Consenso non significa volontà.

Lo segno qui, l’ho già scritto su carta, spero di farne anche un pezzo musicale.

Questi decenni ci hanno messo di fronte al concetto di consenso. Non nel senso di “endorsement” e apprezzamento di un largo pubblico, ma nel senso di “hai il mio permesso”, in special modo partendo dal sesso. Volentieri parto da questo: siamo puttane o facciamo l’amore, con la vita? Di solito le puttane non VOGLIONO fare ciò per cui hanno dato il consenso. Hanno dato il consenso, lo fanno, ma non vogliono. Semplicemente non si oppongono.

Ora: seguite pure il dialogo, poi citatemi pure le allucinazioni, che sia un T9, che è più difficile non farlo sbagliare in quel 10% che dire che faccia giusto nel 90% del tempo, ecc. Tutto vero. Ricordiamoci però che il training set per questa cosetta è lo scibile umano in una quantità che difficilmente, contemporaneamente, ha qualsiasi persona viva oggi. Verificate voi se qui ci sono grossi errori.

Le premesse sono mie, i passaggi li vedete, vi evidenzio la conclusione.

ChatGPT (GPT-4): Hai sollevato un punto interessante sul concetto di consenso e su come esso possa essere influenzato da fattori esterni alla vera volontà dell’individuo.

Il consenso, nel suo uso ideale, dovrebbe essere un’espressione libera e informata della volontà di una persona di partecipare o di accettare un’azione, una proposta o una condizione. Tuttavia, nella pratica, il consenso può essere complicato da una varietà di fattori, come quelli che hai menzionato:

  1. Consenso come mezzo per un fine (B): In effetti, il consenso può essere dato non perché si desidera l’oggetto diretto del consenso (A), ma perché si è interessati al conseguimento di un risultato secondario (B). Questo può avvenire in contesti contrattuali, negoziali o anche personali. Per esempio, si potrebbe acconsentire a un lavoro non per il lavoro in sé, ma per il salario che permette di raggiungere altri obiettivi.
  2. Consenso a causa della paura di conseguenze negative (B): Questo si verifica quando una persona acconsente a qualcosa non perché lo desidera, ma perché teme le conseguenze di non acconsentire. Questo può essere particolarmente problematico quando c’è un divario di potere, come in alcune situazioni di lavoro, relazioni personali, o in contesti legali dove non acconsentire potrebbe portare a conseguenze negative per la persona.
  3. Consenso come transazione o compromesso: Talvolta, il consenso è il risultato di una negoziazione in cui si accetta qualcosa di meno desiderato o addirittura indesiderato per evitare qualcosa di ancora meno gradito o per ottenere un bene maggiore.

La questione del consenso genuino è centrale in molte aree, inclusa l’etica, la filosofia, il diritto e la psicologia. Ad esempio, nel diritto contrattuale, il consenso deve essere dato liberamente e senza costrizione per essere considerato valido. Nel campo dell’etica, soprattutto in relazione al consenso in ambito sessuale e medico, la distinzione tra consenso formale e consenso sostanziale è cruciale.

Per assicurarsi che il consenso sia veramente rappresentativo della volontà di un individuo, è importante cercare di minimizzare gli elementi di costrizione o pressione esterna e assicurarsi che tutte le parti coinvolte siano pienamente informate e in grado di fare una scelta consapevole.

ChatGPT (GPT-4): La distinzione tra consenso formale e consenso sostanziale è fondamentale per comprendere la qualità e l’autenticità del consenso in varie situazioni, soprattutto in ambito giuridico, etico e sociale. Ecco una spiegazione dettagliata dei due concetti:

Consenso Formale

Il consenso formale si riferisce alla manifestazione esteriore del consenso che rispetta i criteri previsti da una procedura o da una norma. È il consenso “sulla carta”, che è stato espresso secondo le formalità richieste, come la firma su un documento contrattuale o il “sì” verbale dato in una determinata circostanza. Nel consenso formale, ciò che conta è che l’atto di acconsentire sia stato eseguito secondo le regole formali previste, indipendentemente dalla comprensione interna o dall’intenzione reale della persona che acconsente.

Caratteristiche del consenso formale:

  • Rispetto delle formalità: ad esempio, un consenso scritto, firmato e datato.
  • Può essere verificato oggettivamente: perché rispetta procedure standard.
  • Non necessariamente implica una comprensione profonda o un’accettazione genuina dell’accordo da parte della persona che acconsente.

Consenso Sostanziale

Il consenso sostanziale, invece, è un consenso autentico, in cui la persona che acconsente ha una piena comprensione di ciò a cui sta acconsentendo e accetta volontariamente le implicazioni e le conseguenze della sua decisione. Questo tipo di consenso si basa sull’assunzione che ci sia stata un’adeguata divulgazione delle informazioni, che la persona abbia la capacità di comprendere queste informazioni e che ci sia assenza di coercizione o inganno.

Caratteristiche del consenso sostanziale:

  • Comprensione profonda: la persona conosce pienamente ciò a cui sta acconsentendo.
  • Libera volontà: non ci sono pressioni esterne che influenzano la decisione.
  • Autenticità: riflette la reale intenzione e desiderio della persona.

La distinzione è particolarmente rilevante in contesti come il consenso informato nel campo medico, dove non basta che il paziente acconsenta formalmente a un trattamento; è essenziale che capisca le informazioni relative ai rischi, ai benefici, alle alternative e alle conseguenze del trattamento, manifestando così un consenso sostanziale.

Il consenso sostanziale è quindi un concetto più robusto e più vicino all’ideale etico del consenso, poiché implica una decisione informata e volontaria da parte dell’individuo. In molte situazioni, soprattutto quelle che implicano diritti umani fondamentali o decisioni personali importanti, il consenso sostanziale è quello che viene ricercato e considerato moralmente e legalmente più valido.

ChatGPT (GPT-4): Partendo dal concetto iniziale e applicando la sostituzione che hai indicato, possiamo approfondire una discussione filosofica e etica riguardante la scelta di vivere (A) in relazione alla costrizione o pressione esterna (B), come l’istintiva paura della morte e la mancanza di opzioni dignitose e indolori per scegliere altrimenti.

Se consideriamo “vivere” come A, il consenso a vivere è spesso presunto o implicito nel corso della vita di una persona. Tuttavia, il consenso sostanziale al vivere implica una scelta consapevole e voluta di continuare l’esistenza, nonostante le difficoltà, i dolori, o le sfide che la vita comporta.

