche se migliaia di tali messaggi fossero inviati, il loro impatto complessivo rimarrebbe minimo.
  • Trasmissione di Immagini (Foto dell’IBAN): L’invio di immagini, specialmente ad alta risoluzione, richiede significativamente più energia per la trasmissione e la memorizzazione a causa delle dimensioni maggiori del file. Questo non solo aumenta il consumo energetico per singola transazione ma può anche influenzare la necessità di espandere le infrastrutture di rete e di storage per gestire volumi maggiori di dati.

Conclusione e Considerazioni

Quanto di più? Invio di un’immagine può richiedere centinaia o migliaia di volte più dati rispetto al testo puro. Di conseguenza, l’impatto ambientale, misurato in termini di carbon footprint, può essere significativamente più elevato per l’invio di immagini.

Pratica Continuativa: Sebbene l’atto isolato di inviare una foto di un codice IBAN non abbia un impatto ambientale notevole, la pratica continuativa e diffusa di condividere informazioni testuali attraverso immagini ad alta risoluzione può contribuire in modo significativo all’impronta carbonica globale dell’uso di Internet.

Riduzione dell’Impatto: Favorire l’uso di testo digitato per trasmettere informazioni brevi e semplici come un codice IBAN può ridurre notevolmente il consumo di risorse e l’impronta di carbonio associata alla nostra attività digitale quotidiana. Questo è in linea con la pratica più ampia di minimizzare il consumo di dati non necessario e ottimizzare l’uso delle risorse digitali per un futuro più sostenibile.

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Ok, la risposta è: perché faccio prima.

Lo so. E se non sei completamente idiota mi chiederai conto della coerenza visto che questo blog è stato corredato di foto. E sarebbe un buon argomento.

Anzianopoli (musicadimmerda?)

Prima di leggervi le mie stronzate, leggetevi opinioni di un altro anziano che conosco poco, ma che, leggendo, mi sento davvero di non poter criticare troppo, anzi: Umberto Maria Giardini.

Certo mi è scesa lammerda leggendolo. Combattuto tra il dire “uuuuh, booomer!” (è vecchio circa come me, qualcosetta di più) e invece sentire “ma sai che invece… ma invece… che c’ha proprio ragione?”.

Magari con un altro stile, ma tutto sommato pure Masini, a suo tempo, lo disse.

UMG sembra ignorare del tutto gli anni di pirateria: quelli non sono dovuti alle major, ossia, certo, il prezzo del CD/Vinile era troppo alto e aumentava e i proventi non erano corretti per i musicisti e i contratti erano abbastanza una cacca se non c’erano MIGLLLLLLLLLiaWdi di MigLLLLLiiiiaWWWWdi.

Se non erro chi capì come fare furono Venditti, Vasco, Ligabue. Poco altro: ti gestisci tutto. Ma non lo so.

Però la pirateria prima dei CD e poi via internet sono stati il primo grandissimo driver per il mutamento globale di questo settore. Le major rispetto agli artisti lavorano UNICAMENTE per il profitto. Quindi ragionano su meccanismi di profitto. Per rialzarsi e lavorare sulla musica liquida e soprattutto sullo streaming ci hanno messo un tot. Ma laddove è pure vero che su internet tutti possono fare tutto (e se quello che vuoi è fare e non vivere di quello che fai, cazzo, è straordinario!) , quando tutti possono fare tutto lo fanno, saturano di prodotto, nessuno è interessato a filtrare qualità, ma tutti sono interessati a produrre un meccanismo controllabile di guadagno.

Quindi: da investimento devo produrre guadagno? Uso tecniche. Devo produrre arte/qualità? Faccio un’altra cosa. Ci voglio mangiare? Eh.

Non ne esco in niente che mi interessi. Alla fine tutti possono scrivere. E persino pubblicare (eccomi qui). Persino su carta. Ma FARSI pubblicare è un’altra cosa. VENDERE è un’altra cosa. Che la gente LEGGA quello che hai venduto è ancora un’altra cosa.

