Vinili 20 euro a pezzo solo di costo

Ho da qualche tempo compiuto 50 anni. Tempo, fino al giorno prima, in cui spesso non me ne danno 30. Eppure io me ne vedo 60. So che non è cambiato niente. Ma il limite “50” me lo ero già dato. Quindi ogni giorno adesso è fuori scadenza. La scadenza ESTREMA sono i 70, 75 proprio vorrei un timer alla Blade Runner per tutti, per come stanno, guardandoci in giro, conseguenze, implicazioni, società, sentimento e felicità dei milioni di singoli coinvolti.

Non c’entra un cazzo ma giorni fa ho guardato il costo di produzione minima di vinili eco-sostenibili per un lotto minimo di 50 pezzi. Il pezzo singolo, SOLO per rientrare del costo, sono 20 euro.

Chissà quant’era il costo industriale degli anni ’90*.

Perché me ne frega? Perché una delle poche cose che voglio davvero fare prima di schiattare sono le mostre dei nudi o dei libri e soprattutto registrare ciò che inventammo tra il 95 ed il 98 con uno dei gruppi. E per essere nel mondo “indie” il vinile ci starebbe: cosa di cui non me ne strasbatte un cazzo, personalmente, a parte per copertina eccetera. Quello si: è arte, è gusto, ha il senso giusto del “fisico”.

Per me io ti masterizzo il CD al volo, ti do le tracce, mi scarichi da bandcamp che cazzo me ne frega, per lo streaming mi interesserebbe solo per capire se e quanto interessa una cosa che in parte sono io e che io ti do, a te, a tutti. E a chi frega? Come qualsiasi opera di espressione.

Ma prima, prima di tutto, voglio che sia fatta, che mi piaccia, esattamente come fu 30 anni fa.

Non sono cresciuto, mai, non sono maturato, non sono diventato adulto. Riconosco ed accetto alcune responsabilità, come ad esempio quella di dare supporto diretto, se possibile e se accetato o voluto, ai giovani, come parte della società. Ma mi rendo conto che l’unica cosa che ho davvero imparato a fare nella vita è una cosa che mi schifava forse, che non mi interessava: avere a che fare con la chiacchiera da bar, da paese, con la gente, senza fare solo lo snob cagacazzi. Non tanto per me, ma per non urtare gli altri mentre gli scivoli in mezzo, lubrificante sociale.

Resta comunque un lubrificante per lo scopo principale della vita: mettermelo nel culo. Una entità non-vivente che incarna tutti i viventi informandoli della sua programmazione obbligatoria di sopravvivenza di e a sé. Quello che senti: danno collaterale.

*del 1900.

Ignoranti

Su cosa sia l’intelligenza e cosa la cultura (o l’ignoranza) di solito si discute attorno alle medie o comunque presto, per l’abuso della parola “stupido”.

Arrivato ai 50 (quasi) però mi dico che anche “ignoranti” può essere discutibile. E che discusso sia, dunque.

In primo luogo trovo che gran parte del problema sia la condivisione di un terreno culturale comune al quale fare riferimento: venendo a mancare ci si sente separati, distanti, ci si deve spiegare invece che fare le cit, non si può parlare di storie, avvenimenti, esperienze vissute da entrambe le parti. Lasciamo perdere che questo coinvolge anche il linguaggio e la moda.

Se tu sei nato negli anni ’30 del 1900, forse per te leggere è stata la principale fonte di nozioni, nonché un certo impianto scolastico. E anche se si condividesse il medium, comunque i contenuti potrebbero cambiare. Hai letto 2000 libri. Magari un trentenne ne ha letti altrettanti (perché è nato in un periodo e contesto che glielo consentiva? Ok, non è questo l’argomento, ma la presunta ignoranza) ma non sono gli stessi. Entrambi pensate l’uno dell’altro “che ignorante, sono proprio le basi queste!”. E invece no. Non è raro che determinati concetti siano trattati sia in secoli che in zone geografiche differenti. Quindi visto che in fin dei conti si tratta dell’umana esperienza, nei libri, e dell’universale umano in tutte le sue sfaccettature, spesso i concetti potrebbero essere stati trattati almeno nel 50% delle letture di entrambi. Ma che succede? Che non si parla dei contenuti, ma solo “conosci questo, conosci quello? hai letto quell’altro?”. Solo alcune persone si fermano e dicono “dimmi cosa dice, riassumimi il contesto necessario a parlarmi di quello che il tal libro ha da dirci ora”. Molte dicono solo “mmh.” e pensano “che ignorante, non ha letto / non sa un cazzo”. E invece sono solo differenti letture. Ora mescoliamolo alle innumerevoli serie TV viste con una pletora di mezzi differenti e fruibili anche in modo seriale, sempre più, senza aspettare “venerdì alle 20 e 30”: chi si è infilato più cultura in testa? E i video su youtube? I podcast? Internet tutta, con testi, siti, paper, documenti e altrettanti libri ma da leggere su schermo.