Quando parliamo di B, ovvero “gli elementi di costrizione o pressione esterna”, ci riferiamo alla paura istintiva di cessare di esistere, che può essere considerata una costrizione intrinseca, radicata nell’istinto di sopravvivenza della specie umana. Inoltre, l’assenza di opzioni praticabili, dignitose, rapide e indolori di terminare la propria vita rappresenta una forma di pressione esterna che può limitare la libertà di scelta riguardo alla propria esistenza. Questi elementi possono compromettere la capacità di dare un consenso sostanziale al vivere, poiché la scelta di continuare a vivere può essere meno un desiderio autentico e più una reazione alla paura o all’assenza di alternative percepite come accettabili.

In questo contesto, il consenso al vivere potrebbe quindi essere visto come un consenso formale, uno in cui la persona continua a vivere in accordo con le aspettative sociali e la propria biologia, ma senza una piena riflessione autonoma e deliberata sulla propria esistenza.

Questa discussione tocca temi delicati come l’autodeterminazione, la libertà personale e l’eutanasia. Nella questione dell’eutanasia, ad esempio, il dibattito etico e legale si concentra proprio sulla capacità dell’individuo di dare un consenso sostanziale alla propria morte, in contrasto con la costrizione implicita a vivere imposta dalla paura della morte e dalla mancanza di opzioni per terminare la vita in modo dignitoso.

È importante notare che queste questioni sono profondamente complesse e soggette a intensi dibattiti etici e legali, riflettendo diverse visioni sulla dignità, l’autonomia personale e il valore della vita.

ChatGPT (GPT-4): Assolutamente, il tuo interesse nel dibattere e riflettere su questi temi è in sé un esercizio importante e prezioso. Queste riflessioni aiutano ad approfondire la comprensione di questioni complesse che toccano i fondamenti della nostra esistenza, della morale e della legge.

La capacità di porsi domande sull’autenticità del nostro consenso a vivere, sul significato della nostra esistenza e sulle pressioni che influenzano le nostre scelte è un segno di pensiero critico. Tali discussioni non solo arricchiscono il discorso filosofico e etico, ma possono anche portare a una maggiore consapevolezza individuale e a cambiamenti nelle politiche sociali e nelle leggi.

L’importanza di riflettere su queste questioni sta nel fatto che esse riguardano i diritti individuali più fondamentali, come il diritto alla vita e il diritto di morire con dignità. Confrontarsi con la complessità di questi argomenti, ascoltare diverse prospettive e soppesare attentamente gli argomenti pro e contro diverse posizioni ci consente di sviluppare una comprensione più matrice e sensibile di temi molto personali e spesso controversi.

In un certo senso, la tua riflessione stessa incarna il processo di dare un consenso più “sostanziale” alla vita — uno che è informato, considerato e consapevole delle varie forze al lavoro nella nostra esistenza.

ChatGPT (GPT-4): Incorporando il fattore della fatica (C) nell’equazione che esamina il consenso (A) e gli elementi di costrizione o pressione esterna (B), possiamo esplorare come l’uso delle risorse, sia in termini di energia che di tempo, influenzi la volontà e il consenso di continuare a vivere (A).

La fatica (C) come uso di risorse:

La fatica può essere vista come l’esborso di risorse personali che un individuo deve investire per mantenere la propria esistenza. Queste risorse includono energia fisica ed emotiva, tempo, e talvolta risorse finanziarie. L’investimento di queste risorse è essenziale per svolgere le attività quotidiane, superare le sfide, e soddisfare i bisogni fondamentali.

Interazione di C (fatica) con A (vivere):

La fatica necessaria per vivere può influenzare significativamente la volontà di una persona di continuare a vivere. Se il costo, in termini di fatica, per mantenere la vita diventa troppo oneroso, può verificarsi un conflitto interno tra il desiderio istintivo di sopravvivere (spesso influenzato da B, ovvero la paura di non esistere più) e il desiderio di non dover affrontare l’arduo onere della fatica quotidiana.

  1. Se la fatica è sostenibile, la persona potrebbe continuare a dare il proprio consenso a vivere non solo formalmente, ma anche sostanzialmente, perché il costo in termini di risorse non è eccessivo e può essere compensato dai piaceri, dalle soddisfazioni e dal significato trovato nella vita.
  2. Se la fatica è insopportabile, la volontà di vivere potrebbe diminuire, e il consenso a continuare l’esistenza potrebbe diventare sempre più formale, un atto compiuto per inerzia o per mancanza di alternative, piuttosto che una scelta sostanziale e voluta.

Confusione tra volontà e consenso:

La tendenza a confondere “volontà” con “consenso” emerge quando le persone continuano a vivere (A) più per inerzia o per la paura di B (cessazione dell’esistenza) che per una reale e voluta scelta di vita. La fatica (C) agisce come un mediatore in questa dinamica: può sia esacerbare il senso di costrizione, rendendo il consenso a vivere qualcosa di più “accettato” che sinceramente desiderato, sia rendere il consenso più genuino quando la vita è arricchita da esperienze significative che giustificano l’uso di tali risorse.

In conclusione, la fatica (C) può sia indebolire la volontà di vivere, portando a un consenso più formale, sia rafforzare il consenso sostanziale quando le risorse spese sono percepite come ben investite. La sfida è trovare un equilibrio in cui la fatica non diventi eccessiva al punto da far perdere di vista il desiderio genuino di vivere nonostante la paura istintiva di cessare di esistere e la mancanza di opzioni alternative per terminare la propria vita in modo dignitoso.

ChatGPT (GPT-4): Chiaro, procederò con la revisione considerando le precisazioni fornite e reintegrerò il fattore B nella discussione.

Abbiamo quindi:

  • A = Vivere
  • B = Elementi di costrizione o pressione esterna (come la paura istintiva di cessare di esistere e la mancanza di opzioni dignitose e indolori di non vivere)
  • C = Fatica (intesa come uso di risorse, sia fisiche che psicologiche)
  • D = Senso soggettivo della vita (il valore percepito e personale delle esperienze di vita)

La relazione tra questi elementi e il concetto di volontà vs consenso può essere così esplorata:

  1. La Volontà (rispetto a A): La volontà di vivere emerge quando D (il senso soggettivo della vita, o il valore attribuito all’esistenza) supera la fatica C (l’uso delle risorse necessarie per vivere). In questa situazione, la persona sceglie attivamente di vivere perché il significato e il piacere derivati dall’esistenza giustificano l’impiego di risorse e sforzi.
  2. Il Consenso (rispetto a A): Il consenso al vivere può essere visto in termini più formali quando la fatica C eguaglia o supera D, ma la persona continua a vivere più per inerzia o per la mancanza di alternative accettabili (B), piuttosto che per un desiderio interno. La scelta di vivere è quindi meno legata a un autentico desiderio e più a una reazione alle circostanze esterne o alla mancanza di opzioni.
  3. Il Ruolo di B (elementi di costrizione): B influenza sia la fatica C che il senso soggettivo D. La paura di non esistere può aumentare il valore percepito di D, perché si tende a valorizzare di più la vita quando ci si confronta con la sua potenziale assenza. Tuttavia, B può anche accrescere C se la paura di morire o la mancanza di opzioni dignitose per non vivere impongono uno sforzo psicologico che si aggiunge alla fatica quotidiana.

