Menefreghismo esistenziale ed altre quisquilie

Sono sempre io. La stessa persona. Sono in grado di ascoltarmi i Dream Theater, i TOOL e i Liquid Tension Experiment tanto quanto spararmi, con piacere, cercandolo, quanto Cliff Martinez nella colonna sonora di “Solaris” come “The Shutow Assembly” di Brian Eno. Roba che è anche perfettamente in grado di farmi addormentare, chiaramente. Ma spesso anche di rilassarmi e basta, mentre lavoro spesso. Con piacere.

Sono sempre io.

Questo essere questo e quello disorienta sempre gli altri. A tutti piace essere, o anzi, gli piace che tu sia questo OPPURE quello. Il questo E quello che vorrebbero, di solito riguarda altri argomenti. Ma i gusti, il carattere… mi pare, dico mi pare di non contraddirmi, di solito non lo accettano, non lo gradiscono.

O fai casino, o silenzio. O sei quello dark oppure tarantelle. O ti piacciono i supereroi oppure i film francesi pallosi. Un po’ di questo e un po’ di quello no, non è possibile. Se io sto bene con te e tu con me e io mi innamoro allora anche tu devi, tu non puoi solo stare bene tuttigliuominisonouguali.

Eppure io, da solo nella mia fottuta solitudine, sono qui che ascolto Martinez. E poco fa ascoltavo i TOOL veramente ad alto volume.

La calma e il casino nella mia mente invece sono strani. Stavo quasi pensando di smettere l’Efexor ora. Di sbattermene ed entrare in modalità tasto rosso “distaccata”, cioè senza disperazione: per necessità economiche qualora sopraggiungessero. Quindi invertire notte e giorno con calma, andare avanti con tutto, iniziare a smettere, iniziare a disperarmi sinteticamente (astinenza-assuefazione) … e ad agosto, inizio settembre avrei finito, forse. E poi basta anestetico. Basta medicina. Basta. Poi potrei tornare a lasciar scorrere nelle vene il pericolo, la paura, la disperazione autentiche, non filtrate, come facevo prima. 7 anni fa. Ironico.

Come sempre. Anche se non voglio. Anche se non ci penso. Quando sento che il dolore forte scema, di solito sono passati sette anni. Questa volta il dolore non era l’amore e basta. Era … tutto. Era disperazione, burnout, tutto compresso. Niente è scomparso, credo.

La prospettiva della morte facile, a portata di mano (il tubo col monossido, oppure buttarsi in un lago gelido di montagna, come suggeriva un’avventrice che secondo me ha idee un po’ PULP su cosa sia soffrire tantissimo per non soffrire… io non sono autolesionista: io sono cacasotto, non voglio soffrire: figurati congelamento con terrore e soffocamento: una delle morti più dolorose e terrificanti che esistano) – la prospettiva dico, della morte facile, mi rende più facilmente avvicinabile quella sensazione di “chissenefotte” che tutti ti suggeriscono con il classico “non farti le seghe mentali”. Il menefreghismo esistenziale, la sensazione che per quanto possa andare male, tu puoi sempre morire, in un istante. Andartene via.

Mi ripeto che mio padre, credo, vorrebbe andare, sia stufo di vivere. Ma resta per noi, per noi poveri tre sfigati ed in particolare per me, che sostanzialmente mantiene in una situazione in perdita. E mio fratello che mantiene tout-court, non dico vitellone, ma quantomeno depresso e “neet”.

Adesso, in questo momento, dico queste cose con un certo distacco. Non vado in palestra da mesi, sento la pancia gonfia. Il resto sarebbe a posto, ma questo richiede serio impegno. E a suo tempo mi dissero: devi allenare la resistenza. Certo seguito da un “dico per te, non per me”. Eppure se non fosse per la controparte io non sentirei nessuna necessità di avere maggiore resistenza.

Ora sono completamente notturno. Sistemo altre 40 foto, poi mi faccio un caffè in qualche merdosa sala da gioco: almeno per me hanno una precisa utilità. E ho sempre un cazzo di matrimonio da sistemare. Puttana eva.

Ad ogni modo forse sono riuscito a vendere l’85 Sigma Art, che è un bel gioiello, ma ha davvero un problema di autofocus “strutturale”. Non è il mio ad averlo. Lo hanno e basta, in condizioni di scarsa luminosità devi avere una 1D e comunque fa fatica.

Continuo a pensare a quella cosa terribile di Watzlawick secondo cui non esiste una sola realtà e mi domando cosa ne direbbe Odifreddi o un qualsiasi laureato in Fisica.