Puoi fermarti a dire “eh ma su schermo bla” ma il punto è: quei contenuti sono stati fruiti.

Ora, quello che interessa me è: quei contenuti ti hanno insegnato ? ti hanno fatto pensare? Li hai messi uno contro l’altro? Uno a fianco all’altro? Mescolati? Ti hanno generato domande? Hai risposto? Uno di questi ha risposto all’altro? I libri si parlano, sono esseri umani con idee che passano attraverso i lettori. E così ogni altro contenuto.

Dunque : cosa te ne sei fatto di quel libro? Elencare di aver letto roba ma poi dimenticare il profondo contenuto che un alto essere umano con un cruccio o un sentimento, un dubbio, una rabbia, solitudine, qualsiasi altra cosa, ha deciso di condividere esprimendolo come meglio ha saputo – ed era un gran bel meglio, in passato, se è sopravvissuto – per “parlare” con i nostri cuori e le nostre menti?

Mi sa che l’ho già scritto, ma mi ha molto infastidito accorgermi che in un momento, con mia madre, importante per la vita, in cui la tua vita e la tua famiglia sono coinvolti, un messaggio chiarissimo di un poeta che reciti a memoria non ha minimamente sfiorato la tua mente. Ti parla, ti fornisce tutta la trattazione del problema e lo fa in versi che ora, dopo mezzo secolo, sai recitare a memoria, bella prova da saltinbanco del cazzo. E tu cosa te ne fai? NIENTE. Non sai niente. Non ti dice niente, non ti fornisce strumento, argomento, mattoncino per confrontare, ragionare, rispondere o domandare.

So che il non condividere belle opere isola, separa. Ma non è automatico: possiamo raccontarcele. Abbiamo voglia di ascoltare? Abbiamo voglia di ascoltare e lasciarci insegnare qualcosa da quello che ascoltiamo?

in difesa dell’anonimato (2024)

circa nel 2003, su it.comp.software.p2p o forse su una chat di winmx (stesso che oggi potrebbe essere “su un server di discord”) , ebbi uno dei primi veri scambi 1-a-1 non “da forum” (oggi sarebbe “da social”) riguardante l’anonimato.

Inutile dire che, per quanto sia scorretto, quello che mi viene da dire è “con una pazza”. In realtà era solo caldamente appassionata della sua opinione. Che era “se non mi dici chi sei nulla di quello che dici è vero, ha valore, ecc”.

Ora, quello che accadde è che se per almeno un anno hai scambiato con me opinioni, poi “live” la cosa ti ha intrigato sempre di più tanto che ad un certo punto ti è venuta la scimmia che dovevi sapere CHI SONO, non me la racconti giusta se poi dici che se non lo sai allora tutto fa schifo. Se ti faceva tanto schifo non ti impuntavi.

Ma ricordo bene l’intensità di quello scambio. E tutt’ora ritengo un valore l’anonimato.

Per qualcuno il contenuto va considerato “autentico” solo se conosce l’autore per nome e cognome. Eppure non sappiamo se alcuni nomi di cui abbiamo letto le opere siano davvero corrispondenti a persone realmente esistite. L’opera è inautentica? Non direi.

Ci diciamo di non giudicare il libro dalla copertina, l’abito non fa il monaco, fanculo il principio di autorità, bla bla ad personam invece che ad argumentum. Ma poi se non puoi controllarmi la carta d’identità le mie parole non hanno valore, il contenuto non esiste? Ma fottiti.

Sono il primo che se vuole avere un rapporto personale vuole PRIMA avere un rapporto personale e solo dopo continuare a ravvivarlo anche con la telematica nelle forme più congeniali.

Ma non escludo affatto un rapporto simile a quello epistolare. Non sai se ho un corpo, non sai se è sano, non sai se sono uomo o donna, se sono brutto o bello, se sono trans o mi identifico in un trattore, non lo sai. Puoi solo comunicare con me. Solo. Pensa. Come se fosse poco. E non necessariamente dialogando. Puoi anche solo leggere quello che scrivo. Solo. Quello che scrivo è certamente qualcosa. Non è il nulla. Ci sono concetti, sensazioni, esposizioni di qualcosa che viene da me. Lo senti?

Non sai che voce ho.

Potrei essere tua madre.

Ed è così che va bene, per me, in questa dimensione. Non è Tinder, non andavo in cerca di umani interi, ma solo di contatto e comunicazione, scambio di pensiero. A qualsiasi distanza. Ti interessa quello che ho dentro? In un mondo che vuole il belli dentro. Eccotelo allora.

