sulle iA generative

Ai miei 4 lettori saltuari forse parrà strano non abbia detto granché sulle iA generative. Ma no: me le avete viste usare.

Ma superficialmente. Quelle che mi colpiscono negativamente sono – ad oggi – Suno e Udio. Perché lammmmmmmerda che vedo produrre è di proporzioni gigafecali. La noia. Qualsiasi produzione che mi piaccia stacca tutto questo di netto.

Per ora.

Onestà uguale aggratise?

Non sarete affatto sorpresi di ricevere la parola “onesto” pronunciato comunemente come se il suo significato condiviso fosse “mi ha fatto pagare un prezzo che io accetto senza grossi problemi” o “gratis”.

Ora mettetevi nei panni di essere un dipendente. Quando il vostro capo pensa che siete “onesti” intende dire che vi paga meno del minimo sindacale o che non rubate, che lavorate invece di non farlo o che non mentite?

Ecco, in effetti il significato ha più a che fare con il contrario del disonesto. Non decidete voi il prezzo che dovete pagare a qualcuno che vende qualcosa od offre un servizio: chiedete quanto costa e se non vi sta bene nessuno di voi è disonesto. Disonesto è pretendere di pagare meno di quanto ha faticato o speso la persona che vi fornisce quel bene o servizio e di far sentire la persona che non si adatta a questa vostra pretesa come e commettesse un atto immorale, non etico.

Ma come, non me la dai? Ma allora io me la prendo! Perché non me la dai? Questo si chiama stupro. Non puoi avere l’aspettativa che te la diano. Non puoi pretendere che te la diano: è disonesto.

E disonesto è anche dire “sali da me e scopiamo” e poi non accade. Lo è, hai mentito. Questo non giustifica alcun tipo di violenza. Ma una ritorsione di pari misura te la meriteresti: tipo, dai ti accompagno in centro. Ma poi non ti dico che ti lascio lì.

L’onestà deve essere come altre forme di rispetto: reciproca e che non sminuisca il lato problematico percepito dell’altra parte in causa oltre a quella del tuo lato. Difficile. Ma possiamo semre ignorarci tutti quanti vicendevolmente? Non credo.

Non sto affatto dicendo che tutto deve essere pagato e che non esista la possibilità che le persone si diano vicendevolmente agli altri, che donino tempo, fatica, cose, parte di sé e della propria vita, anche per poche ore, minuti, qualcosa. Anzi, forse sono le cose più belle. Ma sono volontarie, non sono esigibili, non puoi pretenderle.

Salutare un morto su facebook

Ho personalmente scritto roba su qualcuno che non c’è più, su facebook. Una ragazza era morta e la sua scomparsa mi ha semplicemente ricordato quanto, in vita, si debba evitare di essere schiacciati in comportamenti vitali, che più hanno senso quando la vitalità e l’energia sono più intense, nella giovinezza; questo perché magari si prende coraggio e si sfancula il mondo nel fare cose, quando queste non hanno più tanto senso. Tipo andarsene in giro nudi. Certo liberi, ma quanto ti saresti goduto il tuo corpo all’età giusta, senza essere giudicato moralmente?

Questo fu il mio pensiero.

Non è senza fastidio, un senso di ridicolo, subito rintuzzato da me stesso nel rispetto del sentimento piuttosto che allo stile, che vedo fare saluti al defunto … su facebook. Scrivere una cosa a qualcuno, personale, da me a te, in prima persona, in seconda persona… sul giornale, online, su un post di facebook.

Come qui potete vedere, chiaramente io ritengo che sia meglio esprimersi piuttosto che non farlo. Ma io so che siete vivi. Non sto scrivendo perché mi legga un’intelligenza artificiale che ospita questo blog. Scrivo per me, certamente – ma non su un social – e scrivo perché qualcuno potrebbe leggere passando. Questo qualcuno non è morto. Non è, soprattutto, il morto.

Una poesia, un pensiero. Questo mi sembra sia dedicabile ad un morto, al suo ricordo. Qualcosa di intimo.

Ma alla fin fine sto solo facendo la maestrina. Una volta cambiato in terza persona funzionerebbe comunque, sarebbe ok, sarebbe un ricordo che condividiamo.

Ed ecco a cosa mi è servito scrivere. A parlarne con me stesso. Magari qualcuno di voi potrà trarne qualcosa di utile, magari no.

Invece segnalo, di molto utile, questo articolo.

la logica, il linguaggio e la legge #129387

Mi ritrovo ad essere portatore di un grave morbo: in me convivono due spiriti che sembrerebbero opposti. Tuttavia non lo sono. Di tanto in tanto si guardano strano, ma siccome condividono lo stesso sgabuzzino e si conoscono da tempo, quantomeno non si fraintendono. Quando non capiscono cosa dicono, sono i primi a non capire sé stessi, ad interrogarsi su qualcosa senza rispondere. Ad interrogarsi sul proprio stesso metodo, sul proprio stesso pensiero. A volte hanno la grazia di poter andare avanti e fare un passo un più ed occuparsi di qualcosa.

Questi due spiriti, lati del carattere, voglie, bisogni, robe… avrebbero bisogno di un nome ciascuno. Diciamo che quello più facile da etichettare, per comodità, per capirsi (per questo si usano le parole: non siamo telepatici) è quello “artistico”. Potremmo dire creativo. Diciamo quello più giocherellone, zuzzurrellone, che ha voglia di fare quello che ha voglia di fare. Di cantare, di pitturare di rosso, di saltare nella pozzanghera, di correre forte, di giocare, di studiare una roba perché mi interessa (i dinosauri? ok!) o di leggerla e basta perché mi interessa un po’, stare sul divano a guardare merda, di decidere che posso interessarmi un po’, ma mica impegnarmi tanto, di andare ad una mostra perché sì e non perché so, di studiare filosofia, psicologia, sociologia, miazia, fare casino, di ascoltare Vasco tanto quanto Ani DiFranco o i Dream Theater, Robert Fripp oppure le canzoni dei cartoni animati anni 80-90, oppure insomma capito.

L’altra parte è quella che cerca la Verità e – ridiamo forte – la Giustizia. Questa parte non cazzeggia con le parole. Non ama l’ambiguità buttata lì: se c’è la vuole rilevata e dichiarata ad alta voce e cartellino giallo “aaaambiguitààààà quiiii”. Non ama i “secondo me” usati come fatto, non considera il credere al pari del sapere. E non considera quello che è per quello che non è. Ad esempio che lo stesso sapere è “secondo quello che sappiamo oggi”, ma ricordando anche che il prima esiste. Esiste tutto quello che sappiamo essere falso, che è diverso da “non sappiamo”, pur ammettendo che nello stesso ambito c’è un sacco di roba che non sappiamo e che abbiamo tutti imparato che non possiamo sapere cosa non sappiamo: al massimo riconosciamo che sicuramente c’è altro. E quindi, visto che di lavoro da vare per andare avanti ce n’è parecchio, possiamo smettere di occuparci almeno del dimostrato-errato e andare avanti. Siamo più precisi di ieri, sappiamo un granellino più di ieri. Magari a quel punto scopriamo che possiamo mettere in discussione qualcosa (anche questo è andare avanti, ma in base a qualcosa). La discussione stessa, l’osservazione empirica stessa (alla base di tutto), i metodi, tutto questo, hanno trovato in diversi secoli una evoluzione. Sono cresciuti, maturati, migliorati, sono stati discussi, confermati, confutati, trovati veri o falsi o rimasti dimostrati, indimostrati o indimostrabili. Per tutto questo esiste un metodo. E la base di tutto è – anche questa ha dato prova di sé – il metodo scientifico. Ma in tutto quanto, in ognuna delle discipline, il linguaggio è fondamentale. Bisogna capirsi. E’ necessario, visto che già si cerca qualcosa che non si sa, almeno non fare casino semplicemente a parlarsi. Come se ci mettessimo le braghe di budino per andare a fare una spedizione esplorativa. O ci portassimo il frullino. O meglio: non sapessimo usare gli strumenti che hanno già dato prova di funzionare. Senza per questo smettere di considerarli migliorabili, o che se ne possano inventare degli altri migliori.

