Chi fa l’opera? – Autore/Soggetto [FOTO/VIDEO]

Una questione basilare, apparentemente banale, per molti neanche da discutersi è che dalla merda non esce la cioccolata. Fotograficamente parlando, questo negli ultimi decenni è riferito – da parte dei “vecchi del mestiere” – al fatto che intestardirsi sul fotoritocco che alla base ha uno scatto sbagliato, mediocre, brutto, non sia una buona idea. 98% della foto è quella fottuta foto. Altrimenti, aggiungo io, sei talmente un bravo fotoritoccatore che non si tratta più di ritocco, ma di una opera digitale che ha qualche pixel originale alla base di una pittura digitale. Chiaro, ma distinguiamo.

Ma io non mi riferisco a questo. Parlo proprio di fotografia.

Una cosa che può accadere è che ti venga richiesto “fammi un video che faccia dire wow”. Fammi una foto che mi renda spettacolare.

Contestualizzo: parliamo di spettacolo. Se sei moscio, brutto, non fai un cazzo sul palco, non hai carisma, non hai personalità, non c’è qualcosa che possa essere colto, al di là del fare del mio meglio con quello che ho, che sei tu, il palco, la luce, quello che c’è li ed eventualmente il mio intervento su luce che posso portarmi, devi arrenderti al fatto – ed anche io che riprendo la scena devo farlo – che se la scena è la stessa, le luci le stesse, il fotografo lo stesso e le foto di un gruppo sono fighissime e quelle tue no, la cosa che cambia sei tu. Non hai fatto un cazzo di figo da fotografare, non mi hai dato materia prima.

Se mi dai un muro posso fare molte cose, ma se mi dai un muro DIVERSO ne escono altre. La foto la fa il soggetto o la mia interpretazione? La pappa la fa il cuoco, ma non la fa senza ingredienti. E se gli ingredienti non sono un granché, farà il possibile, ma una grossa parte della sua responsabilità è scartare gli ingredienti di scarsa qualità. Quindi ecco, dipende.

Uno di quelli bravi diceva che se vuoi fare belle foto una buona cosa da fare è che i soggetti siano belli. Cosa “belli” voglia dire e a cosa si riferisca, ovviamente, cambia a seconda dei contesti. Se sto facendo microfotografia sarà diverso da playboy.

Io però vedo molta, moltissima differenza, anche nella “semplicissima” arte fotografica del ritrarre corpi nudi, e se volete aggiungo “in bianco e nero”, per ridurre ancora il campo, e ancora lo riduco dicendo: femminile. E ancora: di tipe molto belle.

Ecco, ho ridotto moltissimo il campo eppure non ritengo tutti uguali i risultati dei diversi autori: prima di tutto un solo singolo soggetto umano – specialmente in questo caso –  è infinito, a mio avviso. Secondariamente le varie persone sono diverse. E si, certo, le combinazioni di fattori di ogni singolo autore fanno la differenza. Le scelte, tutte le scelte.

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Una di queste è cosa non fotografare. Ma questo solo quando sei autore e puoi fare quello che vuoi, generando un’opera. Invece se quello che hai è quello che hai, interessante è quello che ci fai (cit.”Ember”). Bene, si fa il possibile, ripeto. Potresti essere moscissimo ma interessante. Oppure essere uno che fa un sacco di cose sul palco. O essere un tocco di gnocco e offrirmi il tuo corpo suonante, cantante, danzante, in molteplici occasioni di combinazione con ambiente e luce.