Per la scrittura però la cosa è più antica. Non tutti quelli che sanno e possono scrivere sono scrittori.

Una parola che sendo essudare come vomito da questi luoghi è “dopolavoristi”. In un mondo attuale che cerca di ricordarti che tu non sei il tuo lavoro e che il modo in cui ti guadagni da vivere non è quello che ti definisce, è un po’ stronzo dire così, soprattutto dopo aver riconosciuto l’attuale contesto.

Leggendo di fotografia, spesso, quando riesci a capire chi era l’autore o l’autrice, beh… erano tutti dopolavoristi? Magari non tutti. Ma moltissimi non facevano per lavoro quello che li ha fatti diventare (magari postumi) famosi. Tanti sono famosi per cose fotografiche che non erano il loro lavoro.

E spesso autori di libri fanno altro. Difficile che si dica “scrittore dopolavorista”. Magari dici “medico, scrittore”.

I soliti –ismi del cazzo.

Resta il fatto che ora io stesso sono in quella posizione. Fare quello che vuoi, in un mondo in cui tutti possono farlo facilmente non sarebbe poi un problema. Ma a me sembra più che altro che sia tornato qualcosa che ho vissuto 30 anni fa, quando chiedevi “tu che musica ascolti?”

“ah io ascolto la Radio”

Cerca “Radio” e sostituisci con “playlist top 50 <annocorrente> spotify” [invio]

Vorrei morire ora #27834682376

Anche ora, vorrei scomparire, non sentire questo solito dolore sordo.

Eppure in me si sta formando una idea chiarissima: faticare per esistere non mi va. Perché questo squallido pensiero dovrebbe essere una differenza da prima? Perché è poco nobile ed onorevole? Non voglio mica fare male a qualcuno. Ma ecco, il pensiero che avere – assicurata – una rendita costante mi farebbe quantomeno girare il mondo per osservarlo e trovare molti motivi per dire che ci sono molti motivi … o trovare molte cose per dire che ci sono molte cose… beh, così, in quel modo, a quelle condizioni… non vedo perché no.

Volevo anteporre questo per perdere il rispetto di chi ha un certo preconcetto.

Giorni fa parlavo con una delle mie modelle – forse una delle ultime in realtà, non lo so, per ora è una sensazione – che, bestia rara, ha detto con chiarezza che nessuno vuole lavorare. Che prendere soldi per stare a casa a fare un cazzo non farebbe schifo a nessuno. Non ho neanche aperto bocca per dire che se lo facessero tutti per il delivery dovresti aspettare parecchio. A me non interessava la parte pratica. Ma il concetto retrostante, basilare, che sembra essere sparito dai discorsi di tutti. Come il senso della vita, del vivere, dell’esistere. Lo accetti e basta. E ti lamenti, e sbuffi, e fai tutta una serie di discorsi che sono cazzate se non tieni a mente la parte fondante: come mai hai deciso di restare viv* oggi? Sentita questa risposta, seguiranno le altre. Altrimenti sanno da poco, significano poco.

Sto per gettarmi a fare il copridivano, con questo dolore sordo e il disprezzo di me. Fino a che, si spera, non arriverà quello squilibrio a riequilibrarmi, a ricorarmi che a desiderare e a non fare non succede un cazzo, che i mezzi non mi mancano, per un po’ di spazio di manovra. Manovra su qualcosa che mi interessa.

E che forse non interessa a nessuno.

Ma a me si.

Così riprende la routine, il rito: pensa come se dovessi morire, metti in ordine, cerca di fare quello che c’è da fare prima. E nel frattempo succede qualcosa, si muove qualcosa. Poi si ricomincia, nella pece del dolore, si fa un passo, appiccicosamente, plaf, si mette giù un piede e si cade nella melma nera. Si piange, si riparte forse. Non valgo niente e non sono nessuno. E in parte mi addolora, in parte non me ne frega niente.

Ho la mani grasse. Almeno dal 2002. Da più di 20 anni!

