Citazionismo culturale in un mondo che corre

Non comprendete forse “d’oh”, Monsieur Dausserniere?

Trovatevi ogni giorno di fronte ad una macchinetta del caffè, per vent’anni, in un ambiente semi-industriale, in cui quindi sia condivisa una differente tipologia di popolazione. Diciamo la classica operai-impiegati? Va bene. Ogni giorno. Ad un certo punto vi renderete conto di cosa si parla, lavoro a parte. Di cosa si ride, soprattutto. Lasciamo perdere i selezionati amici che si incontrano.

Una delle cose su cui fare i raffinati che “si intendono” è condividere qualcosa, condividere un retroterra culturale? Cosa potrebbe voler dire? Un vissuto comune? In una fabbrichetta di 150-200 persone… cosa potrà essere? Dipende dalle fasce d’età, dalla zona di provenienza. Gente di paese? Quindi conoscenze comuni, comportamenti, personaggi noti.

La TV, ovviamente.

Prima che fosse la TV a fornirci un terreno (schifoso) comune , tra chi se lo poteva permettere, si trattava della letteratura. Niente cinema. Avere riferimenti culturali di altro genere (musicale? Per fare una battuta? Troppo nerd). Una citazione la “sentivi” se avevi letto e ricordavi tal dei tali… i classici, o magari si aumentava la raffinatezza (e la presunta acutezza) se erano di difficile reperimento, se avevi superato il numero di classici, se avevi letto i francesi, i russi, che so.

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la forma dell’acqua MI ARRENDO

Ho provato non a leggere, bensì ad ascoltare, letto da un bravo lettore con pronuncia impeccabile, con piena conoscenza del dialetto, che dava lo spazio giusto, l’evidenza e l’accento “La forma dell’acqua” di Camilleri. Non ce l’ho fatta. Mi sembra uno di quegli esercizi di dizione che fanno gli attori per mostrare che possono pronunciare correttamente in dizione qualsiasi cosa, qualsiasi parola inesistente, inventata al volo, magari col solo scopo di essere di difficile pronuncia.

Abbandono. E ringrazio sempre Pennac per questo.

Passo a “il Giardino dei Finzi Contini” letto da Marco Balliani. E intanto faccio editing a bomba.

un granello di polvere in terra

Sono circondato, letteralmente, da libri. Certo, per la maggior parte non sono miei. Certo alcune sono vecchisime enciclopedie. Certo, alcuni sono manuali di cucina.Certo un sacco sono vecchissime riviste. Molte opere sono puramente grafiche ed alcune, poche per dire il vero e per quel che vorrei, sono fotografiche. Tantissima illustrazione per l’infanzia. Quintali di dvd. E una quantità di narrativa fantastica, di un certo tipo, con un filone noir, con ambientazione ottocentesca, oppure libresca. Favole. Comunque molto crime. E poi fantascienza, fantascienza. Quella che non ho dato via. Che non è poi tanta. E la roba che devo ancora leggere. Che è troppo, anche se non è tantissima.

Attorno alla mia postazione, sopra, a lato, libri. In entrata libri. Narrativa per ragazzi. Cataloghi della Elekta, della Letraset persino! Letraset!!!! Volevo leggerti qualcosa, un altro incipit. Ma niente è alla tua altezza. Sarebbe solo un esercizio per far risuonare una voce di un testo a caso. Non rispondere, non qui. Il post va bene qui, ma non noi, noi siamo noi. non rispondermi qui. Mi sento così, una piccola cosa vergognosa. So leggere, ecco. Questo mi sento di dire. Salve, ho imparato a leggere decentemente alle elementari. Rispetto a quanto puoi aver mangiato con gli occhi la testa ed il cuore, questo mi sento di poter dire. Posso prendere in mano un testo e riconoscere i caratteri, le parole, la punteggiatura, metterla assieme, comprendere almeno il livello di significato primario. Ansia da prestazione letteraria? Che sia solo il giorno sbagliato? Penso quasi di tirare su un Murakami sbagliato, tanto per stare un po’ sopra la mia media di letture. Che nemmeno lo sono più. Un libiro di cui mi sono segnato il titolo qualcosa come 12 anni fa, credo. Che ho comprato e non letto. E’ qui a fianco a me, da tanto. Ma è più falso del Pinocchio, che era un vero gesto spontaneo, una cosa mia, che fa davvero parte della mia vita.