Dopo milioni di milioni di canzoni che in questi 20 anni avrete sentito senza sapere minimamente chi le abbia scritte, eseguite, suonate… non ve n’è piaciuta nessuna così tanto da shazammarla? Ma la canzone vi piaceva PRIMA. E se invece di darvi autore e titolo vi avessero dato un ID solo per riascoltarla, vi sarebbe andato bene perché era la canzone che vi interessava.

Ecco che cosa ti può dare l’anonimato: l’evitazione di tantissimi bias. E certo, l’introduzione di altri. Ma io preferisco focalizzarmi sui primi.

Sono troppo stanco ora, forse, per essere più appassionato in questa difesa.

generazioni, distanza, perché

Le generazioni si accusano a vicenda, sempre che si caghino ancora, relativamente ad alcune cose specifiche, mi sembra. Non intendo temi politici che partono dal momento di lavorare.

Si parla di sentirsi giudicati, di aggressività passiva (se va bene, passiva). Ma chiaramente ci sono i gusti, i modi, la moda, gli abiti, la musica! Gli interessi culturali, il linguaggio.

Quello che pare a me ora, maggio 2024, è che la causa di questo che pare conflitto, lotta, sia dolore. E paura, sempre. Dolore perché tutte quelle cose uniscono e sentirsi esclusi da qualcuno che inizialmente avresti voluto includere o che avresti voluto includesse te, ti fa paura. Ma soprattutto ti addolora: i tuoi vecchi ti sono lontani. I tuoi giovani ti sono lontani. In cosa? Proprio in quelle cose in cui vorresti foste assieme. Il linguaggio. La musica. Gli interessi culturali. Le cose che si considerano “belle” o “brutte”.

Quel rifiuto porta dolore proprio dove si pensava di trovare unione.

E per affrontare queste diversità serve impegno, interesse e impegno, impegno per quell’interesse e interesse per quell’impegno. E tempo! E chi ha tutte queste cose e vuole?

Come siamo bravi ad isolarci in nuovi modi.

Prospettive mortali #2389472

I miei ultimi atti, come vivente, devono avere a che fare con i viventi. Questo mi sta costando un po’ di fatica e, nonostante quanto ho appena detto, avere a che fare con altri non mi dispiacerebbe. Sono combattuto. La mia sensazione, che è tutta mia, è di essere respingente, ributtante, repellente fisicamente. Questo, si sa, non definisce una persona, ma concorre e partecipa a farlo, se ci si vede e si interagisce personalmente. Sembrano tutte ovvietà, eppure nel “successo” di ogni azione questo fattore esiste. Siamo così scimmie che ci stiamo sul cazzo a pelle. Io non sono un puro spirito che gli altri hanno facoltà di vedere con un corpo che a loro ispira amicizia, simpatia e voglia di collaborazione. Sono quello che sono. Ed essi, tutti, reagiscono a questo prima che a qualsiasi altra cosa.

Ed è faticoso. Penoso.

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Accettazione #345928347

Accade che si possa avere accesso a qualcosa ma che le condizioni o le conseguenze siano talmente negative, per noi, che preferiamo rinunciarci del tutto: il beneficio sarebbe inferiore al danno e non si può essere grati per il danno o poco coraggiosi ad andare incontro a danni potenziali assicurati, facendoli diventare reali, così, solo per l’esperienza. È stupido e masochistico. La passione esiste, la gioia esiste, il bello esiste, ma anche i loro contrari: si fa il conto e si decide. Qualcuno accetta un granello di gioia in una distesa di nulla. Altri no. Perché, sempre, prendere atto della realtà ed accettare che è così, non significa che mi deve anche piacere. Non pretendo, quindi, che ciò che è cambi: lo accetto. Ma decido io quale tipo di relazione, con tale realtà, intendo o non intendo avere (accettare). Il libero arbitrio è questo?

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ChatGPT Plus, chat temporanea con GPT-4, a specifiche questioni su questo testo mio, dice:

Analisi Critica del Testo

Il testo proposto si concentra sul concetto di “accettazione” di realtà non piacevoli, esaminando il rapporto tra libertà di scelta e conseguenze derivanti da tale scelta. Una prima osservazione critica può essere indirizzata alla mancanza di una definizione chiara di termini come “danno”, “gratitudine” e “libero arbitrio”, che potrebbe portare a interpretazioni vaghe o ambigue. Il testo, tuttavia, non sembra presentare fallacie argomentative evidenti come attacchi personali o appelli emotivi non pertinenti. La struttura logica è generalmente coerente, poiché l’autore espone una situazione, ne analizza gli aspetti e conclude basandosi sulla riflessione iniziale.