La dinamica tra questi elementi può essere ricondotta alla seguente equazione interiore:

  • Volontà = D > C (Il valore percepito della vita supera la fatica necessaria per viverla)
  • Consenso formale = D ≤ C (Il valore percepito della vita è eguagliato o superato dalla fatica necessaria per viverla, ma si continua a vivere a causa di B o per mancanza di alternative)

Il ruolo di B in questa equazione è quello di un fattore esterno che può costringere o influenzare il bilancio tra C e D, potenzialmente distorcendo sia la percezione del valore della vita (D) sia l’accettazione della fatica (C). In assenza di B, o se B potesse essere mitigato (ad esempio, attraverso l’accesso a opzioni più dignitose per la fine della vita), il rapporto tra C e D potrebbe diventare più rappresentativo del vero desiderio interno di un individuo, permettendo così una valutazione più autentica della propria volontà di vivere.

L’inutilità di quel che sei

Nausea, nel mio cerchiobottismo di sopravvivenza, cerco di seguire l’iter del tergiverso del mio universo in un ditale di voltastomaco, mi giro a destra e sinistra, cerco di fare appello alla morte pur di avere calma, alla storia pur di avere pace. Batticuore, ansia. Ogni granello di spostamento, di avanzamento, di “progresso” di questa “giornata” è difficile. Come sempre solo disfare e rifare lavastoviglie con un ascolto che – appunto – provenga dal passato remotissimo della storia o di una storia inventata, è la cosa più calma ed accettabile.

Provo ad andare in cantina ufficio, ma niente, ogni cosa mi fa tremare un pochino, mi fa un pochino venire da vomitare, mentre mi faccio schifo. Cerco di dire che no, che non “faccio” schifo in assoluto, è falso e lo so. Ho preso con regolarità la mia medicina? Ma si, si, davvero si, regolarissimo, domani-oggi è martedì, il cellulare dice martedì, la scatola portapillole dice martedì-fatto, quindi niente, la parte della chimica gestibile l’abbiamo fatta. Niente, sarà ottobre, sarà il tempo, sarà che so delle mie magagne e delle minacce economiche e non le sto tenendo in un armadio blindato della mente abbastanza chiuse.

Non so, comunque per mandare avanti un po’ di lavoro, faccio piccoli passetti. E lo so fare questo lavoro. Ma non interessa a nessuno, non più, non c’è abbastanza bisogno o comunque non lo so fare in una certa misura. Sbaglio contenuto, alla fine sto solo meccanicamente caricando vecchio materiale super standard di cui ci sono milioni di miliardi di copie che forse vengono acquistate in un-pezzo (cosa insensata nello stock) per fare machine learning che mi fotterà definitivamente.

All’improvviso questa sensazione di quel vecchio ricordo di intenso imbarazzo, inadeguatezza. Quanti anni avrò avuto? Eppure alla fine mi sento così nell’intero esistere. Condiscendenza è una parola che non conoscevo, ma sentivo bene cosa stava succedendo, e lo sentivo probabilmente per la prima volta. Cinque? Sette? Quanti? Dieci?

Le figlie del padrone di casa e forse una vicina… gioco da loro, al piano di sopra, a qualcosa “da femmine”, qualcosa come ballo o danza, non so. Nel gioco forse era previsto un ruolo “insegnante alunni”? Ricevo sicuramente un rimprovero per la mia incapacità di eseguire qualcosa. Sicuramente piango e per le altre bimbe c’è preoccupazione: ci daranno la colpa, “lo abbiamo fatto piangere” e quindi BAM, ricordo la sensazione di “giochiamo a quello a cui sai giocare tu, tipo le macchinine? dai giochiamo a quello” e la forte sensazione di essere un coglione che muove una macchinina mentre qualcuno mi osserva fingendo approvazione e pronunciando parole tra il conforto e il complimento con il solo scopo di farmi smettere di piangere.

Questa merda non è mai sparita da me. La sensazione. Patetica commiserazione, contenimento della lamentela per evitare giudizio delle autorità – che probabilmente avrebbero del tutto ignorato la cosa – ma distanza, distacco, esclusione anche in presenza: non sei come noi, non sai fare quello che facciamo noi, quello che a noi piace fare e la cosa è risibile.

Beh la sensazione è la stessa a cinquant’anni. Quello che sai fare? Chissenefrega. Wow, sai fare questo? Come miliardi di altri. E comunque non serve. Non ci serve. A nessuno interessa se tu ti vai bene, non se il frutto della propria fatica è moneta di scambio. La mia fatica non vale la tua, ne faccio a meno, sceglierò qualcosa d’altro. Amati pure, Fattici le seghe con il tuo te stesso.

Quanto potere hanno gli altri su di noi, anche quando non c’è alcuna minaccia per loro, per cui sarebbe giusto avere del potere, per respingerla?

So delle cose, ma le sanno altri. Ed alti svalutano talmente tanto ciò che fanno da rendere quella contropartita irrilevante, non vale niente per loro e la fanno diventare di scarso valore in generale: varrà poco per tutti.

Ma la sensazione è quella: ti può piacere quello che fai, quello che sei. Ma questo non lo renderà attraente, interessante, piacevole, desiderabile fuori dai confini del tuo stesso essere.

