deve essere inevitabile farsi del male?

Mary scrisse a Jonny, ad un certo punto. Lo osservava dalla luna. Lo osservava: una sagoma nera che faceva, diceva, raccontava, vagolava. Di tanto in tanto si erano gridati opinioni dal suo giardino alla luna. Talvolta Jonny cercava una corda con cui impiccarsi, ma non era mai quella giusta: troppo dolore, e io soffro già. Lei gli disse ti sento e lui sentiva lei. Non si erano mai visti in faccia. Lei gli aveva guardato dentro direttamente, col microscopio, fino a dentro le più minuscole cellule. Poteva chiedere ai mitocondri delle cellule sudoripare dell’ascella di lui “è vero quel che dice?” e loro avrebbero confermato o smentito. Era tutto scritto, chiaro, come lui voleva essere. Lui si conosceva, non poteva prescindere dal come lei fosse fatta fisicamente. Si conosceva. Sapeva che in astratto le menti e i cuori si possono intrecciare, fondere, compenetrare. Ma siamo umani, lui era umano, si conosceva, conosceva il suo punto più debole dell’essere uomo.

(C) Gianni De Conno per IBBY Italia

Mary prima raccontò, poi offrì il suo dentro. Poi diede tanto da poter essere vista fisicamente, sulla luna. John controllò coi propri occhi. Si volarono attorno a distanza per un po’. Jonny partì: lungo viaggio; meta: Mary. Mary non sapeva come Johnny fosse fatto davvero. Si incontrarono alla locanda della luna, si intrecciarono, si parlarono, si baciarono e fecero di tutto. E poi ancora, e poi altre volte. Poi Mary da Jonny. Il patto era semplice: stiamo bene. Imperativo. E anche un nuovo tempo: contemplativo presente. E il futuro, prossimo, sarebbe stata la volta dopo. Felici, presenti, io per te e tu per me. Sulla luna o nel tuo giardino incasinato. Quando erano l’uno per l’altra erano una cosa sola, bella, serena, felice, come respirare e ricordarsi cosa significa respirare quando ti manca l’aria. Era un rimando di gioia, da te a me, da me a te.

Mary conosceva Johnny dal tempo delle osservazioni dalla luna: sapeva cosa faceva con le donne, sapeva come soffriva, come godeva. Sentiva di non essere identica a quelle. Ma lo amava. Disse: io non ti basto. Lui disse e il suo corpo confermò, perché parlava da solo, che bastava. Mary insisté: so cosa vuoi e io non sono: quindi se ti capiteranno, prendile; ma dimmelo, non nascondermelo. E non dirmi che provi cose per me, belle, che però non provi.

Johnny mai pensò di mentire, né immaginava un motivo sensato per farlo. Invece amava farla felice, amava il suo amore, e che lei fosse felice e che stesse bene era meraviglioso, che avesse smesso di soffrire. L’omissione è menzogna? No, mai pensato. Nascondere è tradire? Certo, può. Se mi autorizzi è tradire? No. Non sono rapporti convenzionali questi. Erano strani: lui rientrato dal giardino, nella capanna di legno viveva con una donna; eppure era chiaro che non solo non c’era nulla da temere ma addirittura era un rapporto da invidiare: ex amanti che si supportavano perché la vita è dura. Mary non era sola, era madre. Una madre soldato, che difendeva il suo sommo bene con fatica e determinazione. Sotto attacco da chi un giorno l’aveva portata via dai problemi e poi gliene aveva causati altri. Sopportava, ed era pronta a contrattaccare, ora che il pericolo non era più per lei sola.

Jonny si chiedeva se Mary si stesse guardando indietro, pensando: sono tutti così. Tutti hanno un mazzo di fiori, ma è filo spinato colorato, io lo so. Sono tutti così. Fanno solo male e io sono stufa di stare male. Jonny era lo stesso prima e dopo, non era cambiato, era sempre lui: per parte sua lui stava bene, e ancora meglio stava quando la vedeva star bene, la sentiva star bene, essere felice, amarlo e amare amarlo.

Improvvisamente, di colpo, lei tornò sull’argomento: non mentirmi. Lui non capiva. Perché? Perché mi dici così? Su cosa? Mary ribadiva: non dirmi cose che non senti. E se vedrai qualcuno dimmelo. E lui ripeteva: no, non ti mento. E no, non andrò con qualcuno se devo dirtelo: mi asterrò, piuttosto.