Come fotografo posso “estrarre” molto da te, posso cogliere moltissimo, se c’è da cogliere moltissimo, posso anche sollecitarti, se sono regista della cosa, generando una “coreografia dello scatto”, posso fare lo stesso come videomaker… ma ci sono cose relative al carisma sul palco, al movimento personale, al modo di tenere gli strumenti, l’abbigliamento, il rapporto con le luci e con le camere (video/foto) che non è trascurabile nel risultato. Può esserci, può non esserci. E ci sta: se il tuo compito non è “fare spettacolo”, ma suonare, ad esempio, lo spettacolo, ci è chiaro, è più per l’opera sonora o sonoro/poetica che stiamo sentendo, se il testo è intellegibile. Io lo so perché su quel palco ci sono stato e non ho dato molto in termini di “roba da vedere”. Non mi interessava, non mi sentivo qualcosa da vedere. Quello che volevo fare era non cappellare mentre suonavo, ero li per quello, per farti sentire la nostra musica. In determinati casi è ottenibile del “bello” anche se io non sono personalmente coreografico. Ma ci si deve pensare: i Pink Floyd avevano i tipi delle proiezioni. Perché no. Di soluzioni ne esistono tante.

Zucchero Fornaciari in concerto, PH (C) KEYSTONE

Qui di roba ce n’è! Ma se nessuno facesse qualcosa? Fotograferesti un palco.

Ecco, se siete quelli che si fanno fotografare o videoriprendere, sappiatelo. Se non fate niente, non avete uno sguardo, non evitate lo sguardo ma sapete benissimo dove lo sguardo andrebbe a cadere da quella particolare angolazione e quindi FATE qualcosa… questo qualcosa non sarà fotografato perché non c’era, quel qualcosa che non avete fatto non verrà ripreso. Non avete fatto un cazzo. Le luci hanno illuminato quell’uncazzo che avete fatto. Potete essere fotografati, sempre, come una statua di marmo: questo è ciò che il fotografo riuscirà sempre a fare. Se non siete vivi, il fotografo e il videomaker faranno del loro meglio, nelle condizioni in cui si trovano, per ottenere almeno questo, se hanno la capacità per farlo, ovviamente. Ma concediamogliela. Se voi non fate questo e il fotografo o l’operatore alla camera sono bravi, otterranno al massimo questo. Se invece voi fate qualcosa di visibile, lo manifestate, allora certo, voi sarete parte attiva di quel risultato, ma artisticamente non più di quanto non lo sia un cervo che spicca un balzo. Certo però, di più di quando sta li fermo e dorme. Bellissimo, ma fermo e dorme.

Questo è solo un piccolo microscopico pezzettino di quanto io, come fotografo o “riprendi-cose” considero di me stesso quando mi chiedo – e tranquilli, me lo chiedo parecchio – quanto l’opera la faccia chi sta da questa parte della fotocamera e quanto chi sta dall’altra. Ecco che il “merito” e il “meritarsi” una cosa, qui prende un significato: sei una statua o un’attore? Beh il merito della tua azione ci sarà, si, se te lo meriti.

Perché l’attore agisce. Anche poco. Un respiro, uno sguardo, la fisicità, l’abbigliamento, il suo corpo, i capelli, un gesto. Mille gesti.

su emotività e populismo barocco: lo faccio (1 di 2)

Mentre mi accingevo a scrivere che quello che faccio è inutile, per fortuna mi sovviene che ogni cosa inutile per cui viviamo è spesso sorretta dalla sopravvivenza, utile per necessità. La nostra solita utilità dell’inutile.

Michele Smargiassi, nel suo blog “fotocrazia”, presso Repubblica online, nel suo articolo sul barocco-populismo mi fa riflettere sul parallelo, che non mi sento di confutare, anzi, su quella definizione di Barocco e sul populismo. Credo si basi sulla definizione di “barocco” che diede nel precedente articolo, che a sua volta si basa su riflessioni tratte dal libro di Mario Tozzi “Tecnobarocco” (che non ho letto ma una malattia recentemente rinata mi spingerebbe a procurarmelo di corsa, accidenti a te, come direbbe qualcuno).