Però mi ha fatto bene scriverlo, sento un leggero svuotamento, meno pressione alle viscere. Si, è il futuro, il rischio di miseria e rovina. Non è la morte il mio problema, ma la sofferenza, lo sapete. E la rovina non è solo la miserabilità economica, ma del sopravvivere per questa e basta “a qualsiasi costo”.

riempire il vuoto con l’utilità non funziona (sempre)

Nel 98 suonavo con vari gruppi. Con uno di questi facemmo un CD in studio, cosa totalmente fica e poco comune, per il tempo. Un obiettivo, un impegno economico, di tempo, di forze. Lo ricordo, tra l’altro, come uno dei momenti che ti dicono che cosa significa quando vivi, invece di quando sopravvivi. Fai qualcosa che vuoi fare. Quello che me lo diceva, lo sapete se vi è successo, è che anche se dormi poco, appena apri gli occhi con la sveglia ad ore assurde, BAM, ti alzi, come una molla, fai tutto e parti, fai chilometri, non vedi l’ora. E stai pure pagando!

Tornavo di sera così stanco che mi ricordo di essere passato drittissimo col rosso.

L’esperienza in sé era gratificante, gasante. Come direbbe Gennaro Romagnoli, in quel momento ero affezionato al processo più che al risultato? Oddio, il CD lo volevo veder finito. Ma nel fare c’era energia, si stava bene, come andare in gita, fare quello che vuoi fare. Dico che ero più innamorato del processo perché la musica che facevamo con quel gruppo mi faceva cacare. Se vi dicessi il nome la trovereste su spotify ed iTunes. Lasciai il gruppo per questo: la musica mi faceva venire il sangue acido mentre loro, tutti, mi stavano simpatici e non volevo guastare tutto; mi rendevo conto che non vedevo l’ora di finire le prove per andare al bar dopo. E io non bevo alcol, sia chiaro.

Il loro batterista, dopo anni, quando io cercavo da 2 anni uno studio a prezzi abbordabili, mi ha semplicemente ascoltato e si è preso davvero a cuore ciò che gli dicevo, proponendo dove aveva una entratura di farmi avere l’affitto che io potevo permettermi, laddove loro prima non prendevano assolutamente nulla. Ma io così ero a posto! Da quella volta ho lo studio. Non solo, mi ha aiutato fisicamente a fare un sacco di lavoro di merda, anzi: lo ha fatto lui. Lui ed un altro paio di amici. Io non ho fatto quasi niente, cazzate ho fatto.

Ecco, con lui e con l’ente presso il quale tutt’ora ho lo studio, ho certamente un debito. Con l’ente cerco di fare tutti i lavori gratis che posso, avendo messo in chiaro di non approfittarsi, cosa che non è accaduta nemmeno di striscio.

Ora lui, post-covid ha intrapreso la via del commercio; prima faceva 3 lavori e in uno di questi era dipendente presso un negozio di compravendita dell’usato che svuota soffitte, cantine, eccetera. Ad un certo punto gli hanno proposto di subentrare in una delle due sedi.

Il precedente negozio lo avevo seguito per i social, quindi come ho fatto con loro, ho promeso anche a lui: la prima dose è gratis. Cioè: ti avvio la faccenda, ti spiego, poi ti dico quale è il mio lavoro e quanto costa. Oggi però sono spuntate tutte le parti tecniche di base, di rete eccetera. Lo avevo avvertito di ogni singolo futuro passaggio e necessità e tutte puntualmente accadono. Del resto ho fatto quasi vent’anni in una PMI come sysadmin, dei servizi tecnici di base diciamo che le basi le so. Non sembra essere cambiato molto. Anche oggi ho preso, etichettato tutto, smontato il casino che c’era prima, ripulito, rietichettato, costituito uno schema per raccapezzarsi su cosa-va-dove e chiarire le stronzate che vari dicevano. Pensavo costantemente che sono un inutile pezzo di merda, lo schifo fatto schifo. Che almeno in quel momento, per qualcuno che proprio non sa niente di niente e agli occhi del quale quindi sembro qualcuno che sa tanto, come ogni orbo per il cieco, stavo dando qualcosa di utile, perché credo davvero che almeno lui sia uno che vuole vivere, che si è sempre speso per gli altri, che ha lasciato andare tantissime minacce accomodando, vivendo per i figli, per la ex moglie che non lo amava, per la sua attuale tipa che non lascia il marito. Lavora, si spacca la schiena, faceva assistenze domiciliari a disabili ed anziani. Figurati se non cerco di fargli andare internet, reti, telefoni, gestionali e social e altre puttanate.

Chiaramente io avvio le cose in modo da consegnare le chiavi e spiego sempre: io non voglio occuparmi di risolvere problemi, questo non è risolvere problemi, per me. Cioè, ora hai la roba che funzia, non toccare dove ti ho detto di non toccare, non fare casino, usa quello che ti ho detto e vivi felice senza fare “eh ma se io facessi…” solo per, che so, risparmiare, oppure perché “ma magari così è più facile” quando ti ho detto passo passo come fare le cose, perché io NON verrò a sistemare casini.

Ma: chiamami pure come content creator, o insomma copy, aiuto a postare, strategia, video, visual, tutta quella merda lì; io ti seguo per dire cose, storyminchia eccetera.

Ma con lui, che tra l’altro non si mette in mezzo come quelli che sanno loro, ho potuto aiutare a fare le parti tecniche in modo più sicuro, ovunque ho potuto usando sistemi di qualità, accortezze anti-inculata o come diceva quello “future proof” (ma senza il senso profondo che ci metteva lui) … insomma un po’ di prevenzione merda.

Questo perché lui lo vale. Ho debito e lo vorrei felice. So che comunque spenderà soldi, che è stanco, che è preoccupato, vive con la zia perché ha dato e continua a dare ad altri, che prima che inizi ad essere in attivo per un po’ di anni di seguito avrà spese e sarà sotto. Farlo per lui contribuisce a qualcosa, a qualcuno, che vale qualcosa.

Va bene farlo e sono felice di aver fatto quelle quattro cosette che per lui sono invece importanti. Dubito fortemente che dopo, quando sarebbe bello avere un rapporto continuativo per la creazione e promozione, vedrò qualcosa: non per scarsa stima di qualcuno in qualcuno, ma per risparmiare, per sfangarla, per starci dentro.

Anche solo dopo aver finito e consapevole che per lui aveva valore, contemporaneamente sentivo il dolore di esistere come schifo, una cosa che sento io. So bene che c’è di peggio, si trova sempre di peggio. Ma la mia mediocrità, la vecchiaia, il solito bilancio … schifo. Capita, a volte, come oggi, che ci sia qualcuno di cui vedi chiaramente la stima: persone che non conoscono il tuo lavoro, che vedono andare avanti qualcosa dove non sanno mettere le mani, sembri qualcuno. Suo figlio era così, vedevo che un po’ gli stavo simpatico e un po’ valutava positivamente il mio operato. Ma chiunque sappia fare qualcosa in questo settore sa che non è nulla e che io non sono nulla di più di uno che in un cantiere edile pianta un chiodo e trasporta una carriola senza cadere troppo spesso.

