Conchiglie alla CDC dello chef Stigh Hanzee

Lavoro. In questo momento sistemo testi per un sito, scrivo cacate per social media marketing, sistemo liberatorie di nudo fatte con lei e mi accerto che la modella non-di-nudo (lavoro vero) di oggi si ricordi; nel frattempo sistemo le foto di ieri sempre per cacate social; ma tutto questo avviene a casa mia. Quindi a 2 metri c’è la cucina. Ho messo a bollire le conchiglie (in alcuni posti le chiamano “gnocchetti”) di una marca di grande qualità, tipo 50 cent a pacco. Per ora non si sono dimostrate diverse dalla Garoffalo, sinceramente: ma può darsi che non capisca un cazzo, ovviamente.

foto a caso

Carboidrati a pranzo, con una piccola fonte di proteine. Verdure quanto vuoi, che servono solo a riempire la panza. Questo diceva la nutrizionista. Allora ok, facciamo 80g, pensavo di fare pasta fredda, boh, ora vedo. Ah lo speck di ieri. C’era tanto grasso… beh ok, idea: quando la pasta cucina e la scolo, metto un tot di speck sminuzzato, con tutto il suo grassetto, nella pentola calda, quella della pasta (per non sporcare altro, mica per genio) . Mh. Non abbastanza calda. Allora riattacco il fuoco… ok, il grassetto fa da condimento, così nonsgarro troppo, tic tic, lo smuovo… si scotta … si ok. Mh… Continue reading →

La cultura richiede sé stessa per vivere

perle ai porci

ai porci le perle non interessano

La decadenza, la corruzione di molte cose dipende da – no, aspettate un attimo! – mancanza di cultura. Una cultura comune – intendo. Naturalmente vorrei parlare di cose belle, musica e arti varie. Ma per capire il meccanismo, secondo me, è sufficiente osservare la cultura popolare locale.

Supponiamo che nella vostra regione si confezioni un insaccato tipico delle vostre zone. Ebbene la cultura è anche questo: è esperienza, “know how” sia di chi fa (e chi sa fare) sia di chi consuma e vuol spendere bene e godere per ciò che paga, sia di chi vende … La nonnina che andava dal macellaio qualche decennio fa (e anche oggi, se avete ancora questa fortuna) sapeva ben contestargli la merce e farsene dare una migliore mentre l’incolto, quello che non sapeva distinguere la roba buona da quella cattiva, era comunque riconosciuto sia dal negoziante che dagli altri abitanti della cittadina: palato di capra, non capisce niente, gli si può rifilare qualsiasi cosa… e così via; ma secondo chi? Secondo tutti: è cultura comune “tutti sanno che”. Talvolta sbagliato, ma se si può insegnare, allora significa che queste regole comuni possono essere codificate, per decidere la qualità.
Questo esempio mangereccio è basilare per comprendere che il background culturale del “pubblico” è essenziale per l’esistenza stessa della cultura, specie in presenza di un problema economico.
Se io faccio i salami più buoni del mondo ma la gente ha perso il gusto di mangiare quelli fatti in un certo modo, io posso essere il maestro salamificatore più encomiabile del mondo, ma non c’è nessuno che lo sappia riconoscere: il mio prodotto od uno infimo diventano la stessa cosa agli occhi di chi non ha la cultura comune: che sono mai le perle per i porci? Un fastidio, un sasso duro in mezzo alla ben più utile manduca melmosa. Melma che per i porci è un bene desiderabile e per la quale pagare anche con della fatica, se del caso.

Se uno non sa riconoscere la buona scrittura, forse non promuoverà, acquistando, i libri di buoni scrittori, e così per film, fotografi, artigiani di ogni tipo, artisti di ogni altro, professionisti di qualsiasi genere, grado, scienza od arte. Ecco perché l’ignoranza produce anche questo danno: abbassa la qualità disponibile che la eleverebbe.

E chi guarda le vendite, ovviamente, dice “vogliono la merda? Gli diamo la merda, quanta ne vogliono, nessun problema: se la vogliono produrre da soli? Se possiamo vendergli culi a basso costo, why not?”