Parte 1: Tecno
Non avendo ancora letto il libro di M.Tozzi sento di sentirmi molto Barocco in quanto a quella che viene definita “eccedenza” nella (desiderata) complessità (non complicazione) dei comandi disponibili. Quando mi viene richiesta semplicità mi scogliono parecchio, come homo tecnologicus: la tecnologia “facile” è “schiaccia un bottone, ottieni risultato”. Ma a me interessa sempre ottenere quel certo risultato. Quindi ok, viva la tecnologia, ma con i parametri variabili: cosa che invece stressa il cazzo a tutti quanti, di solito. La classica differenza mac-windows, per non parlare di linux. Sono quelle cose dove devi sapere quello che fai per farlo bene.

Chiunque abbia seguito questo blog in anni che furono sanno che nonostante la mia “vita nerd” non ho accettato l’avvento degli smartphone senza resistenze. Le mie resistenze hanno una storia. Se non te le spiego non puoi capire da dove proviene il mio fastidio. Il mio fastidio proviene dalla storia dell’informatica. Sicuramente un vecchio esperto tratterebbe me allo stesso modo: l’informatica è scienza. I computer, tutti i computer, non sono elettrodomestici. E si, sono al nostro servizio, ma proprio com’è la scienza. Ha quella natura. Devi avere fatto i compiti a casa, devi accarezzare la testa del cavallo perché sia docile e non scalci. Magari ti farà correre, salterà gli ostacoli, ti farà fare meno fatica, ma non se pensi di saltare davvero dalla balaustra del secondo piano sul groppone del cavallo di Zorro senza aver mai strigliato un cavallo.

Se non lo spiego non lo puoi capire: e ancora non l’ho fatto. La natura del mezzo informatico è scientifico e tecnologico. Per quanto io non sia un amante dell’hardware, della parte elettrica o qualsiasi cosa meccanica, riconosco che questa scienza è molto tecnica. La matematica che ha generato tutto questo è molto lontana: sta più che altro nei processori. Tuttavia non sono frullatori o stufette. Ogni cosa che ha teso a semplificare il sistema operativo o i programmi (i cosiddetti “software applicativi” o “applicazioni” e oggi “app”) ha reso questo mezzo più idiota e meno versatile, meno macchina e quindi meno automatizzabile. Cosa che invece è nato per fare: fare lui, fare al tuo posto, fare per te, fare milioni di volte prima di te, fare milioni di cose che tu staresti una vita a fare. Certo, questa è una delle cose fattibili con queste macchine. Una volta nel mondo nerd girava il vecchio adagio “fai un programma che anche un idiota può usare e solo un idiota vorrà usarlo”. Ecco, ci siamo, mi verrebbe da dire. Ma naturalmente questo atteggiamento sulle interfacce è retrogrado. Il 2.0 e tutto il mondo apple hanno mostrato che c’è una miriade di cose che la semplificazione ha reso possibili a molte più persone. Anche su questo c’è qualcosa da dire.

Il modo in cui questo passo dopo passo nella semlificazione di mezzi ed interfacce ha portato alla nascita degli smartphone ma soprattutto alla loro diffusione di massa mi ha indisposto in questo modo: visto che avete creato degli strumenti che non richiedono impegno di alcun tipo io non ce lo metterò e mi incazzerò senza alcuna pazienza se queste cose facili non succedono subito, sempre e senza problemi. 

Non leggo le istruzioni di nulla o quasi. Eppure io sono uno di quelli che prima legge le istruzioni. Non mi informo granché: provo subito a fare e se non trovo in 10 secondi allora concludo senza pietà che “fa schifo” eccetera. E’ per partito preso ma non lo è. La mia posizione da bambino viziato è che il marketing ha vinto puntando su questo. E allora che questo sia, ma sul serio. Mi avete promesso questo e allora adesso lo fate.

Di solito questo significa puntare molto sull’hardware perché il buon software richiede analisi, sperimentazione, progettazione: tempo. E la moda, che guida l’uscita di questi prodotti, non te ne lascia molto, di tempo. Nuovo modello, nuova versione. Ci sono computer anni 80 con la potenza del bucodelculo di un pixel di questi smartphone che facevano cose incredibili. Qualcuno riesce a mandare avanti un webserver con un Commodore 64, se non sbaglio persino a pedali (letterale). Perché sfruttavano il mezzo pensando, programmando, ottimizzando.