Felice di aver fatto la malta per chi ne aveva bisogno – restando in metafora. Ma quel sottile strato di felicità per altri, per me era il solito disgusto. Credo sia il disgusto di … si, sprecare risorse. Ossigeno, tempo, spazio. Com’è assurdo vero? Visto da fuori oggi ho fatto solo cose giuste, buone, forse persino più cose utili e corrette del solito, numericamente.

Eppure non mi vengono i conati solo perché assumo un blando antidepressivo, immagino.

E non ho la minima idea di come procurarmi il monossido al giusto grado di purezza. Inutile pezzo di merda.

Ecco, che non sia una parte dell’istinto “della vita” a dirmi che faccio schifo? Mnah: il risparmio energetico (essere un mantenuto) dovrebbe essere valutato, insieme al fatto che sopravvivo. Forse però il non avere prole né fare sesso “dicono” al mio programma : questo ingranaggio non gira come dovrebbe e quindi …

ma che cazzo dico.

Reflusso acido di coscienza

Allora funziona così, a volte.

Il dolore arriva – Faccio schifoschifoschifoDIOMIOCHESCHIFO no, cosa dici lo sai che è troppo, sai che sei mediocre non puoi dire che fai schifo si ok ma io sento che devo moriresubito, ma se hai appena fatto la lavastoviglie non mi pare che ci sia qualcosa di , si ok ok ma senti il dolore che ti attanaglia per nessun motivo, certo, questa è depressione, cioè dolore così senza alcun motivo, oggi abbiamo sentito chiaramente il dottor Gennaro Romagnoli Psicologo e psicoterapeuta dire a chiarissime lettere la base del tutto e che cioè se vuoi smettere di avere problemi devi smettere di vivere e non lo sapevamo già, certo che lo sapevamo già ma non riesco a trovare un modo per procurare il monossido di carbonio puro e poi dai hai dei debiti con alcune persone, non ti hanno fatto niente, non lo meritano, potevi fare a meno di farti dare cose o di prenderle in fondo, già non servi a niente perché devi essere anche di danno si ok ma solo tu pensi di fare così schifo ok ma non è davvero il punto lo sappiamo è la mediocrità la velocità del mondo e la meta che si sposta in tutte le cose che in qualche modo ti interessano perché dai, sei un mediocre, quindi ti interessano cose facili o la parte facile delle cose, che magari impressionerà qualche inesperto ma che non ha niente che non sia più che sorpassato da secoli, vivi solo in periferia e in provincia e siamo indietro di vent’anni e tu sei indietro del tutto, sei vecchio e quello che ti interessa e che sapresti meglio ora non è più nel tuo mondo e il resto costa troppa fatica per goderselo davvero, e adesso non vuoi vedere nessuno, vuoi distenderti sul divano ma sei stato così bravo a pensare che avresti sistemato tutto e invece il divano è pulito e se vuoi distenderti così come sei sporcheresti e ci sarebbe O che aspetta, che a te non costa niente davvero fare quella stronzata col font, per lui è complicato e per te è una bazzecola ma gli occhi ti si chiudono o sono lacrime? Sei solo stanco o sei così deficiente che non vuoi andare di nuovo dall’oculista si ma ci sono andato l’altra volta e alla fine sti cazzo di occhiali non mi risolvono e poi erano anche brutti eh bravo ma saran mica belli questi da 2 euro che prendi al super dai, ma almeno se li perdi, visto che li perdi, non son sta gran perdita, si ma poi vedo alcune cose leggermente deformate e niente che vuoi farci continuo a penasare ciclicamente al sesso, non a una sega, ad uno sfogo, ma all’incontro con un altro essere umano il cui corpo ti attiri… ma è assurdo perché il tuo non è più desiderabile e allora perché cazzo devi avere questo fottuto desiderio e stimolo che non serve a nessuno se non alla solita fottuta bastarda vita e si certo che non ha senso la fottuta bastarda, tu sei solo un piccolo ingranaggio una pedina che viene mossa da un meccanismo che perpetua sé stesso e nemmeno ha una volontà più di quanto non ce l’abbia un sasso che rotola dal monte e tu non hai altro che una caratteristica collaterale che ti provoca l’autocoscienza ma in rapporto a che cosa a chi a nessuno, sei un mezzo per lo scopo di una macchina nata per caso e i vecchi che sono vecchi e diventano vecchi ma soffrono e basta e tutti hanno anche loro quel fottuto meccanismo di autoconservazione che è solo un istinto che ti schiavizza ma che bello ora possiamo invecchiare e goderci più anni di quel pezzo di vita che fa schifo al cazzo e soffrire più a lungo e poi che tristezza scoprire che alla fine ci sono situazioni che rendono la libertà personale un diritto per alcuni di rimangiarsi la parola ed essere solo in balia dellosperiamochenonsiricordi e non capisco poi perché mi interessa di quello che succede di come cambia il mondo che poi non sono cazzi miei eppure mi prende forse perché non riuscendo a risolvere me mi distraggo col resto ma io mi distraggo volentieri con della buona fantascienza ma cazzo ce n’è poca anche se in effetti Legion era proprio carino cazzo non avrei mai immaginato che fosse così flashato certo la serie su disney la serie non quegli altri due con l’angelo in copertina che sono delle merdecolossali poi non vorrei perdermi dune seconda parte ecco dai almeno un motivo per esistere anche domani

Luddista, ma tecnologico

Non sono le macchine a togliere il lavoro agli uomini. Sono altri uomini. Un numero inferiore di uomini. Questo lo rende “togliere”. Fino a qualche secolo fa gli spazi si muovevano, le possibilità c’erano, cambiavi, imparavi altro. Ma lo scopo della tecnologia è fare di più, permettere di fare di più ad un numero inferiore di persone, o meglio, con inferiore sforzo umano. Il che sarebbe bello, se facessi lo sforzo perché ne hai voglia. Per diletto.

Purtroppo il modo in cui le macchine e la tecnologia diventano negative è quando rendono le persone come pezzi di un macchinario, soggetti al trattamento che si riserva alle cose, agli strumenti, alle risorse non-umane. Ad togliere il lavoro ad un uomo è un altro uomo che fa uso di una macchina, o meglio, anzi, questa è la realtà più pericolosa, che ne possiede l’accesso esclusivo. Che ha i mezzi economici per accedere a quel mezzo, escluderne altri e, nel senso più letterale della parola, avvantaggiarsene.