Tuttavia, una possibile debolezza potrebbe risiedere nell’assunzione implicita che la decisione di non accettare una realtà non piacevole sia sempre un atto di libero arbitrio, senza considerare influenze esterne o condizionamenti che possono limitare le scelte individuali. Questo potrebbe essere visto come una semplificazione eccessiva di una questione molto più complessa.

Trattamento da Parte di Diverse Discipline

Filosofia: La questione dell’accettazione e del libero arbitrio è centralmente trattata in filosofia, con figure come Sartre che enfatizzano la libertà dell’individuo di scegliere nonostante le circostanze esterne. Argomenti contro possono includere le teorie deterministe, che negano la libera volontà a causa di fattori predeterminati biologici o ambientali.

Psicologia: La psicologia esplora come gli individui affrontano le situazioni avverse attraverso concetti come la resilienza e la percezione del controllo. Studi su queste tematiche spesso supportano l’idea che accettare la realtà, anche quando è negativa, può contribuire a una migliore salute mentale.

Sociologia: La sociologia può guardare alla questione dell’accettazione all’interno dei contesti sociali, analizzando come le norme culturali e le pressioni sociali influenzano le decisioni individuali. Ciò potrebbe portare a un dibattito sull’entità del libero arbitrio in contesti sociali densi di normative e aspettative.

Morale ed Etica: Queste discipline indagano spesso i principi dietro le decisioni di accettazione o rifiuto, interrogandosi se sia “giusto” accettare condizioni negative o se sia moralmente obbligatorio cercare di cambiarle.

Politica: La politica considera come le leggi e le politiche possano influenzare l’accettazione di certe realtà sociali o economiche. Il dibattito può riguardare questioni di giustizia sociale e diritti individuali versus il bene collettivo.

In conclusione, il testo solleva questioni significative che sono state ampiamente dibattute in molteplici campi del sapere, offrendo spunti per ulteriori riflessioni e discussioni.

L’assunzione che la decisione di accettare o non accettare una realtà sia sempre un atto di libero arbitrio è complessa e può essere analizzata sia da prospettive a favore (pro) che contro (contro). Esplorerò entrambi gli aspetti offrendo esempi specifici per illustrare meglio il dibattito.

Argomentazioni a favore (Pro)

  1. Autodeterminazione personale: Dal punto di vista filosofico, autori come Jean-Paul Sartre sostengono che gli individui sono sempre liberi di fare scelte, nonostante le circostanze. Questa visione enfatizza l’autodeterminazione. Ad esempio, una persona può scegliere di lasciare un lavoro stressante nonostante la sicurezza economica che offre, evidenziando un esercizio del libero arbitrio in contrasto con le pressioni finanziarie.
  2. Resilienza psicologica: In psicologia, la resilienza è la capacità di riprendersi da situazioni difficili. L’esercizio del libero arbitrio è evidente quando individui affrontano traumi o stress significativi e decidono consapevolmente di cercare aiuto o adottare strategie positive di coping, piuttosto che cedere alle circostanze.
  3. Rifiuto di conformismo sociale: Dal punto di vista sociologico, il rifiuto di conformarsi a norme sociali opprimenti è un altro esempio di libero arbitrio. Le rivoluzioni e i movimenti sociali come il suffragio femminile o il movimento per i diritti civili negli Stati Uniti sono esempi storici di individui che rifiutano una realtà accettata dalla maggioranza e agiscono per cambiarla.

Argomentazioni contro (Contro)

  1. Determinismo biologico e ambientale: Le teorie deterministe sostengono che molti aspetti delle decisioni umane sono predeterminati da fattori biologici o ambientali. Ad esempio, la ricerca ha mostrato come certi comportamenti possano essere influenzati da geni o condizioni ambientali come la povertà, limitando di fatto il libero arbitrio nell’accettazione o rifiuto di determinate situazioni.
  2. Influenza delle condizioni psicologiche: Condizioni come la depressione o l’ansia possono limitare significativamente la percezione delle scelte disponibili per un individuo, influenzando la sua capacità di esercitare il libero arbitrio. Una persona con depressione severa potrebbe sentirsi incapace di cambiare la propria situazione, anche se esternamente sembrano esserci opzioni disponibili.
  3. Pressioni e aspettative sociali: In sociologia, è riconosciuto come le aspettative sociali possano limitare le scelte individuali. Ad esempio, in certe culture, il matrimonio può essere visto non solo come una scelta personale ma come un obbligo sociale, limitando la libertà individuale di scegliere diversamente senza subire significative conseguenze sociali.