Che schifo.

Essere bestie che sentono. Che capiscono. Che crudeltà.

Consapevolezza talebano-religiosa

“Ciò che gli altri reputano”, ossia la reputazione.

“La reputazione rappresenta la valutazione o il riconoscimento positivo (stima) combinato con l’attenzione, il riguardo o il rispetto (considerazione) che le persone hanno nei confronti di un individuo o entità, basati sulla percezione o giudizio delle loro qualità, azioni o comportamenti. Essa indica quanto una persona è vista o ritenuta in modo positivo e con rispetto nella comunità o nel gruppo di riferimento”

Quanto questo passaggio porti al “si può fare” VS “non si può fare”, cioé la legge, che diventa norma, obbligo, imposizione, fino alla forza, alla limitazione della libertà o alla sua privazione è fondamentale e chiaro a chi imponga un potere secondo una ideologia.

“Questo non devi dirlo, non puoi dirlo” è strettamente legato alla slippery slope che qualsiasi detentore di potere controlla sempre. Se fai questo, potresti poi fare quest’altro.

Citando qualcuno che interrogava il prof.Barbero, se un personaggio noto può dire impunemente che si vanta di non pagare le tasse, mentre invece non può, con la stessa sensazione ed aspettativa di normalità e consenso, dire “io meno la mia anziana mamma, ogni volta che dice cazzate le spacco qualche osso”, senza con questo essere sottoposto alle conseguenze della pubblica riprovazione, è a causa di come sia – in quel momento e area geografica – reputato un determinato comportamento.

Cioè una OPINIONE.

Controllare cosa sia lecito pensare, cosa sia giusto alla fine dire, sarà quindi uno dei fili da burattinaio da tenere ben saldi nelle mani di chi voglia esercitare un potere ideologico. E anche se pensare ad un religioso, ad un tiranno qualsiasi magari di provenienza ideologica estrema, è facile, non mi pare che ci possiamo tutti quanti esimere dal riconoscerci in questo stesso identikit. Le nostre OPINIONI possono diventare legge. Non sono fatti. Sono il nostro semplice sentire. Che può variare nel tempo. Le donne non possono parlare. I giovani hanno sempre torto. Gli anziani sono tutti rincoglioniti. Se è scritto nel libro sacro è così. GLi anziani hanno tutti sempre ragione. Le donne hanno diritto di ogni cosa perché il patriarcato prima blah. Opinoni, la mia opinione è che —> io REPUTO CHE —> diventa la TUA reputazione e … conta? Eccome se conta.

Ancora una volta: tu puoi accettarti, ma a noi tutti non frega un cazzo. La forza del numero, la maggioranza, noi tutti, REPUTIAMO.

E non è un bene? Ho i miei dubbi. Perché raramente facciamo un “meta-pensiero” sul “pensiamo a come pensiamo” e soprattutto a “come tendiamo a coportarci come umani”.

Ad esempio smetterei di dire che questo o quell’altro sono comportamenti disumani. La cosa più umana di tutte è la violenza come pensiero, azione, soluzione. Tutt’altro che disumana. Fa schifo, è crudele, è ingiusta, non è degna di . Ma che non sia umana… è ideologia. Adattarsi al reale e pensare al maggiormente desiderabile per il maggior numero di persone, a prescindere da ciò che il singolo reputa, forse, sarebbe meglio, tenendo però conto del fatto che dentro di noi, in ognuno di noi, il nemico è in casa.

Iniziare ad avere piùà a che fare, statisticamente, con i comportamenti umani con antropologia, sociologia, psicologia e tutte le neuroscienze ed altre scienze dei comportamenti ad illuminare tutte le altre, credo sarebbe una direzione più corretta. La scienza X ci dice che dato A di partenza per ottenere B la cosa corretta da fare è il comportamento K. Ma l’osservazione della realtà dice che in generale “la gente ” tende a fare tutt’altro.