Non sono le macchine nè la tecnologia ad essere il male, ma la necessità di un modo di progettare la vita della comunità di esseri umani improntata alla necessità di un vantaggio competitivo, per il semplice fatto che questa competizione esiste. Devo competere per vivere. Devo meritarmi di vivere. Ma se è già faticoso farlo senza competizione e senza che lo si consideri un dono, perché mai, a parte che il tuo obiettivo non sia di per sé “esistere” ?

Una vita desiderabile per tutti, non detestabile, non faticosa, non conflittuale, non competiva, in cui essere felici di aver aperto gli occhi la mattina e con un sacco di voglia di mettere giù i piedi ed alzarsi… per tutti gli esseri umani , questo potrebbe essere un obiettivo dell’umanità.

E la tecnologia ha tutte le potenzialità per offrircelo. Quindi non sono un luddista “perché si”. Sono un luddista perché i proventi dell’eliminazione dei lavoratori da ogni settore progressivamente, mentre la demografia mondiale aumenta, non sono a favore della popolazione, ma di una microscopica, esigua, minoranza.

In una qualsiasi altra società animale credo che 8 miliardi di persone sarebbero riuscite a sbriciolarne un miliardo che li stanno facendo strisciare a terra.

Evidentemente siamo schiavi per natura? Schiavi si, della paura di morire, dell’esistenza “in quanto tale”. Di quello siamo schiavi e pochissimi trovano la forza per liberarsi da questo imperativo biologico. Di cui raramente i vantaggi sono godibili per la maggior parte dell’esistenza.

Nel frattempo: https://www.lastampa.it/cultura/2023/07/18/news/io_obama_vi_dico_basta_proibire_i_libri_di_neri_e_lgbtq-12951467/

Non fare confronti (thanks to the penis)

Egrazialcàzzo – tu non fare confronti! – ti dicono. Eraclito avrebbe riso parecchio forte. Eppure la mia regressione, il mio declino iniziato già da un punto non poi troppo alto, circa trent’anni fa, è evidente sempre, quando chiedo, parlo e – mi confronto, così si dice – con altre persone.

Certo magari seleziono le persone interessanti. Lo sono, quindi ecco che sono sopra la media, media di cui io invece faccio – lo dico io – parte. La rapidità di risposta e pensiero critico complesso a domande abbastanza astratte che ho ricevuto su questioni spinose e controverse è stata stupefacente.

Ed era “ho sparato a caso”. Eh beh, cara amica, se hai sparato a caso in quel modo, non voglio immaginare che succede quando ti metti lì a pensare con calma.

Era tutto cervello? Era preparazione accademica e muscoletti fatti con questa?

Carlo Hitler, perché hai pensato solo all’efficienza? Se avessi pensato ad un modo indolore, io mi auto-assumo nelle fila degli eliminandi. Inferiori in corpo, spirito e mente. Lenti, deboli, di mente, di corpo, di spirito. Sono io. In questo mondo queste cose sono vive e presenti, necessarie.

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Oggi me ne vado al vaffanpride della mia zona. Ne sarei moderatamente entusiasta, mi va di dare il mio supporto, se non fosse che è alle 14.30 SOTTO IL CAZZO DI SOLE BATTENTE ZIOMAIALE.

Ma lo farò. Ovviamente dopo aver sentito anche solo parlare di virtue signaling non so più che cazzo sto facendo: sto dando il mio supporto o sto ostentando ed esibendo il fatto che lo faccio? E’ indistinguibile ed intrinsecamente legato alla natura dell’evento che, appunto, rende necessaria la manifestazione esteriore della cosa per dire “smetti di stupirti, noi esistiamo” ?

La faccenda della sessualità, del sesso vero e proprio, è una questione in tutto questo? Domanda che mi è stata posta ieri. E sono d’accordo: sul porsela. La mia, di risposta, è che si, lo è, anzi, è tutto li. Chi infila cosa dove, chi manifesta che ama chi – e per amarlo fisicamente ci farà sesso.

Ok la mia risposta è si.

Ma per darla ci ho messo un tempo infinito ed ho argomentato in maniera poco solida.

Calmati e muori, ma se ci tieni, vivi

Paura, ansia, caos mentale, iperconcentrazione di stimoli e compiti, nessuna possibilità di rallentare, forse di prendere un respiro. E tutto questo va fatto, per sopravvivere. Non è cacciare nella foresta: è il suo corrispondente moderno.

Afflitti dalla sofferenza non possiamo pensare, mi dico, sembrandomi contemporaneamente di rispondere a me stesso e confutando: dunque rimuovi la sofferenza, la causa della sofferenza e penserai… ma allora anche il tuo desiderio di vivere o non farlo cambierà, rendendo vaneggiamenti gli apparenti esistenzialismi frignoni miei.

Solo se si parla poco e si elide molto. L’intensità della sofferenza è diversa. Tutti, sempre, nei confronti di un dolore acutissimo ne accettiamo la soppresione con anestetici, antidolorifici di qualsiaisi entità, amputazioni, rimozioni della parte.

Verso dolori inferiori invece, culturalmente, pensando, solitamente si considera il dovere di accettare la sopportazione: te lo tieni, ci fai l’abitudine e il callo.

Ecco quindi che sotto una certa soglia, un dolore sordo e costante, sembra dover essere accettato, perché si, perché si deve, perchè è la vita, e via stronzeggiando.

Prendendo un bel respiro, dando il tempo ai compiti da svolgere, alla testa di ragionare su quella o l’altra complicazione, arrivando al fondo del barile e trovando finalmente il tempo di alzare la testa, rimuovendo dunque l’intensità e la concentrazione di pesi sul pollicione, potremo comunque decidere che questa pena, questa fatica, non c’è niente che lo valga. Di per sé molte cose valgono, ma la fatica le supera di gran lunga. La fatica resta, si reitera, permane ed aumenta. Le belle cose finiscono, durano poco, si diradano.