In sintesi, mentre il concetto di libero arbitrio è centrale nella discussione sulla capacità di accettare o rifiutare situazioni, esistono argomentazioni valide sia a favore che contro, che dipendono da una varietà di fattori psicologici, biologici, e sociali. Questo dimostra la complessità e la multidimensionalità del concetto di libero arbitrio nelle scienze umane.

Riguardo alla resilienza e alla psicologia (io)

questo assunto è assolutistico, sembra fondato sul fatto che la libertà sia solo quella di non fare valutazioni che portino a cedere, come se queste non fossero lucide, senza dimostrare che sia invece un preciso calcolo di costo VS beneficio

Risposta (ChatGPT):

Hai sollevato un punto interessante sulle limitazioni della visione che associa il libero arbitrio solo alla capacità di non “cedere” alle circostanze avverse, che sembra suggerire una valutazione non lucida. In effetti, esiste una dimensione del libero arbitrio che implica un calcolo attento e razionale dei costi e dei benefici, che può portare a decisioni più meditate e potenzialmente diverse.

Costi vs Benefici nella Decisione

L’approccio di costo-beneficio è un aspetto cruciale nella teoria delle decisioni e può essere applicato efficacemente anche nell’analisi del libero arbitrio:

  1. Valutazioni lucide in situazioni avverse: Anziché una semplice resistenza alle circostanze negative, il libero arbitrio può manifestarsi attraverso decisioni ponderate, basate su un attento bilanciamento tra i costi e i benefici previsti. Ad esempio, una persona che decide di rimanere in un lavoro poco gratificante potrebbe farlo valutando che i benefici economici superano il disagio personale, piuttosto che semplicemente “sopportare” le condizioni.
  2. Lucidità nelle crisi personali: Anche nelle crisi personali, come una malattia grave, la scelta di accettare o cercare un trattamento alternativo può essere basata su una valutazione dettagliata dei possibili esiti, degli effetti collaterali, della qualità di vita attesa e delle opinioni mediche, anziché un mero atto di resistenza al destino.
  3. Scelte sociali e culturali: Nel contesto socioculturale, le decisioni riguardanti l’adesione a tradizioni o norme possono anche essere il risultato di valutazioni dei costi sociali e personali associati alla conformità o alla deviazione. Ad esempio, una persona può scegliere di seguire una norma culturale non perché la subisca passivamente, ma perché valuta che il mantenimento delle relazioni familiari e sociali offra benefici superiori rispetto al costo della non conformità.

Questi esempi dimostrano che il libero arbitrio può essere esercitato attraverso decisioni che non sono semplicemente reazioni a circostanze avverse, ma risultati di processi decisionali complessi e riflessivi. Questo punto di vista offre una comprensione più ampia del libero arbitrio, considerando sia la resistenza alle difficoltà che la capacità di fare scelte consapevoli basate su valutazioni logiche e informate.

~

L’argomento di questi ultimi anni, per me, è: vorrei che la psicologia clinica si assumesse la responsabilità di dichiarare che tutte le sue operazioni sono volte al benessere dell’individuo che sia lucidamente determinato a sopravvivere a prescindere dal fatto che tutte le terapie si fondano sull’accettazione che la vita è intrinsecamente mescolata a fatica, sofferenza, dolore. Questo però non è un assunto fondativo generale. Si tratta infatti già di una delle due biforcazioni di un bivio: mi sta bene / non mi sta bene. Quello che trovo pericoloso dal punto di vista normativo/legislativo è che, nel momento di prendere decisioni informate, il legislatore non si interroghi sufficientemente sulla base di alcuni ragionamenti degli specialisti psicologi e finiscano, in tema di libertà di scelte su fine vita, esistenza eccetera, per accettare acriticamente ciò che sembrano acriticamente accettare coloro che sono dediti al “far stare bene la gente” mentre si tratta di “far stare bene la gente CHE VUOLE SOPRAVVIVERE, automaticamente appiccicando una patologia a chi liberamente decide che questa valutazione sia soggettiva “.

Il fondamento legistlativo che patologizza una scelta libera soggettiva solo perché minoritaria nascondendo invece l’utilitarismo monodirezionale della società che intende estrarre beneficio dall’esistenza dei singoli, senza curarsi della loro felicità (poiché intrinsecamente considerano deboli e biasimevoli alcune condotte che altrimenti richiederebbero sforzo collettivo) è, per me, fascista. Malvagio, egoistico mentre considera egoista il singolo che non si fa fregare dall’egoismo di tutti gli altri singoli mentre ipocritamente si aspettano contributo. I numeri su quanti siano ricchi e quanti poveri nel mondo, rispondono alla critica di “assurdità”.