Io adesso invece esigo pestando i piedini, facendo una smorfietta e con il mignolino alzato se il mio fottuto smartphone fico non fa qualsiasi cosa perché io voglio. Con altri computer ho sempre avuto la pazienza, il tempo. Ho pensato a come fare, studiato, unito i puntini. E quando le cose non funzionano per qualche motivo di solito se sai, appunto, come funzionano, risolvi. Ma ci sono sistemi che sono progettati per fare dell’utente un utente. Distaccando quindi il mezzo dal progettista all’utente finale: noi sappiamo, tu non importa, rivestiamo tutto con della bella plastica liscia bianca e curva e ti premi il bottone.

Io con gli smartphone premo il bottone.

Con il mio pc invece automatizzo quanta più parte del mio lavoro mi è possibile: faccio a mano tutto quello che devo (a mano = photoshop, che comunque anche lui … si evolve molto, e accetto in molti casi automatismi di cui ormai ho perso i passaggi sottostanti: sono utente) e poi ho creato con le mie sante manine e la poca conoscenza che ho, rispetto ad un vero programmatore, tutto l’automatismo che serve per inviare ad N agenzie il mio lavoro, senza faticare, correggendo errori umani oppure prevenendoli, controllandoli, facendomi promemoria. Io faccio l’umano, lui fa la macchina. E gliel’ho fatto fare io. Non è una protesi. E’ una macchina. Non è una estensione del mio braccio. Lo è la fotocamera, in parte lo è photoshop. Ma il computer fa il computer, da me.

(Continua)

Il catodico va meglio! #vaffanfashion

Scrivevo il 19-4-2012 – Ho un televisore che avrà 20 anni. Catodico. Si, CRT, con il TUBO CATODICO e lo schermo davanti CURVO, con questo tubo catodico INGOMBRANTE dietro. Si, proprio così. E io vedo perfettamente i colori, gli incarnati, tutto è del colore corretto, come l’ha visto il regista e il direttore della fotografia e i tecnici in studio (nel caso delle trasmissioni live).
Poi invece vado da chi ha questi ultranuovi ultrapiatti ultrafashion (mavaffanfashion!) trendy lucidi LCD o PLASMA … e vedi la gente arancione, oppure gialloverde. Vedi puntini schifosi, quadratoni merdosissimi… ma dove sta questa innovazione? Dove sta questa fichezza della novità? Se ti metti il vestito nuovo ma HAI FREDDO oppure sudi e puzzi come una capra… sei fashion? Sarà anche fashion ma mi fa cagare il cazzo a pioggia.
Sono brontolone? Continue reading →

foto di merda #239487293847

street photo with no copyright restrictions

una bella foto

No, non sono Benedusi, me ne guardo bene. Comunque a me capita, spesso, che in quanto fotografo professionista che non lavora su commissione, capiti di scambiare qualche favore in cambio di materia prima (leggi: modelli e modelle, location, props di vario genere, mua, hs, eccetera).

Quindi capita di fare quei lavori che molti fotografi (forse) fanno ancora e che fino ad un po’ di tempo fa erano quelli “che chiamavi il fotografo”. Spesso finiscono per essere lavori di merda per svariati motivi.

Comunque a volte no. A volte finisci per fare – gratis – una cosa che se te la pagassero sarebbe comunque un bel lavoro. Dato che è gratis e che il soggetto ti piace, allora resta gratis. Lo fai come cazzo ti pare perché tanto non ti pagano. Quindi sei al massimo della libertà: comandi tu, una cosa che oggi su commissione non dico che ti sogni, ma devi avere due palle così per fare un buon lavoro nonostante il cliente medio. E parlo dei clienti business (pmi, comunque). Ma i clienti privati e simili … beh… sono sempre gruppi che hanno risorse limitate in tutto e si arrangiano. Io con questa gente qua ci vivo, quindi siamo chiari: non ci sputo sopra affatto, tutt’altro. Le foto di merda del titolo sono le mie, non sono le loro. Loro vanno bene.  Continue reading →

volgare o non volgare

Io sono volgare.