Se al posto di una scienza molto meccanica, o economica, ci mettiamo giustizia, diritto, libertà, benessere, relazioni umane, comportamenti … osservare cosa davvero fanno le persone per darci tutti quanti una direzione realistica, e non idealistica sarebbe tendere ad un ideale, si, ma tenendo conto del “ma comunque la gente dato X fa Y anche se pluridimostrato che fa loro male”.

La legge che SUPERA la reputazione potrebbe essere auspicabile, se proveniente da un percorso che considera la meschinità umana, quella che chiameremmo disumanità se non siamo noi a commettere il fatto.

Funziona praticamente con tutto: voglio dimagrire ma senza fare movimento. Voglio essere come mi pare ma non lo accetto negli altri. Voglio non pagare le tasse ma voglio i servizi. Voglio che gli altri facciano fatica al posto mio – e tutti contemporaneamente dicono questo – tutti essendo “gli altri”.

Tendiamo al fancazzismo per tutti? Ma certo: facciamo lavorare le macchine. A vantaggio di tutti, non di qualcuno e basta. Perché appunto, tendenzialmente, a nessuno frega degli altri. Mors tua vita mea. Eccetera. Questo siamo. Teniamone conto.

Luddista, ma tecnologico

Non sono le macchine a togliere il lavoro agli uomini. Sono altri uomini. Un numero inferiore di uomini. Questo lo rende “togliere”. Fino a qualche secolo fa gli spazi si muovevano, le possibilità c’erano, cambiavi, imparavi altro. Ma lo scopo della tecnologia è fare di più, permettere di fare di più ad un numero inferiore di persone, o meglio, con inferiore sforzo umano. Il che sarebbe bello, se facessi lo sforzo perché ne hai voglia. Per diletto.

Purtroppo il modo in cui le macchine e la tecnologia diventano negative è quando rendono le persone come pezzi di un macchinario, soggetti al trattamento che si riserva alle cose, agli strumenti, alle risorse non-umane. Ad togliere il lavoro ad un uomo è un altro uomo che fa uso di una macchina, o meglio, anzi, questa è la realtà più pericolosa, che ne possiede l’accesso esclusivo. Che ha i mezzi economici per accedere a quel mezzo, escluderne altri e, nel senso più letterale della parola, avvantaggiarsene.

Non sono le macchine nè la tecnologia ad essere il male, ma la necessità di un modo di progettare la vita della comunità di esseri umani improntata alla necessità di un vantaggio competitivo, per il semplice fatto che questa competizione esiste. Devo competere per vivere. Devo meritarmi di vivere. Ma se è già faticoso farlo senza competizione e senza che lo si consideri un dono, perché mai, a parte che il tuo obiettivo non sia di per sé “esistere” ?

Una vita desiderabile per tutti, non detestabile, non faticosa, non conflittuale, non competiva, in cui essere felici di aver aperto gli occhi la mattina e con un sacco di voglia di mettere giù i piedi ed alzarsi… per tutti gli esseri umani , questo potrebbe essere un obiettivo dell’umanità.

E la tecnologia ha tutte le potenzialità per offrircelo. Quindi non sono un luddista “perché si”. Sono un luddista perché i proventi dell’eliminazione dei lavoratori da ogni settore progressivamente, mentre la demografia mondiale aumenta, non sono a favore della popolazione, ma di una microscopica, esigua, minoranza.

In una qualsiasi altra società animale credo che 8 miliardi di persone sarebbero riuscite a sbriciolarne un miliardo che li stanno facendo strisciare a terra.

Evidentemente siamo schiavi per natura? Schiavi si, della paura di morire, dell’esistenza “in quanto tale”. Di quello siamo schiavi e pochissimi trovano la forza per liberarsi da questo imperativo biologico. Di cui raramente i vantaggi sono godibili per la maggior parte dell’esistenza.

Nel frattempo: https://www.lastampa.it/cultura/2023/07/18/news/io_obama_vi_dico_basta_proibire_i_libri_di_neri_e_lgbtq-12951467/