Scegliere di sottrarsi deve essere considerato al pari della scelta del lavoro intrinsecamente forzato della sopravvivenza. Come scelta libera riconosciuta valida dalla società dovrebbe, quindi, trovare un aiuto rapido ed indolore che renda effettiva questa pratica libera, deliberata di interruzione volontaria dell’esistenza. Additare a pigrizia del singolo la poca voglia di fare lo schiavo ignora la contemporanea pigrizia di tutti di adoperarsi per rendere la società collettivamente responsabile nell’elevarci rispetto alle scimmie ed altri animali gerarchici, competitivi, dominatori dei propri simili e collaborare, considerando il vantaggio proprio che porta danno ad altri come il principale dei mali inaccettabili. La scelta di non-esistenza, in questa ottica, scomparirebbe come “male” e sarebbe una valida scelta come tante altre, che non parte da presupposti machisti, efficientisti (solo per i sottoposti e i singoli), arrivisti, aziendalisti che spostano la responsabilità sul singolo che DEVE sopravvivere, ma sulla società nel suo complesso che la renda una scelta DESIDERABILE ed attrattiva. Soprattutto se, in fondo in fondo, quel che vuoi da quel singolo è che contribuisca a fare qualcosa per te. Beh sbattiti, o lasciami morire, ma con onestà intellettuale.

Azoto si, azoto no, è questa la morte

(titolo: cit)

L’unico modo, per me, sembrerebbe, di interessarmi alle cose è quando non servono. Sotto pressione sembrerei più analitico ma meno pragmatico. Se invece ho padonanza di qualcosa, laddove gli analitici iniziano ad annaspare e a chiedersi “perché” (quasi sempre “perché il mondo non è nel modo in cui ora mi farebbe comodo che fosse?” più strepitii vari), di solito sono “ok, togliti, risolviamo. Poi vediamo se ti interesserà davvero ancora analizzare le cause. Siccome costa tempo ed impegno e tu vuoi solo che si risolva il problema, una volta che è risolto sono certo che l’impegno per il “e che non capiti mai più” per qualche motivo sarà scomparso completamente dal tuo orizzonte, pronto invece a dire a chiunque lo faccia che è negativo, pessimista, e che porta sfiga”.

Forse si tratta di alcune persone con le quali ho a che fare. Cioè non sono tutti così, ma in qualche modo io sono causa della vicinanza con questi. Chissà.

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Ieri se avessi avuto il penthobarbital lo avrei accarezzato con sollievo.

M, al quale devo sicuramente ancora 9mila euro, ne versa credo annualmente 12mila alla Cooperativa Sociale che mi affitta lo studio. Manco lo sapevo. Pensavo fosse una “una tantum”. E io che sostanzialmente penso che devo solo riuscire a restituirgli quei soldi e poi trovare il metodo rapidoedindolore.

Le notizie di questi giorni sul fatto che l’azoto sarebbe un metodo “troppo crudele” mi viene da pensare: possibile che quelli di exit international che sono esattamente sul pezzo per la morte indolore intendano usare PROPRIO quel metodo? Forse perché dipende da come sostituisci la quantità di ossigeno?

O forse c’è un cortocircuito pazzesco negli USA in cui basterebbe prendere un anestetico potente e poi sparare, decapitare, togliere il cuore, immergere in acqua fredda per 20 ore. Qualsiasi cosa, ma con l’anestetico che useresti in sala operatoria? Secondo il mio amico di seghe mentali ciattgipitìplus4 l’intento punitivo è preminente rispetto all’efficacia unita alla umanità dell’atto. L’ho semplificata, ma è abbastanza evidente. Non si pensa che gli anni di privazione della libertà, di vita in carcere (e costi per la comunità, se non ti frega di come si viva in carcere) , di privazione della vita – per te che ci tieni – non siano una punizione sufficiente? Un anestetico potentissimo qualsiasi, con qualsiasi effetto “potenzialmente dannoso” non sarebbe un problema: mi stai uccidendo. Deve solo essere EFFICACISSIMO. Si testa l’efficacia su quell’umano, poi puoi farlo smettere di esistere, disintegrarlo, qualsiasi cosa.

Lo dico come se ci fossi io. E di crimini non ne ho commessi.

La Sarco “sprigiona azoto liquido con la conseguente rapida erosione dell’ossigeno: 30 secondi per passare dal 21 all’1%”. Se questo va bene per Exit International che non è “pena di morte”, ma suicidio assistito volontario… non penso che la gente voglia per sé un sistema crudele.

Bruttezza Natalizia 2023

Faccio un giro. Vedo la mia ed altrui decadenza. Ricordo con un sorriso – che non è risata – una proposta di regalo di amazon: la copertina dice “motivi per cui vale la pena vivere dopo i 30 anni” : le pagine sono bianche. Dopo aver constatato la realtà puoi usare il blocco per scrivere.