prostituta ottocentescaL’ho sempre detto. Faccio parte del volgo: in qualche modo questa cosa ogni tanto viene fuori. Poi magari mi da fastidio la stessa roba che avrebbe dato fastidio al principino nel 1800. Ma… come a tutti. Oggi la cultura di base è a disposizione di tutti, una volta no. E dunque sarei volgo pure io, no? Le parolacce sono volgari. Certo, ne faccio largo uso, talvolta non mi piace. Perché perdono la loro efficacia, la loro forza, il loro colore. Non sono più punti rossi se tutto è rosso. Non sono più degli accenti se tutto è accentato.

E nelle immagini? Cosa è volgare? Per me non c’è volgare: c’è brutto e bello. E c’è mal fatto o ben fatto.

Per cui se un buco di culo è volgare: io sono volgare. Ma mi fa tanto, ma tanto più schifo qualsiasi cosa tratta dal libro “Cafonal”, ad esempio; ma schifo proprio. Mi capita dunque, abbastanza, di sentire qualche modella che sta per decidere di fare del nudo, dire “ma non volgare, vero? Foto artistiche!”. Ma crista cara: io per primo non posso dire di essere un artista. Posso fare un buon lavoro o un pessimo lavoro. Non è certo che non facciamo della foto ginecologica. Ma di certo non userò il flash come il ginecologo. E non è certo che siccome sei rapita e la luce cade giusta qualcuno non consideri un seno “volgare”.  Continue reading →

una mano fra le gambe

Nella nostra routine quotidiana salvavita, ci ritroviamo ogni giorno a pranzo con due amici e, talvolta, l’amante di uno dei due.

Invece di andare come sempre nel luogo  “pezzealculo 1″ mi viene proposto di andare nel luogo”pezzealculo 2”. Andiamoci, perché no? Se non bevo l’acqua e non faccio il goloso il conto è uguale. Facciamo, osservo, mangio, faccio finta di niente, usciamo.

Quando siamo fuori chiedo gentilmente se possiamo evitare, d’ora in poi. Il motivo è che ho idea di aver molestato in gioventù la cassiera. Si bloccano tutti, mi guardano: chiunque mi conosca sa che sono un pezzo di pane; sguardi interrogativi richiedono spiegazioni. Continue reading →

1000 campagne pubblicitarie splendide, ve le consiglio!

Davvero tutte da vedere. Ve le segnalo qui. Una cosa però mi fa pensare… se notate il tenore delle campagne con scopi sociali… non vi viene da chidervi… quanto male siamo messi per avere bisogno di ricordarci gli uni gli altri di non essere così schifosi?

Quando c’è la crisi, arriva anche la presa per il calo

dubbio e incertezza

uh?

Dipendenti olistici di tutto il mondo, unitevi! Si! Mentre vedo applicare outsourcing, delocalizzazione, esternalizzazione, tutti-esuberi, cloud risolvitutto, software as a service (saas), tutto in remoto e tu non servi, ecco che SAP dice che i suoi dipendenti contano, che c’hanno l’approccio olistico, che è la persona al centro di questo e quell’altro. E io che vedo che il mondo intorno a me, quello fuori dalla notizia Ansa che ne parla, è leggermente diverso, mi sento preso per il calo: in questo momento di calo forse ci si accorge che le persone non amano odiare sé stesse perché esistono, non anelano a combattere per la sopravvivenza con il proprio collega o con quello dell’altro stato … e che in quelle condizioni, in condizioni di infelicità, diversamente da una macchina, provano qualcosa, e quel qualcosa non funziona bene.

Se dicono la verità, speriamo bene. Vediamo se, ad esempio, tra 3 o più anni licenzieranno 5000 dipendenti perché sono un costo.

Signor Anderson …