Penso a Gassman, ti leggerei l’elenco del telefono. Una ricetta. Ma non sono Gassman, nemmeno l’esercizio di stile mi posso permettere. Mi sento vuoto. Un nulla. Se fossi forma, potrei venire a prendere il contenuto, la sostanza, da te. Ma non sono forma. E la forma non ti interessa. Sono solo una persona. Mediocre. Ti posso dare questo. Ma volevo farti un piccolo regalo di mezzo pomeriggio. Solo che ogni cosa che vedo attorno a me e dentro di me, mi sembra il nulla. Certo io sono un po’ scemo. A quello posso attingere. E anzi, mi viene in mente il fondamentale libercolo. Solo che non so dove sia. Uff non lo trovo. line non c’è. Cercando ho trovato altro, per altre persone, Un tipo che mi aveva chiesto di imparare tutto dei fotografi nel mondo. Ricordavo il volmetto… ma poi mi sono perso. Era Taschen? Era Phaidon? Uno dei due… costava poco… c’era molto… ma dov’è? Eccolo, per cercare per te, ho trovato per lui.

E ora vorrei mandarti una cosa piccola. E non so quale sia. Ma forse ho una idea scema. Mi piace ma… non so se si faccia. Si fa? No, forse questo non si deve fare. Una cosa tua, leggerti una cosa tua. No. Non si fa. Mh… cercacercacerca.

Mh. Beh questo non fa schifo. Ma non è all’altezza. Beh ma è solo merenda, dai. Facciamolo. Arrivo. Qualcosa voglio fare. Qualcosa. Da me a te.

il bisogno è un obbligo (ai vari “ce n’era davvero bisogno?”)

attore

Leggevo un sempre interessante Roberto Cotroneo relativamente alle presentazioni del libri, sempre più spettacolarizzate. La riflessione è condivisibile e, in parte, se non in tutto – nell’ambito del “duri e puri” – io stesso mi sento e la penso così.

Ovverosia ho sempre pensato che alle inaugurazioni non si deve mangiare e bere, alle presentazioni non si chiamano gli amici per riempire la sala ma per cortesia, che non devi basare il successo di ciò che hai fatto su parenti ed amici, che, se possibile, proprio il successo non lo dovresti cercare, se hai prodotto un determinato tipo di opera, con un determinato intento. Ovvio che la dicotomia dell’autore “nessuno mi caga quindi faccio schifo” / “mi cagano in pochi ma è gente che sa” esiste… ti chiedi se lo hai fatto solo per te stesso ma allora ti chiedo io perché rendere pubblico cio che fai… eccetera. Solita roba.

Le mie obiezioni sono due: la prima è sulla divisione “saperi / emozione” la diffusione del sapere non è obbligatoriamente separata dall’emozione. E spesso, visto che si parla del salire in cattedra, quindi di insegnare, non si tiene in considerazione quanta parte di studenti apprende a causa della passione di chi trasmette il sapere: ti emoziona sapere, pensa un po’. Non solo sai, ma ti piace. Non solo conosci, ma ami conoscere. Non solo ragioni e ragioni su basi culturali, ma ne godi, provi piacere, ti stupisce ogni giorno la meraviglia di quello che stai trattando, e non perché sei tu che la tratti, ma perché è roba fica, roba forte e non importa se per gli altri è noiosa. Continue reading →

