non tanto smargiasso

Non vado avanti come una schiacciasassi, un rullo compressore, un trattore con questa cosa. Con i nudi di donna. Ho una mia visione, un mio sentire. Ma quando mi trovo di fronte a visioni ed obiezioni di un certo tipo, pur sapendo quel che voglio fare, io non sono insensibile alle obiezioni. Le contesto, ne discuto, non mi piego o mi fermo solo perché qualcuno mi giudica. Tuttavia quello che prima di tutto non posso accettare è che una mia modella si senta offesa nei pressi della sessione fotografica di nudo alla quale partecipa. Continue reading →

su emotività e populismo barocco: lo faccio (1 di 2)

Mentre mi accingevo a scrivere che quello che faccio è inutile, per fortuna mi sovviene che ogni cosa inutile per cui viviamo è spesso sorretta dalla sopravvivenza, utile per necessità. La nostra solita utilità dell’inutile.

Michele Smargiassi, nel suo blog “fotocrazia”, presso Repubblica online, nel suo articolo sul barocco-populismo mi fa riflettere sul parallelo, che non mi sento di confutare, anzi, su quella definizione di Barocco e sul populismo. Credo si basi sulla definizione di “barocco” che diede nel precedente articolo, che a sua volta si basa su riflessioni tratte dal libro di Mario Tozzi “Tecnobarocco” (che non ho letto ma una malattia recentemente rinata mi spingerebbe a procurarmelo di corsa, accidenti a te, come direbbe qualcuno).

Parte 1: Tecno
Non avendo ancora letto il libro di M.Tozzi sento di sentirmi molto Barocco in quanto a quella che viene definita “eccedenza” nella (desiderata) complessità (non complicazione) dei comandi disponibili. Quando mi viene richiesta semplicità mi scogliono parecchio, come homo tecnologicus: la tecnologia “facile” è “schiaccia un bottone, ottieni risultato”. Ma a me interessa sempre ottenere quel certo risultato. Quindi ok, viva la tecnologia, ma con i parametri variabili: cosa che invece stressa il cazzo a tutti quanti, di solito. La classica differenza mac-windows, per non parlare di linux. Sono quelle cose dove devi sapere quello che fai per farlo bene.

Chiunque abbia seguito questo blog in anni che furono sanno che nonostante la mia “vita nerd” non ho accettato l’avvento degli smartphone senza resistenze. Le mie resistenze hanno una storia. Se non te le spiego non puoi capire da dove proviene il mio fastidio. Il mio fastidio proviene dalla storia dell’informatica. Sicuramente un vecchio esperto tratterebbe me allo stesso modo: l’informatica è scienza. I computer, tutti i computer, non sono elettrodomestici. E si, sono al nostro servizio, ma proprio com’è la scienza. Ha quella natura. Devi avere fatto i compiti a casa, devi accarezzare la testa del cavallo perché sia docile e non scalci. Magari ti farà correre, salterà gli ostacoli, ti farà fare meno fatica, ma non se pensi di saltare davvero dalla balaustra del secondo piano sul groppone del cavallo di Zorro senza aver mai strigliato un cavallo.

Se non lo spiego non lo puoi capire: e ancora non l’ho fatto. La natura del mezzo informatico è scientifico e tecnologico. Per quanto io non sia un amante dell’hardware, della parte elettrica o qualsiasi cosa meccanica, riconosco che questa scienza è molto tecnica. La matematica che ha generato tutto questo è molto lontana: sta più che altro nei processori. Tuttavia non sono frullatori o stufette. Ogni cosa che ha teso a semplificare il sistema operativo o i programmi (i cosiddetti “software applicativi” o “applicazioni” e oggi “app”) ha reso questo mezzo più idiota e meno versatile, meno macchina e quindi meno automatizzabile. Cosa che invece è nato per fare: fare lui, fare al tuo posto, fare per te, fare milioni di volte prima di te, fare milioni di cose che tu staresti una vita a fare. Certo, questa è una delle cose fattibili con queste macchine. Una volta nel mondo nerd girava il vecchio adagio “fai un programma che anche un idiota può usare e solo un idiota vorrà usarlo”. Ecco, ci siamo, mi verrebbe da dire. Ma naturalmente questo atteggiamento sulle interfacce è retrogrado. Il 2.0 e tutto il mondo apple hanno mostrato che c’è una miriade di cose che la semplificazione ha reso possibili a molte più persone. Anche su questo c’è qualcosa da dire.

Il modo in cui questo passo dopo passo nella semlificazione di mezzi ed interfacce ha portato alla nascita degli smartphone ma soprattutto alla loro diffusione di massa mi ha indisposto in questo modo: visto che avete creato degli strumenti che non richiedono impegno di alcun tipo io non ce lo metterò e mi incazzerò senza alcuna pazienza se queste cose facili non succedono subito, sempre e senza problemi. 

Non leggo le istruzioni di nulla o quasi. Eppure io sono uno di quelli che prima legge le istruzioni. Non mi informo granché: provo subito a fare e se non trovo in 10 secondi allora concludo senza pietà che “fa schifo” eccetera. E’ per partito preso ma non lo è. La mia posizione da bambino viziato è che il marketing ha vinto puntando su questo. E allora che questo sia, ma sul serio. Mi avete promesso questo e allora adesso lo fate.

Di solito questo significa puntare molto sull’hardware perché il buon software richiede analisi, sperimentazione, progettazione: tempo. E la moda, che guida l’uscita di questi prodotti, non te ne lascia molto, di tempo. Nuovo modello, nuova versione. Ci sono computer anni 80 con la potenza del bucodelculo di un pixel di questi smartphone che facevano cose incredibili. Qualcuno riesce a mandare avanti un webserver con un Commodore 64, se non sbaglio persino a pedali (letterale). Perché sfruttavano il mezzo pensando, programmando, ottimizzando.

Io adesso invece esigo pestando i piedini, facendo una smorfietta e con il mignolino alzato se il mio fottuto smartphone fico non fa qualsiasi cosa perché io voglio. Con altri computer ho sempre avuto la pazienza, il tempo. Ho pensato a come fare, studiato, unito i puntini. E quando le cose non funzionano per qualche motivo di solito se sai, appunto, come funzionano, risolvi. Ma ci sono sistemi che sono progettati per fare dell’utente un utente. Distaccando quindi il mezzo dal progettista all’utente finale: noi sappiamo, tu non importa, rivestiamo tutto con della bella plastica liscia bianca e curva e ti premi il bottone.

Io con gli smartphone premo il bottone.

Con il mio pc invece automatizzo quanta più parte del mio lavoro mi è possibile: faccio a mano tutto quello che devo (a mano = photoshop, che comunque anche lui … si evolve molto, e accetto in molti casi automatismi di cui ormai ho perso i passaggi sottostanti: sono utente) e poi ho creato con le mie sante manine e la poca conoscenza che ho, rispetto ad un vero programmatore, tutto l’automatismo che serve per inviare ad N agenzie il mio lavoro, senza faticare, correggendo errori umani oppure prevenendoli, controllandoli, facendomi promemoria. Io faccio l’umano, lui fa la macchina. E gliel’ho fatto fare io. Non è una protesi. E’ una macchina. Non è una estensione del mio braccio. Lo è la fotocamera, in parte lo è photoshop. Ma il computer fa il computer, da me.

(Continua)