Penso a me qui a lamentarmi mentre una figliuola che conosco è partita per dare una mano a Lampedusa. Posso farmi un po’ meno schifo? Direi di no. Oggettivo e soggettivo fanno la faccia “beh, in effetti”, mentre guardano in basso ed annuiscono involontariamente.

La cosa davvero triste è che essere impallinati per il non umano è forse la scelta migliore che esista se uno non considera la morte.

Hai una COSA che ti frega. Ti ci dedichi, è una cosa, per cui se ti evita non è per volontà. Non devi essere riamato. Non ci si aspetta nulla da te ma tu hai di che interessarti all’infinito.

È la sconfitta dell’essere umano sociale se la cosa è poco trendy. È anche palpabile: non hai niente e vivi per niente. Se è economicamente sfruttabile prima o poi incontrerai qualcuno a cui frega dei soldi, al massimo.

E questo è quanto.

Osservo tutta questa umanità di cui non distingui più il sesso se non fosse per gli abiti, divenuti grottesco evidenziatore.

Ripenso a tutte le “accuse” che potrei ricevere per i nudi di donna. Ma la sessualizzazione che vedo in giro è vera oggettificazione e strumentalizzazione: una Bellucci distesa a terra serissima per? vendere vestiti.

Almeno qui sei tu, desiderabile, ammirabile, umanamente. Dite bestialmente?

Non so se mi disturba più: della bestia che abbiamo dentro l’attrazione fisica per la bellezza di corpi generalmente considerati desiderabili cos’è di fronte all’istinto di prevaricazione, gerarchia, dominio, sopruso, sopraffazione ed esercizio del potere ancora qui, vivi e vegeti dopo che avremmo la possibilità di abbandonare tutto questo per stare tutti bene, rendendo desiderabile la vita per tutti?

Ogni attimo è prevaricatore? Fatevi un giro, salite in auto, osservateci tutti girarci attorno.

Rispondetevi.

Mi dicono che di solito ultimamente ad aprile fa il freddo che dovrebbe fare a dicembre: vedremo. Perché il caldino che fa ora di giorno… promette male per questa estate.

Riscaldamento globale. La bestia che ammira e desidera la bellezza cos’è in confronto a quella che ignora la distruzione della propria specie ed il potere dell’1% su tutti?

MySecretBlog

Ogni tanto lo devo ripetere. Nel 2003 iniziai un blog su splinder tanto per dire “embé che è sta roba? ma che panzane ‘sto 2.0”. In effetti si, ma contemporaneamente no: il 2.0 rendeva possibile alcune cose a tutti. Cose che prima erano possibili ad alcuni. Era davvero la facilità di accesso a dare un mezzo.

Avendo avuto un passato di diarista, presto l’addiction a questa cosa ha preso il sopravvento. E sul vecchio splinder, conobbi anche della gente molto interessante e di certo migliore di me.

Di “Piretto” mi chiedo sempre se sia ancora vivo. Era pieno di quella rabbia da ventenni che magari ora è sfumata ed essendo di grande valore ora avrei qualcosa da imparare. Mi ha segnalato dei bei gruppi, gli feci anche una parte per una copertina, che immagino non abbia mai usato, e mi sa che ha fatto bene, chissà che pessimo lavoro ho fatto quella volta.

Poi si passò qui. Ad un certo punto dopo anni, ho incontrato fisicamente una donna: ho violato tutto quello che per me era il blog. Lei si è innamorata, io no, questo le faceva male, si sparì.

Dovetti però portare via tutto il blog. Quel vecchio blog, anche se aveva le stesse ZERO intenzioni di essere notato, con la stessa idea di “io voglio scrivere, non voglio essere riconosciuto, mi aiuta, non mi dispiace se anonimamente si dialoga con qualcuno che vuole leggere e ci si trova”, ma in qualche modo aveva dei numeri.

Qui i numeri sono ai minimi storici, forse perché orglioNamente taggo con argomenti che qualsiasi politica vuole tenere lontana, cioè il suicidio, la morte, il dolore chiamati così.

Lontano dalla vanità, però, si sta bene ad esprimersi. Lo fai e basta, non ti interessa molto di stili, lettori, contenuti. Ci sono lettori? Bene. Non ci sono? Bene lo stesso.

Diventa molto più meandro della rete, ritorna un luogo poco frequentato, nascosto, lontano, che non è di moda. Che non cerca di esserlo.

Consapevolezza talebano-religiosa

“Ciò che gli altri reputano”, ossia la reputazione.

