Conchiglie alla CDC dello chef Stigh Hanzee

Lavoro. In questo momento sistemo testi per un sito, scrivo cacate per social media marketing, sistemo liberatorie di nudo fatte con lei e mi accerto che la modella non-di-nudo (lavoro vero) di oggi si ricordi; nel frattempo sistemo le foto di ieri sempre per cacate social; ma tutto questo avviene a casa mia. Quindi a 2 metri c’è la cucina. Ho messo a bollire le conchiglie (in alcuni posti le chiamano “gnocchetti”) di una marca di grande qualità, tipo 50 cent a pacco. Per ora non si sono dimostrate diverse dalla Garoffalo, sinceramente: ma può darsi che non capisca un cazzo, ovviamente.

foto a caso

Carboidrati a pranzo, con una piccola fonte di proteine. Verdure quanto vuoi, che servono solo a riempire la panza. Questo diceva la nutrizionista. Allora ok, facciamo 80g, pensavo di fare pasta fredda, boh, ora vedo. Ah lo speck di ieri. C’era tanto grasso… beh ok, idea: quando la pasta cucina e la scolo, metto un tot di speck sminuzzato, con tutto il suo grassetto, nella pentola calda, quella della pasta (per non sporcare altro, mica per genio) . Mh. Non abbastanza calda. Allora riattacco il fuoco… ok, il grassetto fa da condimento, così nonsgarro troppo, tic tic, lo smuovo… si scotta … si ok. Mh… Continue reading →

lo spreco di cibo non toglie cibo a nessuno

Gira un video che mostra le fragole coltivate, quindi acquistate, assaggiate appena e lasciate marcire fino ad essere buttate nel cestino.

Lo spreco di cibo è eticamente scorretto solo in modo astratto. Ma non genera nulla. Devo essere crudo e diretto in questo: se compro le fragole o non le compro faccio la differenza economica della catena che le fa arrivare a me. Se le compro, qualcuno lavora, guadagna.
Se non le compro no. Ma in questo lo spreco non c’entra.
 
Se le compro e non le mangio – invece – succede la stessa identica cosa che se le comprassi e le mangiassi.
Non finiscono da chi ha bisogno, né se vanno a male e finiscono nel cestino ammuffite, né se le ingerisco tutte, diventano merda e finiscono nel wc. E in nessun altro caso finiscono da chi ha bisogno.
Se le compro e gliele porto, allora faccio la differenza: si, ma a quello sotto casa, non al resto del pianeta.
 
La complessità, riguardo ai milioni di persone che muoiono di fame nel mondo, non c’entra nulla col mio spreco. E’ un insulto alla loro condizione, eticamente. Ma solo in modo astratto. In concreto non è questo ad influire sulla loro fame.
L’unico che spreca sono io: le conseguenze delle mie azioni sono tutte mie se compro e spreco il cibo.
Per cambiare le cose presso chi non ha cibo, non devi svuotare il tuo piatto quando ti viene riempito. Il mondo è più complesso di così.
E chiederti, invece, cosa devi fare, è la direzione giusta.

Depressione e mondo del lavoro (o del business)

Avete mai guardato i sintomi (cardine e/o associati) o le caratteristiche della depressione maggiore ? E’ probabile che lo abbiate fatto solo se ne siete affetti o se vi sembra (o siete certi) che un vostro caro ne sia affetto; quindi è un peccato che a questo discorso non si accostino tutti quei baldanzosi spaccamuri che poi magari se ne escono con i vari maddaaaaaaaaaaai e altre frasi alla seisolopigro stile venditori in postipnosi da PNL.
Ma i sintomi li avete letti? Cercatevi una fonte attendibile e date un’occhiata. E’ una malattia, badate bene.
Eppure ognuna delle cose che il depresso ritiene di sé o della vita potrebbero essere di per sé valide (davvero non serve a nessuno, davvero non sa fare niente, davvero non vale nulla per nessuno – dispiacere dei parenti a parte – davvero ha sempre sonno, davvero le condizioni non si risollevano per motivi che basta seguire assieme per concordare sulla loro fondatezza, senza ricorrere alla “speranza” che di per sé è già indice di un problema) …
Ecco, supponiamo che il patologo dica “ah, consideri di non valere nulla ma non è vero, sei depresso”. Ok, il tipo è malato? Ok, è malato. Poi legge gli annunci sul giornale e sembra che il giornale sia malato anche lui, perché il messaggio che gli manda è “non vali un cazzo, di annunci per te non ce ne sono”. Poi si devono essere ammalate anche le aziende perché quando il tizio manda i curricula in giro per il pianeta nessuno gli risponde. Poi quando il tizio pensa che sa fare questo o quest’altro a nessuno serve, lo sanno fare anche loro uguale o anche meglio e comunque di certo non pagherebbero perché quella tal cosa venisse fatta; devono risentire anche loro della malattia di Tizio, no? Sicuramente.
Vediamola dalla parte del superbo, del critico, del capace, di qualcuno che deve riconoscere il valore di altri per qualche motivo. Ognuna di queste persone NON riconoscerà alcunché a Tizio. Gli mancherà sempre qualcosa. Non sarà mai bravo come Caio, non è possibile pagare la cifra taldeitali perché “cosa ci vuole a fare quello che fa? Lo posso fare anch’io” o “lo può fare uno più giovane, più vecchio, più esperto, più simpatico, meno costoso, più qualcosa, meno qualcos’altro.
Bene.
Allora Tizio è malato o no? Sono tutti malati con lui?
La pecora che bruca l’erbetta non ha questo problema. Lei vive. Non preda, ma potrebbe venire predata, certo. Ma, aggressioni a parte, le basta brucare e non procreare eccessivamente.
Se “la norma” dice che tu operaio devi fare cento pezzi all’ora e tu non li fai, allora tu non sei depresso, tu non vali un cazzo. Se tu muratore devi fare 4,5 metri di muro in una giornata e tu ne fai 3,5, tu non vali un cazzo.