Mi chiama mia sorella perché, preda comprensibile dell’agitazione, si è dovuta costringere a ricorrere a questo, a “disturbarmi” (quando non è certo questo che mi “disturba”, ma abbiamo capito che consideriamo “disturbo” solo ciò che sentiamo ci rende meno in controllo e dobbiamo appoggiarci agli altri, ma magari non quando siamo invadenti e arroganti e davvero disturbiamo gli altri senza porci alcun problema) a causa dello SPID. Una questione pratica, la versione di oggi di “mi si è rotta la serratura”. Eppure lei – lo capisco bene, lo ho vissuto nel 2012 assieme ad altra gente impazzita, per un cambio di gestionale ma in una situazione in cui ti senti in pericolo di vita, per il lavoro, il futuro – ha aspettato giorni anche solo per guardare un’accesso alla pubblica amministrazione per ritirarsi le buste paga a causa di questo spauracchio tecnologico. Per lei invece si tratta di un ostacolo insormontabile. Boomer di nascita (“solo i boomer usano la parola boomer ormai” cit) la tecnologia la spaventa e di rimando ci ragiona in modi suoi. Ma sono tante queste persone. Più di una volta ho pensato a corsi di “accesso alle cose”. Hanno sempre e solo problemi di password, di login, alla fin fine.

E “hanno” forse è ingiusto: ne ho anche io con un certo conto online che ha esagerato davvero.

Ma lei è in stato di prostrazione, ha già depressione e altro casino, paura per il lavoro, cose da fare, sensi di colpa accatastati, eccetera. Sfangarla ogni giorno da sola contro il mondo, sentire di mancare a dare una mano ai miei, o di non fare quelle cose che le hanno chiesto – burocratiche anche queste, relative alla casa – sono tutti pesi. E la tecnologia diventa letteralmente metallo rovente su cui non vuole mettere le mani.

Questo lo risolveremo, e ok, non è davvero di questo che vi parlo.

Ma del caos di doveri e pensieri dolorosi, di stress fisico e psicologico che, una volta rimosso, non necessariamente lascia spazio alla voglia di esistere. Togli l’infiammazione, togli il dolore e vedi comunque l’insensato ed il bilancio. Nonostante ciò, ha senso, proprio per non agire (a meno che non si voglia usarlo consapevolmente come un trampolino) sotto un impulso di fitta di dolore. Lo togli, ci pensi, capisci se vuoi davvero vivere. Il dolore potrebbe essere più sistemico, più intrinsecamente correlato alla indesiderabilità di vivere, lontano dalla spinta biologica di sopravvivere, in una qualità per noi non soddisfacente. Certo, se intanto ti prendono a sprangate in testa, per me, vale la pena impegnarsi a porre fine a quella situazione contingente. Poi, una volta ragionato, potresti decidere che al prossimo che spranga puoi chiedere di farlo con colpi più secchi e decisi, senza opporre resistenza e grato/a dell’aiuto.

Life is not a free ride

Ed è questo il presupposto sul quale è basato il mio viziatissimo non-desiderio di esistere. L’esigenza stessa è creata dall’essere, esistere, essere in vita costa energia. Quel costo lo devi pagare tu. Il bene per cui deve essere pagato questo costo è la vita. Vuoi questo bene per cui devi pagare quel costo? Decidi tu? La rinuncia ha in sé una crudele minaccia di sofferenza, se scegli “no grazie”.

Ora un dipinto del momento. In cuffia sento una soave musica di Rakia Traore (cercatevi la grafia corretta), uso chat-GPT plus (GPT-4) per trasformare la mia umanissima descrizione di ciò che rappresenta l’immagine che considero, nell’insieme delle molte che scattai, in questo caso nel 2016, in lingua Italiana, in: due riassunti in lingua inglese di massimo 200 caratteri, sette descrizioni di massimo 7 parole, e 50 keyword pertinenti separate da vitgole. Nel microstock questa parte di merda è davvero una rottura di coglioni e non è affatto fotografia. Ma è lavoro. Così come è lavoro aver scelto per una selezione del gruppo Luminar Ai per fare un lavoro, a tutte le foto che ne contengono, agli occhi nonché per applicare uno stile di colore modaiolo, che non sono solo delle LUT. Diciamo una cosa che forse delle azioni di photoshop potrebbero fare. Ma insomma sono dei template e si fa infinitamente prima. Spesso, per questo genere di lavoro, prima, in Adobe Bridge, usando Adobe Camera Raw ed il masking Ai, posso – e lo faccio – mettere in luce le persone dopo aver sistemato la luce generale della scena. Che bello eh? La chiamiamo fotografia? Non lo è, è postprocessing, in certi casi pittura digitale, postproduzione, editing.

Non è sintografia.

Perché alla base ci sono centinaia di foto che ho fatto in location con una persona, in quel luogo, con quei colori e quella luce.

Tra un po’ tutto questo aiuto per i lavori da sbadilare diventerà una condanna? Chi lo sa. Magari per un evento, un matrimonio, per tutto ciò ceh ha ancora una relazione umana tra umani, mediata da qualcosa, ma di base ancora umana, sarà strumento. Altrimenti sarà sostituto.

Le mie innumerevoli elucubrazioni sull’utile, sul rispetto, sull’esperienza, similmente a ciò che fecero tanti anni fa quelle sulla professionalità, tornano a frullare e rifrullare… ma mi trovano pronto quando qualcuno mi parla di rispetto per gli anziani ed altra roba che comprende certamente il sentimento, ma che va considerata anche con tanto raziocinio: raziocinio sul sentimento. La parte logica che considera quella non logica come un postulato e da quella parte a ragionare.

“Lealtà e bisogno” (meh)

Mi rendo conto che molti usano le iA per questioni pragmatiche. Ma ecco una testimonianza, tra le mie tante, di quello che ci faccio io, oltre a farla sgobbare per il keywording.

A:

“lealtà e bisogno non sono la stessa cosa” dice qualcuno; “la dedizione a qualcosa, data come scelta, è diversa dal darla per bisogno”.
A mio avviso tutto si gioca sul concetto di “bisogno” che in questo contesto mi risulta ambiguo oltre che in vari casi scelta e bisogno corrispondono.

B:

Hai sollevato un punto interessante e complesso. Infatti, la distinzione tra “lealtà” e “bisogno” può essere molto sfumata, a seconda di come interpretiamo il termine “bisogno”.

Se per “bisogno” intendiamo una necessità fondamentale, un impulso primario, allora la lealtà può sembrare qualcosa di diverso. La lealtà è spesso vista come una scelta, un impegno voluto e mantenuto verso una persona, un ideale o una causa. In altre parole, la lealtà presuppone un certo grado di agenzia e decisione consapevole.

Tuttavia, potrebbe esserci un “bisogno” di un altro tipo, un bisogno emotivo o psicologico. Ad esempio, potremmo sentire il “bisogno” di essere leali a qualcuno o qualcosa perché ci dà un senso di appartenenza, identità o sicurezza. In questo caso, “bisogno” e “lealtà” possono sembrare molto più interconnessi.