“La reputazione rappresenta la valutazione o il riconoscimento positivo (stima) combinato con l’attenzione, il riguardo o il rispetto (considerazione) che le persone hanno nei confronti di un individuo o entità, basati sulla percezione o giudizio delle loro qualità, azioni o comportamenti. Essa indica quanto una persona è vista o ritenuta in modo positivo e con rispetto nella comunità o nel gruppo di riferimento”

Quanto questo passaggio porti al “si può fare” VS “non si può fare”, cioé la legge, che diventa norma, obbligo, imposizione, fino alla forza, alla limitazione della libertà o alla sua privazione è fondamentale e chiaro a chi imponga un potere secondo una ideologia.

“Questo non devi dirlo, non puoi dirlo” è strettamente legato alla slippery slope che qualsiasi detentore di potere controlla sempre. Se fai questo, potresti poi fare quest’altro.

Citando qualcuno che interrogava il prof.Barbero, se un personaggio noto può dire impunemente che si vanta di non pagare le tasse, mentre invece non può, con la stessa sensazione ed aspettativa di normalità e consenso, dire “io meno la mia anziana mamma, ogni volta che dice cazzate le spacco qualche osso”, senza con questo essere sottoposto alle conseguenze della pubblica riprovazione, è a causa di come sia – in quel momento e area geografica – reputato un determinato comportamento.

Cioè una OPINIONE.

Controllare cosa sia lecito pensare, cosa sia giusto alla fine dire, sarà quindi uno dei fili da burattinaio da tenere ben saldi nelle mani di chi voglia esercitare un potere ideologico. E anche se pensare ad un religioso, ad un tiranno qualsiasi magari di provenienza ideologica estrema, è facile, non mi pare che ci possiamo tutti quanti esimere dal riconoscerci in questo stesso identikit. Le nostre OPINIONI possono diventare legge. Non sono fatti. Sono il nostro semplice sentire. Che può variare nel tempo. Le donne non possono parlare. I giovani hanno sempre torto. Gli anziani sono tutti rincoglioniti. Se è scritto nel libro sacro è così. GLi anziani hanno tutti sempre ragione. Le donne hanno diritto di ogni cosa perché il patriarcato prima blah. Opinoni, la mia opinione è che —> io REPUTO CHE —> diventa la TUA reputazione e … conta? Eccome se conta.

Ancora una volta: tu puoi accettarti, ma a noi tutti non frega un cazzo. La forza del numero, la maggioranza, noi tutti, REPUTIAMO.

E non è un bene? Ho i miei dubbi. Perché raramente facciamo un “meta-pensiero” sul “pensiamo a come pensiamo” e soprattutto a “come tendiamo a coportarci come umani”.

Ad esempio smetterei di dire che questo o quell’altro sono comportamenti disumani. La cosa più umana di tutte è la violenza come pensiero, azione, soluzione. Tutt’altro che disumana. Fa schifo, è crudele, è ingiusta, non è degna di . Ma che non sia umana… è ideologia. Adattarsi al reale e pensare al maggiormente desiderabile per il maggior numero di persone, a prescindere da ciò che il singolo reputa, forse, sarebbe meglio, tenendo però conto del fatto che dentro di noi, in ognuno di noi, il nemico è in casa.

Iniziare ad avere piùà a che fare, statisticamente, con i comportamenti umani con antropologia, sociologia, psicologia e tutte le neuroscienze ed altre scienze dei comportamenti ad illuminare tutte le altre, credo sarebbe una direzione più corretta. La scienza X ci dice che dato A di partenza per ottenere B la cosa corretta da fare è il comportamento K. Ma l’osservazione della realtà dice che in generale “la gente ” tende a fare tutt’altro.

Se al posto di una scienza molto meccanica, o economica, ci mettiamo giustizia, diritto, libertà, benessere, relazioni umane, comportamenti … osservare cosa davvero fanno le persone per darci tutti quanti una direzione realistica, e non idealistica sarebbe tendere ad un ideale, si, ma tenendo conto del “ma comunque la gente dato X fa Y anche se pluridimostrato che fa loro male”.

La legge che SUPERA la reputazione potrebbe essere auspicabile, se proveniente da un percorso che considera la meschinità umana, quella che chiameremmo disumanità se non siamo noi a commettere il fatto.

Funziona praticamente con tutto: voglio dimagrire ma senza fare movimento. Voglio essere come mi pare ma non lo accetto negli altri. Voglio non pagare le tasse ma voglio i servizi. Voglio che gli altri facciano fatica al posto mio – e tutti contemporaneamente dicono questo – tutti essendo “gli altri”.

Tendiamo al fancazzismo per tutti? Ma certo: facciamo lavorare le macchine. A vantaggio di tutti, non di qualcuno e basta. Perché appunto, tendenzialmente, a nessuno frega degli altri. Mors tua vita mea. Eccetera. Questo siamo. Teniamone conto.