E i pazzi fantasmi del caos, con le facce da giullari, saltellavano intorno a queste anime, sghignazzando e confondendo i pensieri. Che ancora una volta due persone felici si stavano per schiantare volontariamente su un muro di dolore, dal nulla, per nessun motivo. Quanto erano bravi quelli del caos, vero? Era così facile. Erano sempre portati, questi uomini e queste donne, a non accettare la gioia quando finalmente l’avevano. Dovevano subito guardare dietro, cercare lontano, annusare il vecchio dolore, cercarne di nuovo. Scommisero tra loro, tanto erano sprezzanti della razza umana, godendo del loro dolore, specie se nasceva ribaltando la gioia.

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viziatella in salmì

Lei mi manda un messaggio: oh hai a disposizione scanner e stampante? –  Io che vorrei dare una sfoltita ai capelli dietro, per quando ripartirò per la luna, col suo rasoio e soprattutto la sua capacità di farlo, penso che ne valga la pena: ok, dico, andiamo su negli uffici e ci arrangiamo. Ho pensato pure che non si fa alcun tipo di peculato: posso arrangiarmi in modo completamente digitale per quello che le serve.

Aggiunge: “così poi dormiamo in studio”.

Ci ha sempre provato a farlo diventare casa sua. Anche quando eravamo assieme. Io conosco la situazione eh, per carità. Ma so anche quando è necesità e quando è vizio. Faccio “no, su, fai la brava; ti ho spiegato. Se hai problemi veri, che ti senti di merda, che non ce la fai, sono qua” . “ma non riesco a dormire da sola”.
“bimba mia… procuratene un altro, di bambolotto, eh? 🙂 Dai” “ma vengo già in pigiama!” “e questo cosa risolverebbe del fatto che non dormi a casa tua?” “mhpf… uff” “dai, ti fai le tue cose burocratiche, sei gentile e mi tagli ‘sto pelame sulla nuca e poi vai a nanna a casa TUA, perché non sei sola al mondo, i tuoi esistono” “fa freddooooo, non accendono la stufa!!!” “puoi comprare anche tu la legna, puoi persino portarla tu che ti vanti di fare stacchi da 100 kg” “gneeeeee!” “si, mi pare che GNE sia l’argomento 🙂 Dormi da te ok? Dovresti insegnare ai bambini come comportarsi… per fortuna non lo sa nessuno, dai. ” “GNEEEE!!!!” “e lava mutande e calzini che ti ho prestato, che sono dello studio, non sono tuoi!!! sono COSTUMI DI SCENA!!!!!” “GNI-E-E! ! ”

Cioè io B non la tocco nemmeno, proprio siamo a 20 cm l’uno dall’altra anche se è un matrimoniale. Anzi, è pazzesco, mi ha detto che qualche volta si sente in imbarazzo perché “magari invado il tuo spazio”. Ma… MA!!!!!! Cristo mi hai mollato perché non facevamo sesso, non perché mi sentivo oppresso nelle mie proprietà terriere! Che poi sono nostre.

Che fanno, impazziscono?

Pure le gatte mi guardano strano.

Aiutooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooooo

Devo andare a respirare sul bright side OTM. Se esistono cose buone. Se esistono! Devi seguirle.

E ho troppo da fare, colpa mia, mi sono organizzato una merda. Oggi impazzisco pure io.

Poi mi ha chiamato uno che fa il matrimonialista. Lo sa che io non mi muovo se non mi paga profumatamente. Non gli piace mai l’idea che un professionista si paga per il suo tempo, non per quello che fa, se non ci sono precisi accordi “di obiettivo”, che comunque sono superiori al costo orario. All’inizio sono lusingato. Penso “cavolo, è uno che si smazza, potrei dire un concorrente, ma no, facciamo altro… ma pensavo mi reputasse una merda, invece mi chiama. Quantomeno se non è la qualità dl lavoro sarà l’aspetto relativo alla professionalità che gli interessa”.

