Il prete mi ha messo la lingua in bocca (1950)

Mio padre è nato nel 1936. Profugo Istriano nella II guerra mondiale, visse molta della sua infanzia, fanciullezza e vita di ragazzo in collegi e strutture comunitarie, ma non in campo profughi, di cui comunque aveva specifica contezza, per i racconti precisi di chi, in collegio con lui, non voleva mai “tornare a casa”, perché tornare a casa significava che l’intimità era data da quattro coperte tirate tra te e gli odori, i rumori e le parole di chiunque altro. Quattro coperte per pareti, tirate con fili da biancheria. Per anni. Chi voleva tornare se quella era la casa? Nessuno. Questo soleva ricordare lui a chiunque tra i suoi compagni si lamentasse della vita disciplinata e rigorosa del collegio: lo era, come l’acqua è bagnata. Ma anche il fango è fango, è qui non c’è, si diceva, mentre lì si.

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No credits: non voglio che capiate il luogo: chi sa riconosce.

Parliamo, se ben capisco, del 1950. In uno dei collegi il piano inferiore era dedicato ad ospitare ed istruire i ragazzi, collegio e convitto maschile. Ai piani di sopra, probabile proprietà concessa dalla chiesa, era ospitato il clero, preti. Mio padre, ieri, per la prima volta, mi dice che le informazioni riguardanti argomenti “delicati” per loro (non delicati nel senso di trattati con delicatezza, per carità, tutto era molto brutale e diretto! Ma non se ne parlava, ecco la “delicatezza” … era segreto, era imbarazzante, era vergogna) arrivavano con la brutalità diretta dei bambini: ad un certo punto uno arrivava e diceva a tutti “ma lo sapete che ci sono anche quelli che vanno con gli uomini?”. E lui faceva tanto d’occhi.

Poi arrivava uno vecchio, che poteva uscire, sigaretta in bocca ed aria vissuta, diceva che si, quelle che ci stavano esistevano, non c’erano problemi, ma che era importantissimo per loro arrivare vergini al matrimonio, che era la patente-di-verginità, il certificato di purezza, che eri a posto, potevi, eri per bene. E quindi culo. Non c’erano problemi, ti davano il culo. E mio padre tanto d’occhi, nemmeno lo immaginava.

E così arrivavano le informazioni: uno arrivava e diceva un losapeteché e via tutti sapevanoché. Fine. Nessuna grande discussione, giusto o non giusto, giudizi, sentimenti, cosa senti tu, cosa vuoi tu, cosa pensi tu.

Un giorno uno trafelato scese dal piano di sopra e disse “oh! Don Salcazzo mi ha dato un bacio! Così all’improvviso, e mi ha messo ANCHE la lingua in bocca!”. Tra lo stupore di chi non immaginava che un bacio – in tempi di censura cinematografica – potesse contemplare di aprire la bocca e chi metteva subito da parte questa interessante informazione, ecco il Lucignolo esperto (voglio immaginarlo mentre si rolla una sigaretta per darsi un tono) che fa “eh! T’è andata bene, voleva infilarti ben altro! Ma tu sei andato via, buon per te!”.

E questo è quanto. Circa 1950, una molestia, un assalto sessuale pederasta lo chiameremmo, credo, oggi? Da parte di un prete, una persona adulta, ad un ragazzo che, in quanto a preparazione ai fatti della vita, era pressoché un bambino. E la normalità di passarci sopra di una intera comunità di ragazzi, tipo “son cose che succedono” come un fatto da “eh, la Peppetta!” e via, si va avanti, torniamo a fare i compiti, a fare giochi e sport, a pensare a cosa faremo usciti da qui.

Ma sono passati 71 anni prima che queste parole venissero pronunciate ad alta voce. E le molestie del clero verso i bambini e comunque verso non consenzienti sono state spesso circondate da “una volta queste cose non succedevano” senza che nessuna voce si alzasse a smentire. Ecco perché non sopporto che si stia in silenzio quando vengono dette le cazzate. Se dici SOLO le cazzate, queste sono le uniche che vengono pronunciate. E sembrano vere.

Se hai verificato che quello che scriverai è vero, che è qualcosa di buono sull'argomento ed è utile che io lo sappia, ma soprattutto SE SAI USARE LA PUNTEGGIATURA, dimmi: