Eccoci qui, per l’angolo del Pedante: io!! (applausi).
Leggevo , a dire il vero, con gioia il volume due-in-uno di Beppe Severgnini “Imperfetto Manuale di Lingue” nonché con interesse e già un mezzo sorriso di goduria cagionato da pregiudizievole simpatia. Mi piaceva quest’aria di leggerezza, proprio lontana dalla pedanteria, anche quella del “boh” a giustificare una violazione di una regola riconosciuta “perché non mi piace, perché suona male”.
Però ho trovato una cosa che a me pare un errore e basta. E siccome a mio giudizio suona più pedante del resto, merita di essere trattata con un po’ di serietà. Non per rompere le palle, ma per non farsele rompere: in fondo chi ci dice che una cosa è sbagliata getta una sfida su cosa sia vero e cosa sia falso: ricordando che il linguaggio è una convenzione comune, ad un certo punto non possiamo dire “e io vi dico cosa significhi davvero” senza aspettarci una piccola verifica. Beppe ci dice che (cito, pag 38) “35 anni fa contesto era una prima persona singolare, indicativo presente (voce del verbo contestare […]) Oggi contesto è un sostantivo. Poco sostanzioso […]” – chiude, con il suo leitmotif della sezione sostantivi.
Dato che poi vedo citare in ambito di “problema e problematiche” la vetustà di chi ascolterebbe prog anni ’70 e simili devo cercare di mettere in ordine la cronologia: io con la storia ho un cattivo rapporto. Partiamo da “problematiche” : lo sento usare all’interno delle aziende dagli stessi loschi individui del quantaltro e del ciaggiorniamo, gli stessi identici della mission, della maiuscola servile del pronome e di tante tante altre schifezze… ma sai dove si è trasferito? In bocca ai ragazzini di 17 anni: usano “problematica / problematiche” al posto di “problema” (la problematica è l’insieme dei problemi relativi ad un argomento) … che ormai, volenti o nolenti, come ci dice lo stesso Severgnini (citando adeguatamente) è sinonimo di difficoltà, intoppo, inghippo. Ma ormai sono i ragazzini che vogliono fare i fighetti a usarla come sinonimo di “problema”: li ho sentiti io in tanti posti, mano in tasca, bicchere, petto in fuori e giacchettina: eh ci sono tante problematiche…
Torniamo a contesto. Ho controllato per non lasciare nulla al caso: il libro originale (non quello del 2 in 1) è del 2007. Quindi in teoria nel 1972 forse esisteva un altro vocabolo per dire “Complesso di circostanze o di fatti che costituiscono e caratterizzano una determinata situazione, nella quale un singolo avvenimento si colloca o dev’essere ricondotto per poterlo intendere, valutare o giustificare” come analogia mutuata dal suo significato specialistico preso dalla letteratura.
Io non ero ancora nato nel ’72, ma chi conosceva gli ELP e i Krimson e parla di problematiche ricordandosi forse di eskimi verdi e ci cioé, mi lascerà andare a sfogliare un dizionario vecchio e controllare. Ho qui tra le mie mani un dizionario enciclopedico Sansoni (non sarà un Devoto Oli ma spero vada bene lo stesso) del 1965 (e non del 1969) che alcuni parenti mi hanno lasciato portar via da una loro soffitta… ci sono anche le figure così capisco anch’io! Controllo subito e lì dentro il sostantivo maschile singolare contesto è presente e si dice che sia il participio passato (sic!) di contessere, che stia per “collegamento di parti” e trovo persino un “non mi è chiaro il contesto” come esempio d’uso in frase. Anche se in effetti – lo ammetto chiaramente – col tempo l’uso figurato, così “poco sostanzioso” per Severgnini, ha preso il sopravvento nell’uso che ne fa la maggioranza delle persone con le quali mi è capitato di avere a che fare indirettamente o direttamente.
Però, non solo esisteva prima (vedi anche l’etimologico) d’oggi e del ’70 , ma oggi “contestare” lo usano in ben pochi (gli stessi che neppure dissentono?), mentre l’uso veloce dell’attuale parola “contesto”, che con un solo sostantivo dice così tante cose, è diffuso: un successo linguistico che abbraccerei con gioia, seguendo il citato Richard Jenkyns, invece di lottare contro di lui.
Perché tutto questo casino? Perchè amo la parola “contesto”: per fare altrettanto bene sarebbero necessarie più parole e non è nemmeno d’importazione… descrive con precisione un concetto complesso … quindi aiuta a riflettere una complessità di pensiero. Proprio quello che deve fare il linguaggio, no?
Poi vado avanti, mi ri-siedo al banco, torno a leggere: a cercare di imparare (magari imparassi la brevità, e chissà quante altre cose) … ma il contesto mi ha toccato, perché mi suonava così male da spingermi ad approfondire.
Grazie per la citazione di Camus (non la conoscevo, non l’ho mai letto, ora sono incuriosito).