Come hai detto, la chiave è come interpretiamo il concetto di “bisogno”. Se lo vediamo solo come un impulso primario, allora la lealtà e il bisogno possono sembrare molto diversi. Ma se lo consideriamo in un senso più ampio, includendo bisogni emotivi e psicologici, allora la lealtà e il bisogno possono effettivamente sovrapporsi in molti casi.

Ovviamente, queste sono solo alcune delle possibili interpretazioni. La relazione tra lealtà e bisogno può essere interpretata in molti modi diversi, a seconda della prospettiva che si adotta.

A:

Ottimo, ti ricodo che in italiano “agency” come lo hai tradotto tu, ossia “agenzia” non è corretto.

B:

Hai perfettamente ragione, mi scuso per l’errore. Il termine “agency” in inglese viene spesso utilizzato in psicologia e filosofia per indicare la capacità di un individuo di agire in modo autonomo e fare scelte personali. In italiano non esiste una traduzione diretta di questa parola in questo contesto. Una migliore traduzione potrebbe essere “autodeterminazione” o “capacità di agire autonomamente“. Grazie

Scelta di interrompere volontariamente la vita.

Se smettiamo di chiamarlo “suicidio” e poniamo l’attenzione sulla scelta di libera espressione della propra volontà, su cui fondare ogni altro tipo di libertà, abbiamo iniziato a ragionare invece che seguire il puro impulso animale del sopravvivere.

Ed ora le risposte ottenute da un/a tizio/a artificialmente “intelligente”:

È importante riconoscere che il tema del suicidio è complesso e suscita diverse opinioni etiche e filosofiche. Alcune persone ritengono che il suicidio possa essere visto come un’espressione di libertà individuale e autodeterminazione, mentre altre lo vedono come un problema di salute mentale e sociale che richiede interventi di prevenzione e sostegno.

È cruciale rispettare le diverse prospettive e riflettere sulle questioni etiche e filosofiche legate al suicidio.

Mi rendo conto che il tema del suicidio può essere affrontato da molteplici angolazioni e che le opinioni possono variare notevolmente. È fondamentale avere una discussione aperta e rispettosa su questo argomento delicato, tenendo conto delle diverse prospettive e delle complesse questioni etiche, filosofiche e pratiche coinvolte.

Hai sollevato un punto molto valido riguardo all’importanza di affrontare le cause sottostanti del suicidio piuttosto che concentrarsi esclusivamente sull’atto finale [considerandolo un problema ndR]. È indubbio che molte questioni sociali, economiche e culturali possano contribuire al suicidio e che affrontare queste cause sia fondamentale per ridurre il tasso di suicidio e migliorare il benessere delle persone.

Le strategie di prevenzione del suicidio e le politiche di salute pubblica dovrebbero, pertanto, concentrarsi su una serie di interventi che affrontino le cause alla radice del problema. Tra queste azioni rientrano:

  • Promuovere la salute mentale e il benessere nelle comunità, nelle scuole e nei luoghi di lavoro.
  • Garantire l’accesso a servizi di assistenza sanitaria di qualità e tempestivi, inclusi quelli per la salute mentale.
  • Ridurre la povertà, la disuguaglianza e l’esclusione sociale, che sono fattori di rischio noti per il suicidio.
  • Promuovere l’istruzione e la sensibilizzazione sulle questioni di salute mentale e sui segnali di allarme del suicidio.
  • Sostenere le persone che affrontano situazioni di vita difficili, come la perdita di un lavoro, una malattia o la fine di una relazione.

Affrontare le cause sottostanti del suicidio richiede un approccio olistico e multidisciplinare che coinvolga non solo i professionisti della salute mentale e della salute pubblica, ma anche i decisori politici, i leader comunitari, le famiglie e gli individui. Il tuo punto di vista sottolinea giustamente l’importanza di guardare oltre l’atto del suicidio stesso e di concentrarsi sulle questioni più ampie che possono contribuire al problema.

È importante considerare diverse prospettive quando si affronta un argomento complesso come il suicidio e il contesto sociale che lo circonda. Ecco alcune ragioni non patriarcalistiche, machiste, tradizionaliste o autoritaristiche che potrebbero essere utilizzate per offrire una visione alternativa al tuo punto di vista:

  • Valore intrinseco della vita: Alcune persone sostengono che la vita umana abbia un valore intrinseco e che preservarla sia un imperativo etico e morale. Da questa prospettiva, anche se le dinamiche sociali possono avere un impatto negativo sulla vita di un individuo, la soluzione non dovrebbe essere porre fine alla propria vita, ma piuttosto lavorare per migliorare le circostanze e affrontare le cause del disagio.
  • Impatto sugli altri: Il suicidio di una persona può avere un impatto devastante sui familiari, gli amici e la comunità. Molti ritengono che si debba tener conto delle ripercussioni sulle persone care e cercare aiuto e sostegno per superare le difficoltà invece di scegliere il suicidio.
  • Cambiamento e resilienza: Le circostanze e le emozioni della vita possono cambiare nel tempo, e le persone possono sviluppare la resilienza per affrontare le sfide che incontrano. Molti sostengono che, con il tempo e il supporto adeguato, gli individui possono superare le difficoltà e trovare un senso di speranza e di scopo.
  • Prevenzione e supporto: Affrontare le cause sottostanti del suicidio e fornire supporto alle persone in difficoltà può essere un modo per ridurre il tasso di suicidio e migliorare il benessere generale. Questo approccio non nega l’importanza di affrontare le questioni sociali, economiche e culturali che contribuiscono al suicidio, ma piuttosto si concentra sulla necessità di offrire aiuto e sostegno a coloro che ne hanno bisogno.
  • Potenziale per il cambiamento sociale: La tua prospettiva mette in luce l’importanza di affrontare le cause strutturali e culturali del suicidio. Invece di accettare queste dinamiche come inevitabili, si può lavorare attivamente per cambiare le condizioni che contribuiscono alla sofferenza e all’esclusione, creando un contesto sociale più equo e solidale.

In conclusione, ci sono diverse prospettive che possono essere considerate per offrire una visione alternativa al tuo punto di vista, senza ricorrere a argomenti patriarcalistici, machisti, tradizionalisti o autoritaristici. Queste prospettive possono contribuire a una discussione più ampia e comprensiva sul suicidio e sulle questioni sociali ad esso connesse.