Ed ora andiamo nella pratica. Continue reading →

#nondirloalfotografo – stampa da facebook

L’attesissimismismsismissimo appuntamento con #nondirloalfotografo è giunto alla tecnicamente edificante:

posso stamparla da Facebook? #nondirloalfotografo

posso stamparla da Facebook? #nondirloalfotografo

Questa credo sia più che altro una richiesta che martella i coglioni agli esperti della stampa fotografica, quelli che hanno un laboratorio di stampa. O per tutti: il negozio del fotografo. Ma stiamo toccando l’argomento stampa. La destinazione fisica dell’opera fotografica.

Il laboratorio di stampa sta al fotografo come la tipografia sta allo scrittore. Non è, per nessun motivo, detto che convivano in una unica persona. Talvolta l’uno e l’altro professionista non conoscono perfettamente il lavoro dell’altro, ma è bene che dove questi vengono a contatto, siano abbastanza esperti.

Serve essere un professionistaun esperto per stampare una cazzo di foto? Mi stai dicendo questo? Ma sei un pomposo pallone gonfiato saccente e borioso! Che cazzo dici! Premo “PRINT” e hop! Anzi, posso stampare da cellulare su fotocopiatrice! Sei un idiota? Io riesco! Continue reading →

#nondirloalfotografo – fammi venire

Eccoci al nostro incontro seriale del #nondirloaltfotografo, con la sempre benvenuta richiesta:

fammi venire bene, mi raccomando #nondirloalfotografo

fammi venire bene, mi raccomando – #nondirloalfotografo

“Scopare bene / questa è la prima cosa” diceva un Venditti d’annata. E si sa, far venire bene il proprio partner è importante: felici orgasmi a tutti. Purtroppo però, questa richiesta, sottoposta al fotografo, normalmente proviene da una persona fatta in un certo modo. Quel modo. Quel modo lì. Non altri modi ed intende “ottieni una foto in cui io sia diversa da come io mi vedo, ossia brutta”. Continue reading →

il fraintendibile (incuto timore)

Fatto n.1 di questa sera: una mia modella ha passato la selezione per Miss Italia. Mi piacerebbe sapere se ho inciso anche minimamente nella formazione della sua voglia di fare.

Fatto n.2 di questa sera: la signora della pizzeria mi ha detto (dopo anni che ci vado) che “in effetti” incuto timore. Che sembro un giapponese, che sarà la stempiatura, che sembro uno straniero, è il modo di parlare … che puntualizzi.

Quindi dopo che “faccio paura” e che sembro uno sbirro, dopo quella che li inquieto… una ulteriore conferma che incuto timore. Fantastico. Chiunque mi conosca sa che un orsacchiotto vincerebbe contro di me in virilità, cattiveria, forza fisica, coraggio. E che se non sono addirittura buono, quantomeno non sono nocivo.

Il punto è che per conoscermi devi potermi affrontare, devi passare quello scalino tra il fuori e il dentro. E il fuori conta sempre così tanto.

Ma sto iniziando a rompermi parecchio i coglioni anche su questo: credo che inizierò con i tatuaggi ai polpacci. Poi vedremo. Vi incuto timore? Fottetevi, tanto voi avete già fottuto me.

sapere quel che dici #3495783

suggerimento

Prima di rivolgersi ad un professionista, per criticarlo magari, usando il linguaggio specialistico della sua professione, o gergale, sarà meglio impararlo ALMENO a livello amatoriale, ma a livello preciso, in quanto il linguaggio specialistico, in misura ancora maggiore rispetto a quanto non lo sia la nostra lngua COMUNE, rappresenta una CONVENZIONE di una serie di persone che intendono PRECISAMENTE qualcosa.

Quindi prima di dire ad un professionista – a puro titolo di esempio – che una foto è BRUCIATA, quando ci sono invece degli aloni o un riflesso differente da quello desiderato su una superficie riflettente, devi sapere cosa cazzo significa che una foto sia BRUCIATA. E che questo è a dir poco offensivo per un professionista.

Altro esemio? Il termine “SPARA” è più gergale che specialistico. Ma significa qualcosa. E se non sai cosa significa, non devi usarlo a cazzo. Non lo devi proprio usare, devi stare muto/a. Devi usare le parole che conosci. Puoi usare perifrasi, puoi fare tante cose. Ma la prima che devi fare quando usi una parola è “sono in grado di dare al definizione del termine che sto usando?” – se la risposta è no, usane una che conosci.