quanto potete essere belle

Non conosco la storia e non conosco nemmeno la pratica… chi o cosa ci sia sotto il tavolo … ma è meraviglioso 🙂
E’ una serie di video, ma questo è molto carino… andrebbe visto come un crescendo, sono quasi 7 minuti… ma potete andare verso i 5 e mezzo … però poi basta andare avanti veloci: si guarda e si ascolta… e si sorride. Perché la bellezza può esplodere, un sorriso di quei momenti. Splendore! 🙂
Per gli amanti dello SPOILER: questa ragazza cerca di leggere il testo mentre arriva all’apice del suo piacere. Ed è bellissima mentre sorride 🙂

Faccio volentieri il levinski della situazione se sorridete così: evviva al gioia!

massimo rispetto per Jonathan Franzen

Io mi occupo di informatica e tecnolgia per vivere. Sono nato negli anni 70 e ho vissuto gli anni della crescita fino all’adolescenza in pieni anni 80. I computer erano fascino e scienza per noi, ma comunque non eravamo certo nemici: o li amavi o non ne sapevi assolutamente nulla.

Quindi non è che i computer non mi piacciano e la tecnologia mi trovi ostile. E’ il MARKETING che la spinge al posto del desiderio di progresso vero, che mi fa essere COMPLETAMENTE D’ACCORDO CON FRANZEN.

La cultura richiede sé stessa per vivere

perle ai porci

ai porci le perle non interessano

La decadenza, la corruzione di molte cose dipende da – no, aspettate un attimo! – mancanza di cultura. Una cultura comune – intendo. Naturalmente vorrei parlare di cose belle, musica e arti varie. Ma per capire il meccanismo, secondo me, è sufficiente osservare la cultura popolare locale.

Supponiamo che nella vostra regione si confezioni un insaccato tipico delle vostre zone. Ebbene la cultura è anche questo: è esperienza, “know how” sia di chi fa (e chi sa fare) sia di chi consuma e vuol spendere bene e godere per ciò che paga, sia di chi vende … La nonnina che andava dal macellaio qualche decennio fa (e anche oggi, se avete ancora questa fortuna) sapeva ben contestargli la merce e farsene dare una migliore mentre l’incolto, quello che non sapeva distinguere la roba buona da quella cattiva, era comunque riconosciuto sia dal negoziante che dagli altri abitanti della cittadina: palato di capra, non capisce niente, gli si può rifilare qualsiasi cosa… e così via; ma secondo chi? Secondo tutti: è cultura comune “tutti sanno che”. Talvolta sbagliato, ma se si può insegnare, allora significa che queste regole comuni possono essere codificate, per decidere la qualità.
Questo esempio mangereccio è basilare per comprendere che il background culturale del “pubblico” è essenziale per l’esistenza stessa della cultura, specie in presenza di un problema economico.
Se io faccio i salami più buoni del mondo ma la gente ha perso il gusto di mangiare quelli fatti in un certo modo, io posso essere il maestro salamificatore più encomiabile del mondo, ma non c’è nessuno che lo sappia riconoscere: il mio prodotto od uno infimo diventano la stessa cosa agli occhi di chi non ha la cultura comune: che sono mai le perle per i porci? Un fastidio, un sasso duro in mezzo alla ben più utile manduca melmosa. Melma che per i porci è un bene desiderabile e per la quale pagare anche con della fatica, se del caso.

Se uno non sa riconoscere la buona scrittura, forse non promuoverà, acquistando, i libri di buoni scrittori, e così per film, fotografi, artigiani di ogni tipo, artisti di ogni altro, professionisti di qualsiasi genere, grado, scienza od arte. Ecco perché l’ignoranza produce anche questo danno: abbassa la qualità disponibile che la eleverebbe.

E chi guarda le vendite, ovviamente, dice “vogliono la merda? Gli diamo la merda, quanta ne vogliono, nessun problema: se la vogliono produrre da soli? Se possiamo vendergli culi a basso costo, why not?”