Però ci prova subito. E a me questo balletto del tirare sul prezzo… ahhhhh!!!!!! solo che di buono c’è che te lo dice: ti dice chiaro che si sta informando ma intanto (maniavantismo, cit) tu sai quello che fai. Mh. Non esattamente un complimento ma nemmeno una merda. Preferirà certo “uno della zona degli sposi” e ancora di più “uno che fa sempre il matrimonialista”. Ok, mi frega il giusto. Gli dico ué, io blocco la giornata di giugno. So che non lo sai fino a maggio. Ma tenerla bloccata e poi lo fai con un altro non mi piace. Quindi ti scasserò la minchia finché non lo saprai, verso maggio. Si si si. Ok. E io devo guadagnare, non spendere. Quindi tu non paghi la mia mezz’ora a casa dello sposo. Tu paghi un minimo di 2 ore al costo di X all’ora, se le ore in macchina superano la mezza giornata tu mi paghi le ore in macchina. E le spese su tabella ACI per la mia macchina, percorrenza media annua 20000 km. Ora… sapete per rispondere in questo modo quanto ci mette uno che si vergogna a chiedere i soldi per farsi pagare del suo? Avere a che fare con gli artisti poi… aiuta. Valutare le opere. Pubblicizzarsi, fare bla bla sociali. PR … Se si potesse vivere d’arte, senza le relazioni sociali. Perfetti asociali produrrebbero cose meravigliose per sempre. E invece devono mangiare. Pagare le bollette.

O la legna, magari. Per scaldare una camera gelida.

fuga per la salvezza, codardìa, caos (51ma puntata)

Cronaca di una parabola di delirio. Il pomeriggio ha preso una piega brutta. Forse uno squilibrio con gli psicofarmaci, forse il tempo grigio per metà giornata. Ma qualcosa prendeva male. A pranzo lei ha chiesto dai dai dai vediamoci pranziamo. Si annoia, penso. Chemmefrega, ok, pranzo in compagnia. Aveva rifatto l’assicurazione, poi sarebbe andata a prendere l’auto. Prossima settimana deve posare, quindi mi premuro di ricordarle alcune cose e osservo che ha una pletora di brufolazzi sulla guancia e lei mi dice che si possono eliminare con la “pulizia del viso” … ma non mi risulta. Solo che non sono un estetista (come non lo è lei del resto) e quindi boh, sentiamo, dico, subito, andiamo da K che lo sa. Ci andiamo. Non era vero e comunque richiede giorni. Non ci stiamo dentro. Hey ma ormai è ora di prendere l’auto mi accompagni? Sono di strada. No problem. Le faccio benza, prende la sua macchinetta, ciao. Giorni fa mi aveva rivelato di aver fatto sesso col suo bisonte in un modo che io adoro, ma la conformazione del cazzo è differente, con lui bla e bla. Sono colpi che io incasso, ma ci metto un po’. Razionalmente si fa presto a ricordarsi che come non si diventa alti così il cazzo che hai ti tieni. Ma per chi non ha autostima la fatica è più grande. E ricordiamoci: non sono un computer, non sono un angelo del signore, sono un essere umano, un discendente dalla scimmia. Ci metto un po’. Ma mi passa. I mille segni che la ragazza che amavo è estremamente – e forse solo – superficiale si fanno sentire sempre più. Io queste cose le adoro, ma non voglio solo quello. E non la disprezzo. Ora verrà, il dunque. Continue reading →

la regola del tergiverso

Quando il supremo maestro era solo un amico (e non maestro) si dialogava parecchio via e-mail. Tra i mille discorsi fatti c’era quello relativo al fatto che io (non ricordo più se anche lui) facevo troppe cose, ne iniziavo molte e non le finivo subito. Tergiversavo molto, mi spostavo da una all’altra. Perdevo tempo? Ad ogni modo, quasi circolarmente, facevo questo, poi quest’altro, poi quell’altro ancora. Ad un certo punto una di queste attività poteva avere una scadenza. Ma nonostante questo, con senso di colpa, brivido, un po’ di terrore, le mie chiappe comunque non si muovevano.

Era molto più potente il costante circolare tra una e l’altra cosa, un po’ avanti, un po’ avanti… finché ad un certo punto queste cose venivano completate.

La chiamammo la legge, la regola “del tergiverso”. Ovviamente poi nonsensando su un universo che arrivava su un altro unuverso per ripulirlo come un enorme tergicristallo sulle stelle e le galassie rendendo il secondo universo molto pulito ma con tutti i segni delle stelle strisciate su quello precedente perché non avevano cambiato i gommini.