Lavoro: ma in Italia i giovani quanti sacrifici sono disposti a fare?

Cito l’articolo Sorgente (leggetelo PRIMA) : Lavoro: ma in Italia i giovani quanti sacrifici sono disposti a fare?

E il mio commento è questo: “Io sono un libero professionista. L’immagine – per capirci – che la signora Cosenza ha utilizzato (credo e temo in modo lecitamente gratuito) proviene dal mio mercato. Ma ho lavorato come dipendente per quasi 20 anni in un’azienda e per meno anni in svariate altre.

Quella degli straordinari è una enorme boiata e partiremo da un dilbertismo per questo: se hai bisogno di fare degli straordinari significa che non sei in grado di smaltire il lavoro in tempo. E’ la stessa regola dei lavori urgenti: sono richieste fatte in ritardo. In entrambi i casi stiamo parlando di organizzazione del lavoro fatta in modo schifoso.

Ovviamente NON si parla dell’esempio in questione (quello con il contatto col pubblico: so da me che in quel caso se hai il pieno di gente non ci sono pianificazioni che tengano).

Le aziende che permettono o che fanno crescere le persone non si basano su queste sciocchezze. Il mio tempo ha un valore preciso: se non sono in grado di gestirmelo ed ho bisogno di un extra, ho sbagliato qualcosa. 

Quell’extra non me lo paga nessuno: sono indietro perché non ho mosso il culo. Lo “stare sul pezzo” (che viene dal gergo militare) non ha nulla a che fare con gli straordinari, ma con l’essere impegnati nell’ordinario.

Ma sono d’accordo sul poco impegno dei giovani e sul non comprendere che gli esercizi commerciali presso i quali loro si recano nel week end, in quel momento stanno appunto… lavorando. Per loro quello non è straordinario affatto: è ordinario.

Io lavoro sempre e non lavoro mai. Ma sta a me: se non lavoro non guadagno, very simple. Se non lavoro ABBASTANZA non guadagno abbastanza. Proprio non ho i soldi per pagarmi da mangiare, per essere chiaro. Questi ragazzi, praticamente sempre, hanno il culo parato. E le aziende che li assumono lo sanno: infatti gli stipendi che propongono, molto spesso, non permetterebbero a nessuno di mantenersi.

Per cui il vizio c’è sia da un lato che dall’altro.

Ed ora per favore: basta con il dire che bisogna avere passione per il lavoro. Il lavoro in genere. Perché dobbiamo vergognarci di dire che lavorare è un obbligo e preferiremmo fare solo cose non obbligatorie? (o detto in maniera positiva: fare solo quello che vogliamo). Questo non significa che non dobbiamo avere il senso della realtà, ma non vedo perché un’assistente alla poltrona dovrebbe avere passione per gli aliti di merda dei vecchietti con le carie del ’32. Tanto per fare un esempio. O perché una ragazza che ha fatto architettura e deve sbarcare il lunario comunque dovrebbe avere PASSIONE per le pulizie notturne in autogrill. Essere professionali significa, molte volte, fare il proprio dovere (che si chiama dovere per qualcosa) per bene, con coscienza, con etica del lavoro. Questa etica non comprende mai il “mi piace”. Proprio se ti piace non gliene sbatte una fava a nessuno. “se ne va triste come chi DEVE” diceva il poeta.

Per questo dobbiamo cercare noi di lavorare con qualcosa che ci piace e questo passo non è affatto scontato perché è come un trapianto di cuore in tantissimi casi: ti serve quello che batte ancora ma vorresti mettere dentro quello che funziona meglio. Ci sono persone che svolgono lavori estremamente pragmatici e molto poco creativi: queste persone spesso amano comunque avere un metodo, un ordine, un loro modo per rendere meno palloso qualcosa che di certo non è nato per sollazzarsi ma per rendere le cose che vanno fatte – fatte. Ad esempio pulire culi. Ad esempio costruire staffe metalliche. Ad esempio installare serramenti. Ad esempio trasportare mobili. Chi ha soddisfazione nel proprio modo di fare le cose ha già raggiunto un buon livello di tranquillità: non chiediamo loro di dire che amano il proprio dovere. E’ un dovere. Serve per mangiare: è una catena.

Avere la fortuna di poter lavorare con passione (e che quelli che lo intendono in senso etimologico si tacciano subito: non è nel senso di patire-assieme) è un dono straordinario che noi, assieme alla fortuna, ci facciamo. Ma è un dono che dobbiamo pagare.

Ad ogni modo tante volte il corso stesso della vita di un “giovanedoggi” porta le cose che lo appassionano ad essere totalmente inutili nel futuro. E’ raro, ad esempio, che l’abilità manuale con il joypad risulti infine utile nel pilotare droni da combattimento nell’USAF. Non sarà impossibile, ma è raro.
E allo stesso modo molte delle abiltà sociali ottenute nel corrispettivo femminile risultano essere poco utili negli sbocchi lavorativi. La connessione tra passione e lavoro, così, è ancora più remota.

Io una ragioniera appassionata l’ho trovata. Ma vi giuro che la vedo proprio dura pensare ad un contabile o un ragioniere che non vedono l’ora di tornare a fare il proprio lavoro ogni giorno. Anche il commercialista. Lo fanno perché sono pagati. La loro passione la comprano con la fatica nel fare qualcosa di cui qualcun altro ha bisogno. Molto spesso sono loro che trovate nei bordelli esotici. La loro passione non sono i registri iva, pare.

Io stesso svolgo il mio mestiere, che amo, con questo atteggiamento mentale nell’organizzazione: risolvere problemi di qualcun altro. Ovvio che la mia libertà d’azione è diversa. Ma il suo limite è sempre l’utilità per terzi.

Se hai verificato che quello che scriverai è vero, che è qualcosa di buono sull'argomento ed è utile che io lo sappia, ma soprattutto SE SAI USARE LA PUNTEGGIATURA, dimmi: