La sindrome dei tre porcellini + il #legno del #Cadore

La sindrome dei tre porcellini.

Consiglio la lettura. Fatto questo, io visitai qualche tempo fa il cidolo di Perarolo e consiglio a tutti di andare proprio a questo museo; piccolo museo, alcune cose molto carine ed interessanti e… ed è proprio un museo di una cultura, di una zona, di un modo di vivere… di una valle intera e della vecchia cultura del legno, della montagna.

Il Cadore viveva tutto della cultura del legno e del suo trasporto su fiume… quando i costi sono stati abbattuti dal trasporto su gomma molto di tutto questo finì. E poi finì ogni cosa, i costi del legno di altri luoghi BLA BLA BLA cose che sapete anche ora: costa meno, si fa altrove.

Eppure in Cadore – leggo – c’era l’intero settore dell’occhialeria italiana, dagli anni ’60 a qualche anno fa… ora c’è il deserto, un’altra volta. Eppure gli alberi ci sono… crescono … come mai tutta questa materia prima vicina e di prima qualità non è appetibile… anche per progetti come questo? Intere valli, gente che ha ancora la scure in mano, che si scalda usando il legno, curando i boschi e guardando “la gente che viene da fuori” che non sa curarlo (= taglia indiscriminatamente e non fa pulizia, lo lascia “in disordine, ecc) potrebbe lavorare e vivere, prosperare, senza perdere le proprie radici rientrando in contatto con il mondo moderno…

Eppure molti dicono che nemmeno gli esperti del legno riescono più a lavorare… macchine CNC, pretagliati e prelavorati al CAD e montatori a basso costo stranieri, che lavorano alla fame.

Nella valle del Cadore e nelle valli circostanti di legno ce n’è tanto (e grazie a Dio, dato quello che succede in Amazzonia…) e la testimonianza del passato è ben testimoniata dagli altrimenti inspiegabili muretti dentro ai boschi. Intere cime ora sono ricoperte di ogni tipo di albero… e i vecchi che ci sono ancora in giro ti dicono che 40 anni fa era tutto libero, perché ci andavano a pascolare gli animali. Ora è tutto alberato.

E tutti sono disoccupati. Cosa non funziona?

Voglio abitare in una casa di leeeeegno costruita con le mie maaaaaaaniiiii….

Crisi e schiavismo: effetto carota

bastone e carota

Motivazione e deterrente

Uno degli effetti della crisi, sul lavoro (e della disoccupazione, recessione, depressione ) – è che il sogno del capitalista viene messo in pratica alla lettera: la motivazione del dipendente torna quella che il padrone preferisce: la mera sopravvivenza, in stile Scrooge, per capirci. Per i prossimi 3 anni ogni giorno della vita di chi ha ancora un lavoro sarà semplicemente spronata dal terrore.

Chiamare terroristi degli assassini mi sembra quasi fuori posto: sono assassini, uccisori. I terroristi invece provocano il terrore, costante, ti tengono sulla corda sempre, sempre teso, sempre spaventato, ti fanno vivere nella paura.

Una ditta che fino a 6 mesi fa impiegava 10 persone oggi fa impazzire 4 persone che riescono a fare la stessa quantità di lavoro. Gran sorriso e problema risolto, per qualcuno, no? Forse queste persone non lavorano in miniere di carbone o sale, ma lavorano duramente, per una paga misera e probabilmente non vedono più la famiglia… una famiglia che hanno avuto l’ardire di mettere in piedi in tempi in cui farla nascere significava anche poi vederla, godersela, fare qualcosa, fare progetti.

Se vivi al lavoro e guadagni solo per sopravvivere che progetti fai? Uno su mille ce la fa, eccetera eccetera, si torna alla legge della jungla e al fatto che chi nasce ricco questa cosa non la vedrà.

Ora voglio fare del complottismo, facciamo? Dai: nella stanza dei bottoni, qualcuno, molto in alto, da tempo progetta un ritorno reazionario (vedi progetto dettagliato della P2 di decenni fa) … e ora con le armi dell’economia vuole “rendere competitiva l’Italia” riportando gli italiani ad accettare lo schiavismo lavorativo in stile Cindia, come agli inizi del ‘900, con il caporalato, la precarietà, la miseria per strada, negli ospedali, nella vecchiaia e una disparità così marcata da apparire grottesca oggi… ma che genitori più attempati e nonni ricordano perfettamente.

Marco Baliani portò il Pinocchio Nero in Africa e dall’Africa … vivendo negli slum e ricordando che la povertà com’era li,lui, da piccolo, l’ha già vissuta… andar scalzi per la strada, fango, stracci, poco cibo: tutta normalità per lui… erano solo 50 anni che eravamo usciti dall’era industriale col carbone che ti sporca il naso… ma ora ritorniamo agli schemi che quei vecchi uomini col cilindro e le barbone avevano pensato stando in stanze arredate e riscaldate diversamente da quelle di gran parte della restante popolazione. Come si usa dire: col culo al caldo e la pancia piena.

La carota del titolo? Ricordo sempre quei capetti bastardi che dicono questo: il metodo giusto con la gente è quello del bastone e della carota… e la carota è la pausa dal bastone.