Ci penso continuamente: questa sera al ristorante cinese il cameriere indiano ha detto “se mi dici che vuoi il caffè non lavo la caffetteria”. L’immagine evocata dalla parola caffetteria è un ambiente, un locale. La caffettiera, anche se non si trattava specificamente della “macchina per fare il caffè”, comunque è un oggetto, un macchinario. La caffettiera è comunque una caffettiera. Non è la Magrittiana Trahison des images, non è nemmeno il trucchetto di Eraclito relativamente al fiume che non è mai lo stesso. Questo piegare la lingua lo gradisco, mi piace, offre alternative comunicative al didascalico. Ma la descrizione della realtà materiale è possibile, univoca, inequivocabile e corrispondente al vero, misurabile. Daltonico o non daltonico, la radiazione di luce emessa e riflessa è misurabile da uno strumento. Quella è: se tu ne percepisci una differente, questo non cambia la realtà. Non percepiamo la materia oscura. Eppure ci sono modi per comprenderne l’esistenza e a colpi di successivi perfezionamenti si arriva ad una regola, ripetibile.

Poi anche se ci penso continuamente, poi penso che a discettare di simili questioni siamo davvero uno sparuto numero di individui e probabilmente ci riteniamo vicendevolmente indisponenti se non addirittura detestabili.

La complessità di una persona non esclude la compresenza e l’apprezzamento sia della capacità espressiva della parola distaccata dall’univoca e precisa individuazione di concetti astratti o concreti mai ambibigui, sia quella che invece inchioda la realtà alla comunicazione.

Questo è questo. E poi c’è poesia, utilizzo della caffettiera per farci un vaso o un fermaporta. “per me è un fermaporta” non esiste. Non sai cos’è. Oppure “io lo uso come” è corretto. Ma una caffettiera è una caffettiera. Potrebbe persino essere un oggetto a forma di caffettiera che non funziona. Senza il foro. Allora non lo sarebbe. Si verifica. E alla fine è quello che è e non altro. Del resto è una questione di cui dibattevano alcune testine già 2500 anni fa.

fuga per la salvezza, codardìa, caos (51ma puntata)

Cronaca di una parabola di delirio. Il pomeriggio ha preso una piega brutta. Forse uno squilibrio con gli psicofarmaci, forse il tempo grigio per metà giornata. Ma qualcosa prendeva male. A pranzo lei ha chiesto dai dai dai vediamoci pranziamo. Si annoia, penso. Chemmefrega, ok, pranzo in compagnia. Aveva rifatto l’assicurazione, poi sarebbe andata a prendere l’auto. Prossima settimana deve posare, quindi mi premuro di ricordarle alcune cose e osservo che ha una pletora di brufolazzi sulla guancia e lei mi dice che si possono eliminare con la “pulizia del viso” … ma non mi risulta. Solo che non sono un estetista (come non lo è lei del resto) e quindi boh, sentiamo, dico, subito, andiamo da K che lo sa. Ci andiamo. Non era vero e comunque richiede giorni. Non ci stiamo dentro. Hey ma ormai è ora di prendere l’auto mi accompagni? Sono di strada. No problem. Le faccio benza, prende la sua macchinetta, ciao. Giorni fa mi aveva rivelato di aver fatto sesso col suo bisonte in un modo che io adoro, ma la conformazione del cazzo è differente, con lui bla e bla. Sono colpi che io incasso, ma ci metto un po’. Razionalmente si fa presto a ricordarsi che come non si diventa alti così il cazzo che hai ti tieni. Ma per chi non ha autostima la fatica è più grande. E ricordiamoci: non sono un computer, non sono un angelo del signore, sono un essere umano, un discendente dalla scimmia. Ci metto un po’. Ma mi passa. I mille segni che la ragazza che amavo è estremamente – e forse solo – superficiale si fanno sentire sempre più. Io queste cose le adoro, ma non voglio solo quello. E non la disprezzo. Ora verrà, il dunque. Continue reading →

Efexor non è un ansiolitico

Vado a conoscere la mia nuova dottoressa. Sorride come un’ebete e non riesco bene a capire se sia davvero felice o se voglia fare la faccia sorridente anche se pensa che io sia fuori come un balcone oppure se, come ormai la vita e i giapponesi ci hanno insegnato, sia una di quelle persone che fa piccoli sorrisi, risatine e simili per imbarazzo, spesso costante (giggle). Magari no, magari è serena e felice, ma io non la conosco.

Comunque le sciorino tutta la mia vita medica in due secondi, quella che mi ricordo, quindi poco.

E a sorpresa mi dice che Efexor non è un ansiolitico ma un antidepressivo. Eh beh.

Beh.

Non so che pensare. E anche se ci penso… beh, faccio a meno di pensarci sul serio.